
Presenza vera, reale e sostanziale di Gesù Cristo nell’Eucaristia. Studio sulla “anamnesis”
Quando Gesù, durante l’ultima cena, prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo «Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me» (Lc 22,19), usò un termine carico di profondità ebraica e teologica: ἀνάμνησιν (anamnesin), che traduciamo con “memoria”. Ma questa traduzione, così com’è recepita nell’orizzonte culturale occidentale, rischia di diventare equivoca se non si penetra la mentalità semitica da cui Gesù stesso parla e agisce.
Nella nostra lingua, il concetto di “memoria” rimanda a un fatto del passato che la mente rievoca, come si sfoglia un album di fotografie o si ricorda un evento lontano. È un’attività interiore, soggettiva, per certi versi fragile, che non cambia nulla del presente se non, forse, lo stato emotivo o affettivo di chi ricorda. Ma nell’universo biblico, e soprattutto nel linguaggio liturgico dell’Antico Testamento, “memoria” è tutt’altro.
Quando l’ebreo celebra la Pasqua, non fa soltanto un ricordo del passato: egli rivive l’evento. È ciò che si legge nel libro dell’Esodo: «Questo giorno sarà per voi un memoriale (zikkaron): lo celebrerete come festa del Signore; di generazione in generazione, lo celebrerete come un rito perenne» (Es 12,14). Il memoriale (zikkaron) della Pasqua non è dunque una semplice commemorazione: è una reale partecipazione, nel tempo presente, a ciò che Dio ha compiuto per Israele in quel momento originario della sua salvezza. È il mistero di un tempo che si fa carne nell’oggi della celebrazione.
È in questo contesto che si comprende il significato profondo della parola greca anamnesis (ἀνάμνησις), che Luca adopera per trascrivere il comando di Gesù: “Fate questo in anamnesin di me”. L’anamnesis non è un puro ricordo, ma una riattualizzazione del mistero salvifico, un atto liturgico che rende presente l’evento salvifico originario. Il concetto è radicalmente dinamico, sacramentale. Non è un guardare indietro, ma un lasciarsi avvolgere, qui e ora, da ciò che si è compiuto una volta per tutte.
È su questa chiave che la Chiesa cattolica fonda la fede nella presenza reale, vera e sostanziale di Cristo nell’Eucaristia. Quando il sacerdote celebra l’Eucaristia, non ricorda Gesù nel senso psicologico del termine, ma, obbedendo al comando del Signore, compie l’anamnesis, ovvero rende presente, qui e ora, il sacrificio di Cristo. È l’unico sacrificio della Croce che si rende presente sacramentalmente in ogni Eucaristia. Non c’è una ripetizione materiale del sacrificio, ma un accesso al suo mistero sempre vivo, nella potenza dello Spirito Santo.
La confusione di molte interpretazioni protestanti sulla natura dell’Eucaristia nasce spesso dall’equivoco su questo termine. Se si pensa che la memoria sia solo ricordo affettivo, allora è coerente ritenere che l’Eucaristia sia un semplice simbolo. Ma se si accoglie la mentalità ebraica del Signore Gesù, allora si comprende che l’anamnesis è una partecipazione viva, reale e sostanziale al Mistero, alla sua Passione, Morte e Risurrezione.
I Padri della Chiesa hanno custodito con forza questa visione. Sant’Ireneo di Lione, nel II secolo, scriveva: «Come il pane che proviene dalla terra, ricevendo l’invocazione di Dio, non è più pane comune, ma Eucaristia, così i nostri corpi, ricevendo l’Eucaristia, non sono più corruttibili, perché portano in sé la speranza della risurrezione» (Adversus haereses, IV, 18, 4). Anche sant’Ambrogio, nel De Sacramentis, afferma con chiarezza: «Non è il pane che vediamo, ma è il corpo di Cristo. […] Con la parola di Cristo si compie il sacramento».
E ancora, san Giovanni Crisostomo afferma: «Quando vedi il Signore immolato, e il sacerdote che sta compiendo il sacrificio, e tutti i presenti che si tingono del sangue prezioso, pensi forse di essere ancora sulla terra? Non sei tu trasportato nel cielo?» (Hom. in Matt., 82,4). L’Eucaristia, nella sua anamnesis, è il cielo che si apre sulla terra.
Se Gesù ha detto «Fate questo in memoria di me», ha voluto dare agli Apostoli il potere e il compito di rinnovare, attraverso il sacramento, quella sua presenza reale, non simbolica. L’anamnesis è dunque atto sacerdotale, atto sacramentale, atto ecclesiale. È il cuore pulsante della vita della Chiesa. In essa non solo ricordiamo Cristo, ma partecipiamo realmente di Lui. Ed è per questo che la Messa non è una recita né un segno affettivo, ma è presenza vera, viva, efficace del Signore risorto e crocifisso, che si dona in cibo e bevanda per la nostra salvezza.
Tornare al significato originario della parola memoria nella Scrittura è per noi un’operazione necessaria, vitale, per non perdere il senso più profondo del sacramento dell’altare. Lì, nella povertà del pane e del vino, si cela Colui che ha vinto la morte. E, ogni volta che celebriamo, “annunciamo la sua morte, proclamiamo la sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta”. Non semplicemente ricordiamo. Riviviamo, perché Egli è davvero presente.