Su una sentenza della Corte suprema Usa

di Vincenzo Rizza

Caro Aldo Maria,

la recente decisione della Corte suprema degli Stati Uniti (United States v. Skrmetti) ha confermato la costituzionalità della legge del Tennessee che vieta la somministrazione di bloccanti della pubertà e ormoni a minori transgender ai fini della transizione di genere. La Corte, a maggioranza, ha ritenuto che la legge non è soggetta a scrutinio rafforzato (ciò che richiederebbe un livello di controllo più elevato per valutarne la legittimità costituzionale) tra l’altro perché:

– non vi sarebbe discriminazione in base al sesso (la legge vieta certi trattamenti per tutti i minori, indipendentemente dal sesso biologico);

– non vi sarebbe discriminazione in base allo status di transgender (la legge vieta trattamenti per specifiche diagnosi mediche, non per lo status dell’individuo).

La legge, pertanto, supererebbe il vaglio del rational basis review (lo scrutinio minimo, che richiede solo la verifica sul perseguimento da parte della legge di uno scopo legittimo e sull’esistenza di un nesso razionale tra il mezzo scelto e lo scopo perseguito) in quanto:

– il Tennessee ha fornito giustificazioni razionali (rischi medici, mancanza di maturità dei minori, effetti irreversibili, mancanza di consenso scientifico);

– il legislatore ha facoltà di intervenire in ambiti in cui vi sia incertezza scientifica e di imporre classificazioni anche imperfette.

Potrebbe sembrare, in apparenza, una vittoria per chi intende porre un argine all’ideologia di genere e tutelare i minori. Il ragionamento sottostante alla sentenza, tuttavia, è ben lontano da una restaurazione dell’ordine naturale. La Corte non ha affermato alcuna verità sull’uomo, né ha condannato le pratiche di transizione come intrinsecamente contrarie al bene della persona. Ha solo dichiarato che il legislatore statale può vietare certi trattamenti, se lo desidera, perché ha il potere per farlo.

La logica della sentenza è perfettamente coerente con l’impostazione giuspositivista oggi dominante: il diritto è ciò che il potere decide, non ciò che corrisponde al giusto.

Anche i giudici dissenzienti si collocano all’interno di questa logica. Il giudice Sotomayor ha redatto una lunga opinione contraria, sostenendo che è ingiusto trattare diversamente minori che desiderano accedere ai farmaci sulla base della loro identità di genere, difendendo il “diritto” del minore alla transizione medica e il dovere della Corte di pronunciarsi in favore di tale diritto. Su quale base, tuttavia? Sulla volontà soggettiva, sul desiderio autodeterminato, sulla fluidità identitaria.

Non c’è traccia, né nella decisione della maggioranza né nel parere dei giudici dissenzienti, di alcun riferimento alla “verità” della persona umana, alla “natura” dell’essere umano. In questo senso, entrambi i fronti sono sovrapponibili: il diritto non è la ricerca giuridica del bene, ma la gestione tecnica del potere, sia esso esercitato dal potere legislativo o da quello giudiziario.

In altre parole, la Corte suprema ha difeso la legge del Tennessee non perché rispecchia la verità sull’uomo, sul sesso e sull’identità, ma perché – cito testualmente – “We afford States wide discretion to pass legislation in areas where there is medical and scientific uncertainty” (“concediamo agli Stati ampia discrezionalità nell’emanare leggi in settori in cui vi è incertezza medica e scientifica”, pp. 22 e 23) e “we leave questions regarding its policy to the people, their elected representatives, and the democratic process” (“lasciamo le questioni riguardanti la sua politica alle persone, ai loro rappresentanti eletti e al processo democratico”, p. 24).

Ancora una volta siamo di fronte al trionfo del giuspositivismo: ciò che conta non è ciò che è vero o giusto, ma ciò che è deciso e approvato secondo le regole dalla maggioranza. Il diritto, in questa prospettiva, non è più una ricerca del bene conforme alla natura umana, ma l’arbitrato (quando non l’arbitrio) momentaneo tra forze sociali sulla base della regola del più forte.

Questa decisione protegge, allora, momentaneamente i bambini del Tennessee ma giustifica, sullo stesso piano, leggi diametralmente opposte in altri Stati: California, Connecticut, New York possono autorizzare la “transizione” dei minori senza violare la Costituzione, perché la Corte non si pronuncia sul contenuto etico della legge, ma solo sulla sua coerenza formale.

La Corte non ha difeso l’ordine naturale, ma ha semplicemente rinunciato a giudicare. L’ha detto esplicitamente: “Our role is not to judge the wisdom, fairness, or logic of the law” (“Il nostro ruolo non è giudicare la saggezza, l’equità o la logica della legge”, p. 24).

Che fare, allora? Bisogna comprendere che il terreno di scontro si è spostato. Non si tratta più solo di vincere una causa, ma di porre le fondamenta per un’altra nozione di diritto. Occorre ripensare il diritto non come volontà del potere o della maggioranza o come calcolo utilitaristico, ma come ricerca del giusto, fondata su una verità che precede lo Stato.

Vale la pena, allora, ricordare l’insegnamento di san Tommaso d’Aquino. Per il Dottore Angelico, la legge umana è vera legge solo se partecipa della legge naturale, e questa a sua volta della legge eterna:

– la legge eterna è il piano con il quale Dio governa le cose: “Sic igitur aeternus divinae legis conceptus habet rationem legis aeternae, secundum quod a Deo ordinatur ad gubernationem rerum ab ipso praecognitarum” (“Perciò la concezione eterna della legge divina si presenta come legge eterna, in quanto è ordinata da Dio al governo di quelle cose che egli già conosce”, ST, I-II, Q. 91, A. 1);

– la legge naturale è “la partecipazione della legge eterna nella creatura razionale” (“Et talis participatio legis aeternae in rationali creatura lex naturalis dicitur”, ST, I-II, Q. 91, A. 2);

– la legge umana è il complesso delle particolari disposizioni elaborate dalla ragione umana a partire dai precetti universali della legge naturale (“ita etiam ex praeceptis legis naturalis, quasi ex quibusdam principiis communibus et indemonstrabilibus, necesse est quod ratio humana procedat ad aliqua magis particulariter disponenda. Et istae particulares dispositiones adinventae secundum rationem humanam, dicuntur leges humanae…”: “così è necessario che la ragione umana, dai precetti della legge naturale, come da principi universali e indimostrabili, arrivi a disporre delle cose in maniera più particolareggiata. E queste particolari disposizioni, elaborate dalla ragione umana, si chiamano leggi umane …”; ST, I-II, Q. 91, A. 3).

Ne consegue che “Unde inquantum habet de iustitia, intantum habet de virtute legis. In rebus autem humanis dicitur esse aliquid iustum ex eo quod est rectum secundum regulam rationis. Rationis autem prima regula est lex naturae, ut ex supradictis patet. Unde omnis lex humanitus posita intantum habet de ratione legis, inquantum a lege naturae derivatur. Si vero in aliquo, a lege naturali discordet, iam non erit lex sed legis corruptio” (“Ora, tra le cose umane un fatto si denomina giusto quando è retto secondo la regola della ragione. Ma la prima regola della ragione è la legge naturale, come si è visto. Quindi una legge umana positiva in tanto ha natura di legge in quanto deriva dalla legge naturale. E se in qualche cosa è contraria alla legge naturale, non è più legge ma corruzione della legge”; ST, I-II, Q. 95, A. 2).

Se la legge umana si distacca dal diritto naturale, cessa di essere legge ma è solo la sua corruzione. La norma che autorizza, per esempio, la mutilazione farmacologica o chirurgica del corpo sano di un bambino non può essere ritenuta vera legge, anche se approvata democraticamente o ratificata da una Corte.

Se il diritto è solo volontà del potere, la legge non è più guida al bene, ma strumento di dominio. È questo, in fondo, il dramma del nostro tempo: la separazione del diritto dalla verità. Finché non torneremo a riconoscere che il giusto è ciò che è conforme alla natura razionale dell’uomo, e non alle sue passioni mutevoli, continueremo a oscillare tra forme opposte di dispotismo: quello dei parlamenti e quello delle corti Supreme.

 

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