di Leone Serenissimo
Caro Aldo Maria,
desidero ringraziarti sinceramente per il tuo intervento “Leone tra ambiguità e indifferentismo” [qui]. In esso ho trovato espressa per intero, in modo chiaro, diretto e ordinato, la mia personale posizione. L’unica differenza che ci potrebbe essere tra me e te sul tema che hai sviluppato sta nelle aspettative che avevi nutrito tu e quelle che invece io portavo dentro di me.
La sera dell’8 maggio tu scrivevi un entusiastico intervento intitolato “Benvenuto Leone XIV! Per favore, niente scherzi: confermaci nella fede”. Io invece passavo ore di mestizia. Ero infatti trasalito mentre ascoltavo le parole di Robert Francis Prevost nel discorso che aveva pronunciato dalla Loggia delle benedizioni. Il programma del suo presunto pontificato (dico presunto in quanto, come sai, io appartengo alla frangia di coloro che non ritengono legittimo il pontificato del suo scandaloso predecessore) era tutto contenuto in quelle poche, ma calcolatissime parole. Riporto i passaggi che mi fecero trasalire: “Ancora conserviamo nei nostri orecchi quella voce debole ma sempre coraggiosa di papa Francesco”; “Aiutateci anche voi, poi gli uni gli altri a costruire ponti, con il dialogo, con l’incontro”; “Grazie a papa Francesco!”; “Dobbiamo cercare insieme come essere una Chiesa missionaria, una Chiesa che costruisce i ponti, il dialogo, sempre aperta ad accogliere”; “Vogliamo essere una Chiesa sinodale, una Chiesa che cammina”.
Quel giorno, mentre alla televisione vedevo e ascoltavo, tremavo. Del resto, dobbiamo essere obiettivi e tenere i piedi saldamente piantati a terra. Ti chiedo: da un’adunanza di 133 cardinali, dei quali ben 108 creati dal distruttore argentino, rigorosamente scelti a sua immagine e somiglianza (con l’unica eccezione, forse, del religioso che per dodici anni è stato custode di Terra Santa), c’era da aspettarsi un’elezione di rottura, che portasse a una restaurazione nella Chiesa? Permettimi di dirti che fosse pura illusione solo il pensarlo.