Ior ridimensionato. Leone interviene sulle finanza vaticane e corregge la rotta indicata da Francesco
Il 29 settembre papa Leone XIV ha firmato una nuova lettera apostolica in forma di motu proprio (ovvero emanato di propria iniziativa, senza che ci sia stata una richiesta esterna) dal titolo “Coniuncta cura”, che interviene sulla struttura delle attività di investimento finanziario della Santa Sede.
Si sapeva che i cardinali, in occasione dell’ultimo conclave, avevano chiesto che il nuovo papa intervenisse presto in questo settore, e Leone ha rispettato l’impegno.
Con il nuovo provvedimento Leone XIV ridimensiona lo Ior, l’Istituto per le opere di religione, che sotto Francesco aveva assunto un ruolo predominante.
Se all’inizio del pontificato papa Francesco, in nome della “chiesa dei poveri e per i poveri” lasciò intendere che lo Ior avrebbe potuto addirittura essere chiuso, in realtà seguito lo rafforzò, fino al punto che nel 2022 emanò un rescriptum secondo cui “l’attività di gestore patrimoniale e di depositario del patrimonio mobiliare della Santa Sede e delle Istituzioni collegate con la Santa Sede compete in via esclusiva all’Istituto per le opere di religione”. Di qui la richiesta ai titolari di attività finanziarie e liquidità al di fuori dello Ior di trasferire tutto e subito alla “banca vaticana”. Un provvedimento che subordinava l’Apsa, l’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica, allo Ior e che molti in Vaticano non hanno mai digerito.
Il nuovo motu proprio conferma la competenza generale dell’Apsa sulle attività di investimento e specifica che, nel realizzarle, essa “fa effettivo uso della struttura organizzativa interna dell’Istituto per le opere di religione (Ior)”, ma lasciando la possibilità, per ragioni di efficienza e convenienza, di ricorrere a intermediari finanziari esterni, anche stabiliti in altri Stati, previa valutazione del Comitato per gli investimenti.
C’è dunque una correzione di rotta rispetto all’impianto fortemente centralizzato voluto da papa Bergoglio e giudicato da non pochi curiali più di natura ideologica che motivato da reali esigenze.
Le norme volute da Francesco nel 2022 furono una risposta sia agli scandali finanziari che hanno coinvolto la Segreteria di Stato (ricordiamo il famigerato investimento per un palazzo a Londra) sia alla crescente crisi di liquidità in Vaticano.
Con il suo provvedimento, Leone sembra invece avere abbastanza fiducia nella liquidità del Vaticano, forse anche – si dice – in virtù da ritorni finanziari inaspettatamente positivi nei primi mesi del nuovo pontificato.
Pare che, in seguito alla fine del regno di Bergoglio e all’elezione di Prevost, un’ondata di donazioni e promesse di sostegno si sia riversata nelle casse del Vaticano, tanto da rendere superate le valutazioni negative fatte da Francesco nell’ultima parte del suo pontificato, anche in relazione al fondo pensioni del Vaticano.
Tuttavia c’è anche chi ritiene che Leone sia stato convinto a revocare i divieti imposti da Francesco non perché le cose stiano andando bene, ma perché continuano a non andare abbastanza bene. Le politiche centralizzate volute da Francesco sono state definite da non pochi curiali come inattuabili, utili solo per creare colli di bottiglia nel sistema amministrativo e ostacolare, anziché favorire, lo sviluppo finanziario.
Stando a questa interpretazione, papa Leone ha deciso di permettere alla curia romana di rientrare nel gioco bancario e degli investimenti internazionali perché ha bisogno di ottenere rendimenti più elevati e in tempi più rapidi rispetto a quelli che può garantire lo Ior.
Una interpretazione non esclude necessariamente l’altra. Quel che è certo è che Leone, revocando le misure accentratrici volute da Francesco, restituisce maggiore flessibilità al sistema e in un certo senso lo liberalizza.
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Nella foto, il Torrione Niccolò V, sede dello Ior
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