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Dalle donne cardinale ai matrimoni omosessuali. Significative connessioni seguendo le tracce del gesuita Keenan

Creare donne cardinale. Otto per l’esattezza. Con tanto di elenco. È la proposta del gesuita James Keenan  (https://www.ncronline.org/news/accountability/if-we-want-reform-church-lets-make-women-cardinals) che sostiene: sarebbe l’unico modo di riformare la Chiesa.

Non è la prima volta che padre Keenan lancia la sua idea. Interessanti sono comunque i nomi delle otto “candidate”. Vediamoli.

Suor Margaret Farley, già censurata dalla Congregazione per la dottrina della fede per il suo libro Just Love. A Framework for Christian Sexual Ethics (New York, Continuum, 2006), è una sostenitrice della masturbazione e dell’omosessualità. Nel suo libro afferma fra l’altro che “dovrebbe essere ormai chiaro che le relazioni e le attività omosessuali possono essere giustificate secondo la stessa etica sessuale delle relazioni e delle attività eterosessuali”.  Inoltre suor Margaret è contro l’indissolubilità del matrimonio, in quanto, scrive, “la mia personale posizione è che l’impegno matrimoniale sia soggetto a scioglimento per le stesse ragioni fondamentali per le quali ogni impegno permanente, estremamente grave e quasi incondizionato, può cessare di esigere un vincolo”.

Suor Mary Ann Hinsdale è collega di padre Keenan al Boston College, nonché ammiratrice di Gregory Baum, ex sacerdote, morto un anno fa a novantaquattro anni, il quale nel suo ultimo libro rivelò di essere omosessuale da quando aveva quarant’anni. Baum, nato in una famiglia di origine ebraica e sostenitore a sua volta del matrimonio omosessuale, è stato l’estensore della prima parte del documento conciliare Nostra Aetate (sul dialogo della Chiesa con gli ebrei) ed è stato colui che spinse la Chiesa del Canada a rifiutare l’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI.

Suor Mary Catherine Hilkert ha firmato una dichiarazione femminista che chiede la fine del patriarcato nella Chiesa e l’accettazione dell’omosessualità.

Suor Theresa Forcades, anche lei militante femminista e teorica di una “teologia queer” (attenta cioè a tutte le forme di sessualità “non convenzionali”), accusa la Chiesa di essere misogina e dice che l’intera struttura va cambiata. Perché? La Chiesa è fondata sul clericalismo e, poiché solo i maschi possono essere ordinati sacerdoti, il clericalismo è fondato a sua volta sul maschilismo. Dunque spazio alle donne e alle sessualità alternative.

Linda Hogan, irlandese, docente di teologia al Trinity College di Dublino, autrice di saggi che ruotano attorno all’”etica interculturale femminista” e di un articolo in difesa dei “matrimoni” fra persone dello stesso sesso (pubblicato in piena campagna referendaria irlandese sui matrimoni gay nel 2015), fu già proposta come “cardinalessa” da padre Keenan nel 2013.

Agnes Brazal, teologa di Manila, è specializzata in femminismo, migrazioni e post-colonialismo.

Elizabeth Johnson, teologa femminista, è autrice di un saggio intitolato Colei che è. Il mistero di Dio nel discorso teologico femminista.

Cathleen Kaveny, anche lei del Boston College, nel 2014 condusse un dibattito pubblico con il cardinale Kasper nel corso del quale, circa la questione dei divorziati risposati, il porporato affermò: “Papa Benedetto ha detto che possono essere in comunione spirituale con Cristo, e allora perché non l’eucarestia?”.

Phyllis Zagano, studiosa specializzata nelle ricerche sul ruolo delle donne nella Chiesa, è sostenitrice del diaconato e dell’ordinazione femminile.

Shawn Copeland (di nuovo Boston College) è teologa e antropologa su posizioni pro Lgbt.

Ecco qua dunque le “magnifiche otto” proposte dal padre Keenan per il cardinalato.

C’è da dire che il tema del cardinalato femminile ogni tanto riemerge. Durante il concistoro del giugno 2017, per esempio, il neo-cardinale svedese Anders Arborelius suggerì al papa di prendere in considerazione l’ipotesi della creazione di un organismo consultivo speciale, formato da sole donne, per “offrire maggiori opportunità alla leadership femminile nella Chiesa”. L’organismo, aggiunse Arborelius, potrebbe avere un ruolo ufficiale: “Abbiamo un collegio cardinalizio, ma potremmo avere anche un collegio di donne per dare consigli al papa”.

Si racconta inoltre che Giovanni Paolo II, al quale qualcuno consigliò di creare cardinale Madre Teresa di Calcutta, rispose: “Gliel’ho chiesto, ma lei non vuole”.

Una donna cardinale, spiegano gli esperti, teoricamente non è impossibile, né teologicamente né dal punto di vista canonico. Il cardinalato infatti è un ruolo per il quale non è necessaria l’ordinazione ministeriale.

A favore di ruoli di responsabilità per le donne si è schierato anche il cardinale Reinhard Marx (“Abbiamo bisogno di una nuova immagine di Chiesa, una Chiesa mondiale guidata da uomini e donne, di tutte le culture, che lavorano insieme”), ma, ripeto, ciò che colpisce nella proposta del padre Keenan non è tanto la proposta in sé, quanto i nomi delle otto: tutte, come abbiamo visto, femministe a favore del matrimonio omosessuale, della “liberazione sessuale” e della transessualità.

Si tratta di un filone di pensiero che presso alcuni gesuiti incontra particolare favore, come si vede bene nel caso di padre James Martin, il più celebre gesuita pro Lgbt.

Scorrendo poi i nomi delle otto possibili “cardinalesse” si scoprono interessanti connessioni.

Una delle suore proposte da Keenan nel suo elenco, Theresa Forcades, è molto amica del sacerdote José Tolentino de Mendonça, vicerettore dell’Università Cattolica di Lisbona e consultore del Pontificio consiglio della cultura, che quest’anno è stato scelto dal papa per predicare gli esercizi spirituali a lui e all’intera curia romana.

Tolentino non ha mai nascosto il suo apprezzamento per suor Forcades, tanto da scrivere una prefazione piena di complimenti al libro della religiosa catalana A teologia feminista, na história.

Spinto dall’entusiasmo, Tolentino arriva a sostenere che la storia dell’Occidente, addirittura, sarebbe stata diversa se la nostra cultura avesse adottato il metodo Forcades, ovvero “un modo simbolico, aperto e sensibile di approcciare il reale invece delle trionfali grammatiche univoche che conosciamo”.

Un modo “aperto e sensibile”, opposto alle “grammatiche univoche”, significa ovviamente dire sì al matrimonio omosessuale e al transessualismo, proprio come sostiene suor Forcades.

Ma è il nome dello stesso padre Keenan a permettere altre connessioni significative.

All’inizio del 2003, infatti, il gesuita americano si schierò con decisione, nel Massachusetts, contro un emendamento costituzionale che definiva il matrimonio come unione stabile di un uomo e una donna. Sì, avete capito bene: Keenan, sacerdote cattolico, si schierò contro. E con lui ci furono altri due preti.

All’epoca padre Keenan incominciò la sua testimonianza contro l’emendamento con queste parole: “Sono qui oggi per testimoniare contro H.3190 [la sigla dell’emendamento, ndr] perché è contrario all’insegnamento cattolico sulla giustizia sociale”. E concluse sulla stessa linea: “Come sacerdote e come teologo morale, non riesco a vedere come qualcuno possa usare la tradizione cattolica romana per sostenere H. 3190”.

La Massachusetts Catholic Conference pubblicò prontamente un memorandum per stigmatizzare la presa di posizione di Keenan, sottolineando la completa distorsione dell’insegnamento cattolico operata dal gesuita. Sostenere, come fece Keenan, la necessità di respingere un emendamento costituzionale che definiva il matrimonio l’unione stabile di un uomo e una donna, e motivare l’opposizione spiegando che un tale emendamento avrebbe leso i principi della giustizia sociale cattolica, significa, disse il memorandum, travisare completamente l’insegnamento della Chiesa, ma tutto ciò non ha impedito al gesuita di proseguire nella sua brillante carriera di docente e organizzatore di grandi eventi, tra i quali molti convegni di teologia morale.

E proprio a proposito di convegni ecco un’altra connessione interessante.  Quando Keenan, l’estate scorsa, ha organizzato a Sarajevo un meeting internazionale sull’etica cattolica, con numerosi oratori a favore di femminismo, matrimonio omosessuale e altri “diritti” Lgbt, sapete chi gli ha inviato una lettera di tre pagine piena di apprezzamento? Papa Francesco in persona.

“A Critical Time for Bridge-Building: Catholic Theological Ethics Today”, questo il titolo del convegno, e ovviamente il riferimento alla costruzione di ponti non poteva sfuggire a Bergoglio, che nel messaggio scrive:  “Sarajevo è città di ponti. Anche il vostro convegno ha voluto ispirarsi a questo motivo dominante, preso a monito per ricostruire, in un clima di divisioni e di tensioni, cammini nuovi di avvicinamento tra popoli, culture, religioni, visioni della vita, orientamenti politici. Ho apprezzato questo vostro sforzo fin dall’inizio, in occasione della visita in Vaticano dei membri del vostro Planning Committee, nel marzo scorso”.

Dunque papa Francesco apprezza. E aggiunge: “Se mi chiedo come possa l’etica teologica offrire il proprio specifico contributo in tal senso, apprezzo l’intuizione che vi proponete di attuare: fare rete tra persone che, nei cinque continenti, con modalità ed espressioni diverse, si dedicano alla riflessione etica in chiave teologica e si sforzano di trovare in essa risorse nuove ed efficaci. Con tali risorse si possono condurre analisi appropriate, ma soprattutto mobilitare energie in ordine ad una prassi compassionevole e attenta al dramma umano per accompagnarlo con cura misericordiosa. Per tessere questa rete, urge prima di tutto tra di voi costruire ponti, condividere percorsi, accelerare avvicinamenti. Non si tratta certo di uniformare i punti di vista, ma piuttosto di cercare con volontà sincera la convergenza negli intenti, nell’apertura dialogica e nel confronto sulle prospettive… E imparerete sempre meglio le forme della fedeltà alla Parola di Dio che ci interpella nella storia e della solidarietà con il mondo, sul quale non siete chiamati a emettere giudizi, ma a indicare strade, accompagnare cammini, lenire ferite, sostenere fragilità.Ringrazio con voi i responsabili che lasciano l’incarico e quelli che lo assumono, prego per loro e a tutti invio di cuore la mia benedizione, chiedendo per favore anche a voi di pregare per me”.

Dunque i teologi che si occupano di morale non sono chiamati “a emettere giudizi” sul mondo.

E a Sarajevo poteva forse mancare la compagnia di giro tanto cara a Keenan? Certo che no. Ecco dunque, fra gli altri, Linda Hogan, la femminista pro gay possibile “cardinalessa”; Stephan Goertz, uno dei più aperti sostenitori della necessità di arrivare a un riconoscimento delle coppie omosessuali sul piano sacramentale; il dottorando omosessuale Craig A. Ford Jr. (tanto per cambiare del Boston College) che ha consigliato a cattolici queer e Lgbtia di stare alla larga dai confessionali; il teologo sudtirolese Martin Lintner, grande sostenitore di Amoris laetitia e secondo il quale “la Chiesa deve svelenire l’eros”; e Charles Curran, sì, proprio lui, il “teologo della sessualità”, la cui storia è emblematica di una certa teologia del dissenso cattolico.

Ordinato sacerdote nel 1958, Curran nel 1967 viene esonerato dalla docenza di teologia morale all’Università Cattolica di Washington per le sue idee decisamente poco cattoliche. Reintegrato in seguito alla protesta di una quarantina di docenti e qualche migliaio di studenti, nel 1968 diventa portavoce del dissenso contro l’enciclica Humanae vitae e continua imperterrito a sfidare la posizione ufficiale della Chiesa su argomenti come i rapporti sessuali prematrimoniali, la masturbazione, i metodi contraccettivi, l’aborto, l’omosessualità, il divorzio, l’eutanasia e la fecondazione in vitro. Si arriva così al 1986, quando la Congregazione per la dottrina della fede, presieduta da Joseph Ratzinger, dopo numerosi quanto inutili richiami, stabilisce la definitiva espulsione di Curran dalla facoltà dell’Università Cattolica d’America e la proibizione di insegnare teologia, in quanto l’aperto dissenso del teologo americano rispetto al magistero cattolico non può essere compatibile con la docenza. Di nuovo, alcuni professori protestano e il cardinale Joseph Bernardin (1928-1996) di Chicago propone una mediazione: mantenere Curran nell’università, a patto che non insegni etica sessuale, ma la mediazione non ha esito, e neppure una successiva causa legale intentata da Curran ha successo.

Ma tra i nomi di spicco presenti alla conferenza di Sarajevo ci sono stati anche molti partecipanti a un precedente evento sponsorizzato dai gesuiti. Parliamo della Giornata di studi tenutasi a Roma nel maggio 2015 in vista del secondo Sinodo sulla famiglia, con il gesuita francese Alain Thomasset, il quale precisò che la Giornata di studi doveva servire in vista dell’”ammorbidimento della peccaminosità oggettiva” degli atti omosessuali, così come di alcune forme di contraccezione non ammesse dalla Chiesa.

Tra i partecipanti e i finanziatori (con fondi della Conferenza episcopale Usa) del convegno di Sarajevo figura il cardinale Blase Cupich, arcivescovo di Chicago, già protetto dal cardinale omosessuale e predatore seriale Theodor McCarrick, il quale Cupich si è distinto di recente per aver sostenuto in un’intervista che, rispetto alla crisi degli abusi sessuali, il papa ha un’agenda ben più ampia (“a bigger agenda”) della quale occuparsi, a partire da ambientalismo e migranti.

A Sarajevo alla fine del convegno è stato emesso un documento nel quale i partecipanti dicono: “Il nostro compito profetico non è solo quello di critica, ma anche quello di annunciare e descrivere un nuovo ordine, una nuova alleanza, un nuovo futuro.”

Ecco, in sintesi, le persone al centro di quelle reti che Francesco chiede di mettere in relazione sempre più stretta per “costruire ponti, condividere percorsi, accelerare avvicinamenti”.

L’avvicinamento, sì. Al baratro.

Aldo Maria Valli

 

 

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