Amare il prossimo. Tra parole sante e dura realtà

«Amare l’umanità non è una gran fatica. Faticoso è amare l’uomo della porta accanto». L’ha detto Quino, il fumettista creatore di Mafalda, ed è una gran verità.

Io lo so bene, perché il vicino della porta accanto un giorno bussò da noi. Mi disse che si sentiva poco bene e che aveva un dolore al petto. Siccome lo conoscevo come persona un po’ strana e mi ero fatto l’idea che fosse anche un po’ ipocondriaco, gli risposi di stare calmo, di bere qualcosa di caldo e di mettersi a letto. Dopo di che lo congedai con un sorriso. Passò qualche ora e il vicino bussò di nuovo. Questa volta aprì mia moglie Serena, che io chiamo Santa Subito, e lei, diversamente dal sottoscritto, prese la cosa molto sul serio. Pensando al peggio, prese il vicino, lo caricò in macchina e lo portò all’ospedale, dove gli fu diagnosticato un principio di infarto.

Un altro fumettista geniale, Charles Schulz, il papà di Charlie Brown, una volta ha fatto dire a Linus: «Io amo l’umanità. È la gente che non sopporto». Linus mi ha letto nel pensiero. Per fortuna c’è Santa Subito, che da più di trent’anni sta cercando di rieducarmi e, soprattutto, interviene in caso di bisogno.

Qualche giorno fa, passando davanti all’ospedale pediatrico Bambin Gesù, qui a Roma, Santa Subito, sospirando, ha detto: «Eh! Quante volte sono stata qui!». Siccome non mi risultava che qualcuno dei nostri sei figli, quando erano bambini, fosse mai stato ricoverato al Bambin Gesù, Santa Subito mi ha confidato di esserci stata più volte per portare figli di amici e vicini di casa.

Ecco ciò che ci differenzia: se per me  il «prossimo»  è semplicemente quello che viene dopo, per lei, samaritana a tempo pieno, la parola «prossimo» ha un significato preciso e ha il volto del bisognoso.

Nonostante la  mia durezza di cuore, tanti anni accanto a Santa Subito devono avermi trasmesso qualcosa. Me ne accorgo quando sono al lavoro. Siccome noi giornalisti, ammettiamolo, non siamo noti precisamente per la nostra bontà, per il senso di compassione e per l’umana pietà (ci sarà un motivo se gli animali ai quali siamo più comunemente associati sono iene, squali e sciacalli), il sottoscritto è spesso guardato come un alieno piovuto da un altro mondo. In realtà non faccio un gran che. Nei rapporti con chi lavora accanto a me, mi limito a usare le tre parole magiche tante volte ricordate da papa Francesco (permesso, scusa, grazie), non alzo la voce, non insulto, di tanto in tanto sorrido. Ebbene, basta questo perché il sottoscritto sia considerato un «raro caso di giornalista dal volto umano», come mi è stato detto una volta.

Capirete che, se siamo ridotti così, vuol dire che qualcosa non va nel nostro modo di relazionarci. Perché siamo caduti così in basso? Quando lo chiedo a Santa Subito, lei in genere mi guarda con i suoi occhi dolci e dice: «Aldino, mi spiace, ora non ho tempo. C’è così tanto da fare!», e corre in parrocchia, dove fa la catechista e ci sono sempre decine di bambini che la aspettano. Così resto solo con i miei dubbi.

Sono i santi di tutti i giorni quelli che mandano avanti la Chiesa. Francesco l’ha detto qualche giorno fa nella messa del mattino e io ho pensato subito a Santa Subito. In un’altra omelia a Santa Marta Francesco ha detto che il cristiano ha un cuore grande, che accoglie tutti, e di nuovo mi è venuto naturale pensare a Santa Subito, che non solo fa la catechista ma, su richiesta, ora che l’anno scolastico è finito, apre le porte di casa ai bambini di coppie che lavorano e non sanno dove piazzare i pupi.

Vivere con una santa è una grande esperienza, ma ti mette di fronte a tutti i  tuoi limiti. Dicevo poco fa che nel mio ambito di lavoro cerco di comportarmi come un giornalista dal volto umano. Devo essere sincero: non ci riesco sempre. A volte, come dicono da queste parti, «sbrocco», ma di brutto. Com’è noto, non c’è peggior violento di un timido che perde la calma. A me succede davanti all’arroganza e alla chiusura mentale degli addetti ai controlli nella zona del Vaticano.

Fare il giornalista televisivo spesso vuol dire correre, letteralmente, per riuscire ad arrivare in tempo nel luogo in cui si sta svolgendo un avvenimento o, al contrario, per tornare in redazione e realizzare il servizio. Correre in mezzo alla folla è di per sé un’impresa disperata, ma con qualche slalom e con qualche «permesso, scusi, grazie», si può fare. Il vero ostacolo diventa quello che io chiamo il CO, ovvero il Controllore Ottuso, un genere di persona che ha la fastidiosa caratteristica di capitare sul tuo cammino proprio quando tu hai i secondi contati.

Il CO è uno che non capisce e, purtroppo, non vuol capire. Tu gli mostri il tuo bel lasciapassare con scritto «Stampa», ma lui dapprima finge di ignorarti e poi alza il palmo della mano e lo rivolge verso di te, come per dire: «Calma». Ma come sarebbe a dire «calma»? Amico mio, tra pochi minuti va in onda il telegiornale e se io non arrivo in redazione sono dolori! Di nuovo il palmo alzato. Sul cellulare si moltiplicano i messaggi del caporedattore: vuole sapere dove sono finito e perché non ho ancora mandato il servizio. Mentre cerco di digitare  una risposta, sventolo di nuovo il mio lasciapassare in faccia al CO, ma lui non si smuove. Dice che devo aspettare, c’è altra gente da far passare e poi vuole sapere che cosa c’è nello zainetto che porto in spalla. Apro lo zainetto, gli faccio vedere che dentro ci sono solo il tablet, il taccuino e la penna e dico: «Le chiedo scusa, ma la mia situazione è disperata. Mi faccia passare. Devo assolutamente raggiungere Borgo Sant’Angelo». Ma lui niente. Visibilmente infastidito, il CO si limita ad alzare il sopracciglio. E io sudo freddo.

Spesso il CO, tanto per perdere un altro po’ di tempo, chiama un secondo CO di grado più elevato, perché deve consultarsi. E tu lì, in attesa, a friggere. Ma allora il lasciapassare a che cosa serve?  Il mese scorso ho fatto la domanda direttamente al CO di turno: «Vede, questo è un lasciapassare. Se non l’avesse capito, vuol dire che lei mi deve lasciar passare». Unica risposta: il palmo alzato. Posso dirlo? Gli avrei dato un morso.

Tempo fa un CO particolarmente accanito è arrivato a sibilarmi le seguenti parole: «Caro signore, di qui non si passa. Ragioni di sicurezza. Ma lei non li vede i telegiornali?». Confesso di essere rimasto per qualche istante incredulo, quasi paralizzato. Poi ho preso il mio lasciapassare, dove c’è scritto che il sottoscritto è un giornalista della tv, gliel’ho messo davanti a quella sua faccia imperscrutabile e gli ho chiesto: «Ma lei è imbecille o che cosa? Guardi qui! Sono io che faccio il telegiornale! Ma se lei non mi fa passare non ci riuscirò mai!». Dopo di che gli ho dato uno spintone e sono passato. Ero convinto che mi avrebbe rincorso e ammanettato, o qualcosa del genere, invece non è successo niente e io, incredibilmente, sono ancora a piede libero.

Quando torno a casa e, affranto, dico a Santa Subito che non ho più l’età per queste cose, lei mi guarda e poi lascia cadere la sua perla di cristiana saggezza: «I grandi risultati si ottengono sempre attraverso grandi prove. E poi, Aldino, amare il prossimo sarebbe troppo facile se il prossimo fosse sempre bello, simpatico, amabile e disponibile, non credi?». Parole sante. Ma se le prove, ogni tanto, fossero un po’ meno grandi? E se, in particolare, il prossimo CO fosse un po’ meno ottuso? Chiedo troppo?

Dio si incontra in piedi, in silenzio e in uscita. Parole di papa Francesco, giorni fa, a Santa Marta. Anche queste parole sante, naturalmente. Ma allora perché io, povero cronista, quando cerco di uscire dalla zona del Vaticano, possibilmente restando in piedi in mezzo alla folla travolgente, invece di incontrare il buon Dio incontro sempre un CO? E come faccio a stare in silenzio davanti alla manifesta imbecillità di un CO?

Meditabondo, ricorro a Chesterton, il mio cardiotonico: «La Bibbia ci dice di amare il nostro prossimo, e anche di amare i nostri nemici; probabilmente perché di solito si tratta delle stesse persone». Il buon vecchio Gilbert non faceva il giornalista televisivo, ma aveva capito tutto.

Aldo Maria Valli

 

 

 

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