Come evitare che il diavolo ci metta “in saccoccia”. Un ricordo del padre Amorth

«Sia lodato Gesù Cristo!». Salutava sempre così il padre Gabriele Amorth. Stare in sua compagnia provocava una sensazione un po’ strana. Da un lato, considerata la sua abitudine a trattare con il diavolo, era inevitabile  restarne inquietati. Dall’altro però era anche consolante. Perché il padre Amorth più che del diavolo parlava  di Dio, e sempre come di un padre amoroso.

Amorth, conosciuto come l’esorcista più celebre e quindi come uno che si occupava di cose cupe, in realtà esaltava la vita. Ma non in modo generico o sentimentale. L’origine, la fine e il significato della vita umana: questo gli interessava.

Ricordo quando difendeva la creazione divina. La vita, diceva, nasce da Dio. Gli scienziati dicono che c’è stata una particella iniziale e poi l’evoluzione, fino alla scimmia e all’uomo, ma prima? La questione sta sempre in quel prima.

Per lui la vita era dono. C’è forse qualcuno che ha chiesto di venire al mondo? No. Tutto è dono, ma oggi lo vogliamo rifiutare. Milioni di bambini uccisi con l’aborto, diceva, rappresentano un tremendo rifiuto del dono di Dio.

Non dobbiamo chiederci da che cosa veniamo, ma da chi. E la risposta è una sola: da Dio creatore, che ci ha pensati da sempre, così come siamo.

E poi la fine della vita. Amorth ne parlava spesso. Diceva: facciamo finta che non succederà mai, ma non ci sono eccezioni. Non possiamo sfuggire alla morte, ed è inutile accumulare tesori, perché non contano nulla. L’unica domanda che conta è: quando moriamo, dove andiamo?  Saremo felici o disperati?

Amorth aveva questa concretezza, alla quale non siamo più abituati. Le sue domande erano radicali, così come le risposte. Dopo la vita, spiegava, non ci sono che due possibilità: paradiso o inferno. Va bene, c’è anche il purgatorio, ma è transitorio.

Su questa terra, aggiungeva, abbiamo due limiti, spazio e tempo, ma nell’eternità non ci saranno. È chiaro che ciò che conta è l’eternità, rispetto alla quale la vita terrena è nulla. Eppure non ci pensiamo.

A che cosa serve la vita? Ecco un’altra domanda radicale che il padre Amorth non aveva paura di porre. E altrettanto radicale era la risposta: serve a guadagnarsi la salvezza eterna. Scopo della vita, creata per amore, è la salvezza in Gesù Cristo.

In queste sue argomentazioni c’è tutta la semplicità del Catechismo di San Pio X, che Amorth citava sempre, a volte quasi scusandosi: «Che ci volete fare, sono cresciuto con quello!». E così davanti a padre Amorth si restava anche un po’ interdetti. Dopo tanta sociologia religiosa, con lui si era riportati al dunque.

Una volta gli chiesi: lei si occupa molto del demonio e dunque del male, ma è possibile che il buon Dio ci abbia condannati al male? Rispose: ma figliolo caro, Dio non ci ha condannati al male, ci ha donato il libero arbitrio, ci ha voluti liberi, e così ci ha resi grandi. Con la libertà ha voluto renderci partecipi della sua libertà e ci ha donato il gusto di arrivare liberamente alla verità. Se ci avesse forzato, ci avrebbe utilizzati. Invece, con la libertà, ci ha donato anche la possibilità di determinare il destino della nostra esistenza e di manifestare la nostra gratitudine.

Anche gli angeli, spiegava, furono creati da Dio, ma , ahinoi, alcuni di loro caddero nel peccato di superbia. Si videro talmente belli, talmente forti e così potenti da pretendere di essere come Dio. Di qui una scelta terribile: la ribellione motivata dall’orgoglio. Hanno ceduto alla tentazione più grande, quella che poi il demonio ripropone continuamente a ogni creatura.

In cielo, dice l’Apocalisse, c’è stata una battaglia tra angeli fedeli e angeli traditori. E questi ultimi si sono autocondannati all’inferno. L’inferno, spiegava Amorth, esiste eccome, come esiste il giudizio di Dio, ma non è stato creato da Dio: se l’è costruito chi ha voluto opporsi a Dio. Insomma, all’origine del male c’è una ribellione. La superbia e l’orgoglio al posto dell’amore e della riconoscenza.

Non esistono vie di mezzo, diceva Amorth. Non credete a chi parla di una terza via. O con Gesù o contro Gesù.

I tre principi del satanismo, spiegava, sono i seguenti: fai quello che vuoi, non devi ubbidire a nessuna legge, sei tu il dio di te stesso. Da qui nascono tutti i mali. E nessuno può dire: né con il Signore né con satana. Chi dice così rinnega Dio e le sue leggi. Chi dice così sta dalla parte del diavolo.

Purtroppo, diceva ancora, oggi tanti non credono al demonio, e così lui «se li porta tutti in saccoccia». E tra questi, notava sconsolato, ci sono anche tanti preti.

Raccomandava: non dimentichiamo mai che il demonio odia Dio ed è per questo che ci vuole portare all’inferno. La sua tattica è semplice, è la stessa usata con Adamo ed Eva: la tentazione. Ci fa credere che la legge di Dio non sia per noi un bene, ma un male, e così ci spinge alla disubbidienza.

Guardate, diceva, com’è trattato oggi il sesto comandamento: non commettere atti impuri. Nessuno più lo prende in considerazione, neanche nella Chiesa. Ecco il demonio all’opera. Che dice: non preoccuparti dei comandamenti, l’importante è che tu faccia esperienze. La parola «esperienza» è diventata la chiave per fare quel che si vuole. Il demonio è astuto: cerca di convincerci che il male sia un bene. E noi ci caschiamo.

Occupandosi degli indemoniati, il padre Amorth naturalmente aveva una certa dimestichezza con il demonio, e gli parlava direttamente. Raccontava: «Una volta gliel’ho detto: tu sei monotono nel tentare l’uomo, usi sempre lo stesso sistema. E sapete che cosa mi ha risposto il diavolo? Hai ragione: sono monotono, uso sempre lo stesso metodo, ma è un metodo che rende!».

I suoi esorcismi furono migliaia, forse più di cinquantamila. Gli insegnarono che il diavolo è intelligente, ma tutto sommato prevedibile, e dunque non imbattibile. Spiegava: io con lui ho un confronto continuo. Diceva anche che le possessioni possono essere di diverso tipo, ma hanno in comune un sintomo: l’avversione al sacro.

Il diavolo, mi disse una volta, vuole restare nascosto. Finché è nascosto, può agire indisturbato. Ha paura di essere scoperto, perché sa che io gli darò lo sfratto dalla persona indemoniata.

Amorth metteva in guardia dalle pratiche occulte: messe sataniche, messe nere, sedute spiritiche. Ripeteva che la magia, soprattutto in alcune sue forme africane poi arrivate in America Latina, favorisce la presenza del demonio. Mai – ammoniva –  lasciarsi attirare dalla magia, nemmeno per semplice curiosità.

Trascorreva le sue giornate a fare esorcismi: ore e ore a pregare e a lottare. Diceva che, come per le malattie, la cura va fatta il prima possibile. Più passa il tempo, più è difficile cacciare il demonio. Il diavolo, sosteneva, può possedere anche bambini piccoli, perfino bambini ancora non nati.

Il fatto che nei seminari non si parli più del diavolo, o se ne parli molto poco, gli procurava sincero dispiacere. Diceva: se i giovani preti non conoscono il diavolo, non lo potranno combattere.

Ultimamente era anche dispiaciuto per l’uso indebito che alcuni facevano del suo nome. Fu costretto a precisare: «I miei collaboratori sono pochissimi, fidati e riservati, nessuno di loro si fa pubblicità approfittando del mio nome». Sapeva che anche l’esorcismo può diventare business.

La lista d’attesa, per farsi esorcizzare o semplicemente per avere un colloquio con lui, era lunghissima. Ora potrà riposarsi. A meno che non sia impegnato, anche lassù, in un nuovo tipo di partita con il nemico di sempre.

Aldo Maria Valli

 

 

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