Ma Gesù ha detto quel che ha detto? I “dubia” del generale dei gesuiti

Dunque, vediamo di riassumere. Per Arturo Sosa «bisognerebbe  incominciare una bella riflessione su che cosa ha detto veramente Gesù. A quel tempo nessuno aveva un registratore per incidere le sue parole. Quello che si sa è che le parole di Gesù vanno contestualizzate, sono espresse con un linguaggio, in un ambiente preciso, sono indirizzate a qualcuno di definito».

Ora, anche se ha un nome da calciatore, Arturo Sosa non è l’ultimo acquisto dell’Atalanta. È un religioso. Un gesuita. Anzi, il generale dei gesuiti. Il successore di sant’Ignazio. E dice che le parole di Gesù non sono proprio sicure, perché all’epoca nessuno aveva il registratore. Lo dice in una lunga intervista a Giuseppe Rusconi, giornalista ticinese. E lo dice con certezza, senza tentennamenti.

Rusconi ci assicura che quelle sono proprio le espressioni utilizzate da Sosa. D’altra parte oggi i registratori ci sono, e Rusconi li sa usare. Le risposte sono state inviate al padre Sosa per una sua eventuale revisione, e lui ha confermato tutto.

Bene. Apprendiamo così che per il capo dei gesuiti i quattro Vangeli non sarebbero del tutto affidabili. Lui nutre dei «dubia». Gli evangelisti potrebbero essersi distratti, e d’altra parte non avevano il registratore, dunque…

Dunque bisogna contestualizzare. Che significa?

Rusconi lo chiede: «Ma allora, se tutte le parole di Gesù vanno esaminate e ricondotte al loro contesto storico, non hanno un valore assoluto».

Risposta di Sosa: «Nell’ultimo secolo nella Chiesa c’è stato un grande fiorire di studi che cercano di capire esattamente che cosa volesse dire Gesù […]. Ciò non è relativismo, ma certifica che la parola è relativa, il Vangelo è scritto da esseri umani, è accettato dalla Chiesa che è fatta di persone umane».

Ulteriore e inevitabile domanda: «È discutibile anche l’affermazione (cfr Matteo 19, 3-6) “Non divida l’uomo ciò che Dio ha congiunto”?».

Risposta di Sosa: «Io mi identifico con quello che dice papa Francesco: non si mette in dubbio, si mette a discernimento».

«Cioè – osserva Rusconi – si mette in dubbio, poiché il discernimento è valutazione, è scelta tra diverse opzioni. Non c’è più obbligo di seguire una sola interpretazione».

Risposta: «No, l’obbligo c’è sempre, ma di seguire i risultati del discernimento. Non è una qualsiasi valutazione».

Obiezione dell’intervistatore: «Però la decisione finale si fonda sul giudizio relativo a diverse ipotesi… Insomma mette in dubbio la parola di Gesù».

Risposta: «Non la parola di Gesù, ma la parola di Gesù come noi l’abbiamo interpretata. Il discernimento non sceglie tra diverse ipotesi, ma si pone in ascolto dello Spirito Santo che, come Gesù ha promesso, ci aiuta a capire i segni della presenza di Dio nella storia umana».

L’intervista completa si può leggere nel sito di Giuseppe Rusconi, www.rossoporpora.org.

I temi toccati sono tantissimi. Qui interessa questa parte sul discernimento, parola centrale nella spiritualità di ogni gesuita, ma centralissima per padre Sosa. Perché, spiega, la Chiesa è un «cantiere aperto a chi vuol discernere» e «chi entra nel cantiere deve essere preparato a discernere».

Mettiamo agli atti. In attesa che dal generale della Compagnia di Gesù arrivi magari la proposta di sostituire la preghiera del «Credo» con quella del «Discerno» e di modificare o integrare la definizione di Chiesa (non più, o non solo, «sposa di Cristo», «madre nostra» e «comunione dei santi», ma anche «cantiere aperto»), ci si potrebbe interrogare su numerosi passi evangelici. In pratica, su tutti. Gesù ha detto veramente quel che Scrittura e Tradizione ci hanno consegnato? A questo punto, perché non cambiare tutti i verbi del Vangelo relativi a Gesù sostituendo l’indicativo e mettendoci il condizionale? Non Gesù «disse», ma «avrebbe detto»; non Gesù «rispose», ma «avrebbe risposto».

Per esempio, il brano di Marco (10, 2-9) sull’indissolubilità del matrimonio potrebbe suonare così: «E avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: “È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?”. Ma egli avrebbe risposto loro: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?”. Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla”. Gesù avrebbe detto loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto”. Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli avrebbe detto: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”».

Ma il padre Sosa, dopo essere stato eletto generale, ha dato altre interviste. Come quella al mensile «Jesus» (gennaio 2017), nella quale a un certo punto sostiene che «il peccato non è rompere una norma, il peccato è non amare, amare se stessi invece che Dio e gli altri».

Se l’intervistatore fosse stato Rusconi, immagino che non avrebbe mollato l’osso e gli avrebbe chiesto di spiegare meglio: dire che «il peccato è non amare» non è un po’ troppo generico? E com’è possibile sbarazzarsi della norma? Se lo si fa, non si cade nel relativismo e nel giustificazionismo? Se si elimina la norma, non resta soltanto il sentimento soggettivo? E, lungo questa strada, non si finisce con il giustificare tutto?

Purtroppo in questa seconda intervista il padre Sosa non aveva a che fare con il mastino Rusconi, per cui non c’è stato contraddittorio. Però qualche altro passaggio risulta interessante.

Ecco che si parla  di Francesco, del suo magistero e dei «detrattori»  che lo mettono in discussione «in maniera sistematica», e il generale osserva: «Sì, c’è gente che ha questo programma in mente e lo attua. Gente che non è d’accordo e anche pubblicamente ha detto che il papa sbaglia. In questi casi bisogna fare appunto il discernimento. Un’altra cosa che bisogna riconoscere è che nella Chiesa, che è santa e peccatrice, ci sono le lotte di potere, proprio come in altri contesti».

Sarebbe stato bello sapere in che senso, qui, bisogna fare discernimento. Che significa?  Interessante, comunque, è notare che il padre Sosa, subito dopo, parla di lotte di potere, come per far capire che chi non è del tutto d’accordo con Francesco non è mosso da nobili intenti, ma solo da brama di potere. Infatti aggiunge: «Bisogna fare i conti con queste cose, non essere ingenui. E il papa non lo è, si muove in tutto questo come faceva Gesù, che sapeva che c’era gente che tramava contro di lui, e lo diceva in faccia».

Il padre Sosa, insomma, nemmeno per un istante è sfiorato dal dubbio che chi non si sente in sintonia con l’insegnamento di Francesco, o per lo meno con alcune parti di esso, abbia a cuore la difesa della Verità, il rispetto della dottrina, la salvaguardia della fede. No, il generale dei gesuiti, ovviamente praticando il discernimento, pensa subito al potere e alle trame. Forse perché ha studiato scienze politiche e, come lui stesso spiega, la politica è sempre stato il suo interesse numero uno? Può essere.

Ma nell’intervista a «Jesus» ci sono altri punti significativi. Li riassumo.

Primo punto. «La Chiesa in uscita» è una Chiesa «che non pensa a se stessa, ma accompagna, cristiani e non cristiani, per migliorare il mondo».

Domanda che non è stata fatta: che significa accompagnare? Verso dove? Per arrivare a che cosa? Migliorare il mondo, ma come?

Secondo punto. La domanda è: «Lei si è formato negli anni della teologia della liberazione. Come la rilegge?».

Risposta: «Non la rileggo, la leggo. Cerco di farla. Non è un episodio, ma è un modo di fare teologia che ancora seguiamo».

Terzo punto. La domanda riguarda Trump e la crescita di populismi e destre in Europa. Quale lettura ne dà?

Risposta: «Ciò che mi risulta più preoccupante è la personalizzazione della leadership politica […]. Mi sembra che sia un passo indietro pericoloso perché dal personalismo, in modo più nascosto, si passa ai regimi dittatoriali, a regimi di oppressione, a dittature, dove c’è poco spazio per la libertà e i movimenti. Per noi gesuiti, per la Chiesa, una delle grandi sfide è come promuovere la politicizzazione della società».

Ci fosse stato Rusconi, sono sicuro che qui sarebbe arrivata l’obiezione che Trump è stato eletto dagli americani e non è andato alla Casa Bianca dopo un colpo di stato.

E che dire della tesi secondo cui per i gesuiti «una delle grandi sfide è come promuovere la politicizzazione della società»? Pensavo che una delle grandi sfide per i figli di sant’Ignazio fosse indagare su come Dio opera nei tempi nuovi e su come trovarlo.

Comunque sia, chissà perché, mentre leggevo le esternazioni del padre Sosa mi sono tornate alla mente le parole di Pio XII, che nella «Humani generis», l’enciclica «circa alcune false opinioni  che minacciano di sovvertire i fondamenti della dottrina cattolica», definiva «massima imprudenza» il sottovalutare o trascurare o respingere le espressioni che nel tempo il magistero ha trovato per esprimere le verità della fede «e sostituirvi nozioni ipotetiche ed espressioni fluttuanti e vaghe», nozioni che assomigliano all’erba dei campi, perché «oggi vi sono e domani seccano».

In quella sua enciclica Pio XII metteva anche in guardia  dal «falso metodo» di chi «vorrebbe spiegare le cose chiare con quelle oscure» e spiegava che a volte gli uomini «si persuadono che sia falso, o almeno dubbio, ciò che essi non vogliono che sia vero».

Davvero, non so perché questi ammonimenti mi vengono in mente proprio adesso.

Aldo Maria Valli

 

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