Finanze vaticane. Le dimissioni del revisore e quella “maledizione” che ritorna

 

Che cosa succede nel mondo dell’economia vaticana?

Il 20 giugno, a sorpresa, si è dimesso Libero Milone, che il 9 maggio 2015 era stato nominato da papa Francesco revisore generale del Vaticano con il delicato compito di analizzare i bilanci e i conti della Santa Sede e delle amministrazioni collegate.

Scarno il comunicato ufficiale della sala stampa vaticana: «Il dottor Libero Milone ha presentato al Santo Padre le dimissioni dall’incarico di revisore generale. Il Santo Padre le ha accolte. Si conclude così, di comune accordo, il rapporto di collaborazione con la Santa Sede. Mentre augura al dottor Milone ogni bene per la sua futura attività, la Santa Sede informa che sarà avviato quanto prima il processo di nomina del nuovo responsabile dell’ufficio del revisore generale».

Milone è un professionista e un manager dalla lunga esperienza internazionale. In passato è stato, fra l’altro, in Deloitte & Touche, Wind Telecom, Poltrona Frau, Falck, Fiat. Classe 1948, è iscritto dal 1995 al ruolo nazionale dei revisori legali. Tra le sue numerose esperienze, anche il ruolo di componente dell’audit committee del World Food Program dell’Onu tra il 2008 e il 2011

L’ufficio del revisore generale, istituito da papa Francesco il 24 febbraio 2014 con la lettera apostolica  in forma di motu proprio «Fidelis dispensator et prudens»,  ha assorbito le funzioni della Prefettura degli affari economici, dicastero del quale era segretario (in pratica il numero due) il prelato spagnolo Lucio Ángel Vallejo Balda, condannato nel processo Vatileaks/2 per la diffusione di documenti riservati.

Numerosi i compiti dell’ufficio del revisore generale. Il principale è compiere le revisioni  dei conti dei dicasteri della curia romana, delle istituzioni collegate alla Santa Sede o che fanno riferimento ad essa e delle amministrazioni del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano.

Dotato di piena autonomia, comunica le proprie conclusioni direttamente al sommo pontefice. Inoltre sottopone al Consiglio per l’economia un programma annuale di revisione e una relazione annuale delle proprie attività. L’obiettivo è individuare le aree gestionali e organizzative più esposte al rischio di conti fuori controllo e operazioni illecite. Tra i suoi poteri c’è anche quello di promuovere azioni penali e civili ritenute opportune e l’esame circa la reale convenienza nell’impiego delle risorse.

Le dimissioni di Milone sono arrivate come un fulmine a ciel sereno, ma alcune indiscrezioni trapelate dai sacri palazzi avevano lasciato capire che si stava preparando qualcosa. Si parla di un interrogatorio al quale Milone sarebbe stato sottoposto nel suo ufficio di Largo del Colonnato (fuori dai confini vaticani ma in zona extraterritoriale) da parte di uomini della gendarmeria vaticana. Un’inchiesta interna, quindi, ma per quali ragioni?

Il fatto che nel comunicato della sala stampa vaticana si dica che sarà avviato al più presto il processo di nomina del nuovo responsabile fa capire che il problema riguarda la persona, non l’ufficio, le cui funzioni sembrano dunque implicitamente confermate.

Di Milone e del suo incarico le cronache si occuparono qualche mese dopo la sua nomina, quando gli fu violato il computer. Proprio la divulgazione di quella vicenda, denunciata dallo stesso Milone, diede il via al processo Vatileaks/2, nel quale in ogni caso il revisore non entrò mai.

Al di là del processo, pur in mancanza di notizie certe, si sa che in Vaticano è in corso un duro braccio di ferro sull’economia e la finanza. I protagonisti sono da un lato la Segreteria per l’economia, guidata dal cardinale australiano George Pell, dall’altro l’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica (Apsa), guidata dal cardinale Domenico Calcagno, ovvero quella che è considerata una vera e propria banca centrale vaticana, che gestisce anche l’importante patrimonio immobiliare della Santa Sede.

L’ultimo episodio dello scontro ha coinciso con la revisione che sarà operativa con il bilancio consolidato 2017. L’8 maggio di quest’anno Pell e Milone hanno inviato una lettera a tutti gli enti della Santa Sede e del Vaticano per ricordare che l’Apsa «non ha nessuna autorità né prerogativa per richiedere agli enti della Santa Sede e del Vaticano di sottoporsi ad attività di revisione contabile né di inviare informazioni afferenti al proprio ente alla società esterna PwC o ad altri soggetti».

La PwC è la PricewaterhouseCooper, network internazionale (presente in tutto il mondo con più di duecentomila professionisti) che fornisce servizi di revisione dei bilanci e consulenza strategica, legale e fiscale. Con Deloitte & Touche, Ernst & Young e Kpmg, fa parte delle cosiddette Big Four, i quattro colossi dei servizi di revisione,  ed ha un fatturato che nel 2011 si aggirava sui ventinove miliardi di dollari.

Va notato che tutte e quattro le Big Four negli ultimi anni sono state chiamate in soccorso dal Vaticano: la Ernst & Young per ammodernare le attività economiche e di gestione del Governatorato, la Kpmg per allineare agli standard internazionali la contabilità di tutti gli istituti e gli uffici con sede nei sacri palazzi, la PwC per la «due diligence» (vale a dire l’attività di indagine per la raccolta e la verifica delle informazioni necessarie a valutare le attività di un’azienda) dei processi economici, amministrativi e gestionali dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù  e la Deloitte per la «due diligence» della Fondazione Casa sollievo della sofferenza, l’ospedale fondato da Padre Pio.

La PwC e la Deloitte furono scelte dal Vaticano tra altre società attraverso procedura di gara, su iniziativa della Pontificia commissione referente di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economica ed amministrativa della Santa Sede, ovvero la commissione di cui fu segretario monsignor Balda e nella quale fu nominata anche Francesca Immacolata Chaoqui, già addetta stampa della Ernst & Young e anche lei al centro del processo Vatileaks/2.

Sulla massiccia presenza in Vaticano delle grandi società di consulenza finanziaria e gestionale non è difficile raccogliere, entro le mura leonine, commenti che non nascondono lo sconcerto, specie per quanto riguarda i costi. Occorre ricordare che la Santa Sede ha chiamato pure la McKinsey & Company per riorganizzare il sistema delle comunicazioni e il  Promotory Financial Group per il risanamento dello Ior.

L’aspetto curioso è che tutti questi organismi di consulenza lavorano per la trasparenza dell’economia e della finanza vaticane, ma nulla si sa circa i loro costi. In proposito, per farsi un’idea, ci sono le parole di Ernst von Freyberg, ex presidente dello Ior, che al «Financial Times», parlando dei costi di Promotory, usò l’espressione «well above seven digits», cioè ben sopra le sette cifre, ovvero da dieci milioni di euro in su.

Persone ben informate, ma che restano nell’anonimato, sostengono che il momento è complicato in Vaticano. Non si parla esplicitamente di un Vatileaks/3, ma la preoccupazione è palpabile.

Oltre che di inchiesta interna, per quanto riguarda il caso Milone, si parla di dimissioni chieste direttamente e con urgenza dal papa.  Il timore è che, una volta ancora, possano uscire carte riservate sulle spese dei vari organismi e sui tribolati rapporti con gli organi di controllo.

Milone, per svolgere al meglio il difficile incarico ricevuto, l’anno scorso aveva chiamato accanto a sé una decina di collaboratori e due revisori aggiunti.

Sembra quasi che una maledizione aleggi sopra l’economia e la finanza vaticane, che almeno da Marcinkus in poi non hanno mai conosciuto un momento di pace. Basterà ricordare il Vatileaks/1, con l’arresto del maggiordomo di Benedetto XVI e il brusco licenziamento di Ettore Gotti Tedeschi, il banchiere che proprio da papa Ratzinger era stato chiamato per risanare lo Ior e dargli trasparenza Anche allora al centro del ciclone che colpì la parte finale del pontificato di Benedetto XVI ci fu una fuga di documenti riservati, con la diffusione di scottanti dossier.  L’intero incartamento su Vatileak/1 (frutto del lavoro di una commissione di tre cardinali voluta dall’attuale papa emerito) fu subito messo a disposizione di Francesco e certamente ricorderete la foto dei due papi, a Castel Gandolfo, divisi da un tavolino sul quale troneggiava lo scatolone bianco contenente tutta la documentazione. Là dentro c’erano, e ci sono, anche le lettere di monsignor Carlo Maria Viganò, ex segretario del Governatorato e poi nunzio a Washington, con le quali il prelato denunciava presunti casi di corruzione e malaffare.

Per tornare al caso Milone, fanno certamente sensazione, alla luce delle successive dimissioni, le sue parole al «Corriere della sera».

Eccone alcuni passaggi.

«L’attività che svolgiamo è nuova, dato che il ruolo del revisore generale non è mai esistito prima. Mi sono trovato in un ambiente del tutto unico, diverso da qualsiasi altra struttura societaria che si possa immaginare, per cui prima di tutto ho dovuto imparare e capire. Un lavoro intenso che interessa centoventi enti della curia e delle istituzioni collegate alla Santa Sede».

Ma lo sforzo di ammodernamento finanziario comincia a dare i suoi frutti?

«Si, molti buoni frutti. Abbiamo portato un nuovo modello di gestione del bilancio e introdotto i migliori standard internazionali. Consapevoli del fatto che alla base di tutto, il cambiamento è prima di tutto culturale».

Qual è l’agenda del revisore?

«Sono in corso le analisi preliminari sui principali dati patrimoniali, finanziari ed economici del 2015 e del 2016. La prossima tappa è la revisione dello stato patrimoniale al 31 dicembre 2017 per poter poi predisporre la revisione dell’intero bilancio al 31 dicembre 2018».

Avete incontrato molte resistenze al cambiamento?

«Più che di vere e proprie resistenze, spesso si tratta di “non conoscenza”. Va considerato che tutte o quasi tutte le funzioni in passato la contabilità erano “per cassa”. Papa Francesco ha voluto che si diventasse “più trasparenti e allineati alle attuali tendenze contabili ed amministrative” e ciò ha comportato che in questi pochi anni, dalla sua elezione, la contabilità sia passata dalla cassa alla competenza introducendo gli Ipsas, International public sector accounting standards. Organizziamo molta formazione per superare prevedibili difficoltà».

Dice Papa Francesco che le riforme sono efficaci se attuate da «uomini rinnovati» e non semplicemente da «nuovi uomini»…

«L’ufficio del revisore risponde solo al papa. Ho ben presente questa indicazione del Santo Padre, è del 22 dicembre scorso. Di grande valore è anche il discorso che sua Santità tenne nel dicembre del 2014 ai dipendenti della Santa Sede. Se n’è accorta l’Università di Harvard che ne ha fatto un caso di scuola di management. In quell’intervento il Papa affermava tra le altre cose come la Curia debba operare “senza cadere in eccessivo burocratismo e senza trasformare il servizio in potere”».

Com’è composta la squadra del revisore?

«Da dodici professionisti di diversa provenienza. Le donne sono sei, dunque le quote sono già al 50 per cento. Poi ci sono due revisori aggiunti tecnici… Con i nuovi compiti in tema di anticorruzione ci doteremo di altre due figure specializzate. La Santa Sede ha infatti deciso di aderire alla convenzione Onu di Merida che raccoglie molti paesi nel mondo per l’anticorruzione».

Insomma, non si è pentito di aver assunto l’incarico…

«Al contrario, andrò fino in fondo con grande entusiasmo. Non ho cercato questo lavoro, per il quale sono stato selezionato da una grande società internazionale di head hunting (o executive search), ma sono molto motivato dal privilegio di essere a disposizione del papa, solo al quale l’ufficio risponde. E di poter fare la mia piccola parte per una riforma decisiva per il Vaticano, come quella economica. Una riforma che forse non è stata ancora ben compresa in tutta la sua portata».

L’intervista al «Corriere» porta la data del 18 marzo 2017.  Tre mesi dopo, l’uomo che voleva andare «fino in fondo con grande entusiasmo» ha presentato al papa le dimissioni.

Perché?

Aldo Maria Valli

 

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