Quella volta che Ashya fu “rapito”

Un bambino malato, un ospedale inglese che non vuole lasciarlo curare all’estero, due genitori determinati. Sembra il copione visto nel caso di Alfie Evans. Invece riguarda un’altra storia, quella di Ashya King.

Nell’estate del 2014 Ashya, cinque anni, è ricoverato, in Inghilterra, presso il Southampton General Hospital. I chirurghi hanno rimosso un medulloblastoma, tumore cerebrale maligno particolarmente frequente nei bambini fra i due e i sette anni, ma Ashya, assai debilitato, non è in grado di parlare, mangiare o bere e dipende dall’alimentazione assistita. Il tumore è infatti molto resistente sia all’intervento chirurgico sia a i farmaci

Che cosa fare? Secondo i genitori, che si sono informati, la scelta più adeguata è la terapia protonica, un tipo di radioterapia che utilizza un fascio di protoni per irradiare il tessuto biologico malato: una specie di «cecchino», come dice il papà di Ashya, Brett, in grado di colpire ed eliminare le cellule malate.

C’è però un problema:  il General Hospital della città inglese non dispone delle attrezzature necessarie e il cancro al cervello di cui soffre Ashya non è incluso nella lista dei tumori che possono essere curati all’estero a spese del servizio sanitario nazionale britannico. Dunque?

I King prendono una decisione clamorosa: determinati a tentare il tutto per tutto, portano via il bambino. In pratica è una fuga, perché non c’è alcuna autorizzazione da parte dei medici.

A bordo di un traghetto la famiglia (oltre ad Ashya, i King, all’epoca, hanno altri tre bambini) varca la Manica, poi prosegue in auto lungo la Francia e infine raggiunge la Spagna, dove papà Brett e mamma Naghemeh si rivolgono a una clinica privata di Marbella.

Intanto però a Southampton è scattato l’allarme, con conseguente caccia alla famiglia King per mezza Europa. L’accusa? Niente meno che rapimento.

La polizia inglese chiede aiuto all’Interpol e la coppia, individuata, è messa in arresto, mentre Ashya è affidato a un ospedale spagnolo.

Il capo d’accusa è pesante e l’Inghilterra rivuole indietro i King per processarli. I loro avvocati riescono però a chiarire: sebbene i genitori abbiano portato via il bimbo senza permesso, di certo non l’hanno rapito. Vengono così liberati, il che permette loro, finalmente, di sottoporre il figlio alla cura desiderata, il trattamento a protoni, in una clinica specializzata di Praga.

Oggi Ashya risulta guarito. Tornato in Spagna e sottoposto ad analisi, non mostra più tracce del tumore. Anche se non perfettamente, ha ripreso a parlare, si muove e cammina: un miracolo, rispetto alle condizioni successive all’intervento chirurgico.

«Se lo avessimo lasciato nell’ospedale inglese – commenta papà Brett – non penso che sarebbe sopravvissuto: il risultato giustifica tutto quello che abbiamo passato».

«È un miracolo al quale non avremmo mai pensato di assistere», dice la mamma, Naghemeh.

I King oggi hanno sette figli e Ashya frequenta regolarmente la scuola, senza particolari problemi. Riferisce il padre: «È entusiasta di tutto. L’abbiamo visto depresso, incapace di parlare e quasi incapace di muoversi, invece ora è pieno di vita».

Poiché i King sono testimoni di Geova, movimento religioso che tra le sue norme annovera il rifiuto delle trasfusioni di sangue, qualcuno ha cercato di derubricare la vicenda sotto il capitolo «fanatismo religioso», ma il problema è un altro e riguarda, ancora una volta, i parental rights, i diritti dei genitori rispetto a un National Helath Service che, come nel caso di Alfie Evans e tanti altri, impone le proprie scelte in modo irrevocabile.

Aldo Maria Valli

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