L’equazione di padre Kolbe

“Nessuno al mondo può cambiare la verità”. Si intitolava così l’ultimo editoriale scritto da san Massimiliano Kolbe, il frate polacco ucciso dai nazisti il 14 agosto del 1941, ad Auschwitz, dopo essersi offerto di morire al posto di un altro prigioniero, Franciszek Gajowniczek, che era padre di famiglia. “Prendete me – disse padre Kolbe – sono un prete cattolico e sono anziano” (aveva quarantasette anni!).
Il calendario della prima metà di agosto ci propone una serie straordinaria di santi (Alfonso Maria de’ Liguori, Giovanni Maria Vianney, Domenico di Guzmán, Teresa Benedetta della Croce, Chiara d’Assisi) e oggi ecco Massimiliano Kolbe, definito da Paolo VI, che lo beatificò nel 1975, “martire dell’amore” e da san Giovanni Paolo II, che lo canonizzò nel 1982, “patrono del nostro difficile secolo”.
Nella vita di Kolbe si mescolano e si sovrappongono moltissimi aspetti, ma fondamentalmente le due stelle polari furono la verità e Maria. Ed è seguendo quelle stelle polari che il santo si fece apostolo, missionario, imprenditore, con una predilezione per la stampa e la radio (SP3RN il suo codice come radioamatore).
Scrisse: “Dobbiamo inondare la terra con un diluvio di stampa cristiana e mariana, in ogni lingua, in ogni luogo, per affogare nei gorghi della verità ogni manifestazione di errore che ha trovato nella stampa la più potente alleata; fasciare il mondo di carta scritta con parole di vita per ridare al mondo la gioia di vivere”.
A ventitré anni, nel 1917, l’anno della rivoluzione d’Ottobre, fonda la Milizia dell’Immacolata, associazione cattolica che arriverà a contare circa 700 mila iscritti e il cui mensile, Il Cavaliere dell’Immacolata, raggiungerà il milione di copie.
Bravissimo in matematica e appassionato di fisica e astronomia (nonché ottimo scacchista), da studente progetta veicoli interplanetari. I suoi interessi sono molteplici, ma in cima a tutto c’è la fede. E c’è la verità. Negli anni di studio a Roma, riferendosi alla massoneria, chiede a un amico: “È possibile che i nemici di Dio debbano tanto adoperarsi, e noi rimanere oziosi e al più pregare senza però agire?”.
Quando sente che i cattolici se la prendono con i film immorali risponde che, anziché recriminare, sarebbe meglio farsi imprenditori e produrre pellicole dai contenuti buoni.
Combattivo e determinato, trova il modo di discutere e insegnare perfino in sanatorio. Succede a Zakopane, in Polonia, dove è ricoverato durante il periodo in cui è docente di Storia della Chiesa a Cracovia.
Quando è missionario in Giappone il vescovo gli mette a disposizione una somma di denaro per l’acquisto di una casa, ma lui risponde: meglio utilizzare i soldi per fondare riviste.
E non si accontenta. Per le sue opere editoriali vuole tecnologie all’avanguardia. A Niepokalanow, il suo originale convento – casa editrice, vicino a Teresin, si lavora instancabilmente. Oltre al Cavaliere dell’Immacolata si produce il Calendario del Cavaliere dell’Immacolata (380 mila copie). E poi c’è il Piccolo Giornale, che esce in sette edizioni diverse per ogni regione della Polonia.
Settecento i frati che lavorano con lui. Senza arrendersi alle difficoltà. Come quando viene inventata una nuova macchina elettrica per stampare gli indirizzi: vincerà il primo premio alla fiere campionarie di Poznam e Parigi.
Ogni numero del giornale, chiede Kolbe, sia preparato in ginocchio e nella preghiera. Guai a chi si monta la testa. Quando è malato (perseguitato dalla tubercolosi), qualcuno mette sulla sua porta il cartello “non disturbare”, ma lui chiede di toglierlo. Dice: “Tutti possono venire da me a qualsiasi ora del giorno e della notte, sempre, io appartengo a loro”.
In Giappone, a Nagasaki, dove sull’esempio di Niepokalanow impianta una tipografia e apre un giornale (tiratura di circa 18 mila copie mensili), scrive a un confratello: “Mio caro, il nostro compito qui è molto semplice: sgobbare tutto il giorno, ammazzarsi di lavoro, essere ritenuto poco meno di un pazzo da parte dei nostri e, distrutto, morire per l’Immacolata. Non è forse bello questo ideale di vita?”.
Viaggia, studia (anche il russo), progetta. Il fisico ne risente. A un certo punto gli danno tre mesi di vita. Ma lui va avanti. I medici non capiscono come sia possibile.
Nel 1939 tutto precipita. Ai cancelli della cittadella di padre Kolbe in Polonia si presentano Wehrmacht e Gestapo. Gli occupanti impongono la chiusura. Per il frate incomincia la via crucis in carcere: Lamsdorf, Amititz, Ostrzeszow, Pawiak, infine Auschwitz, dove arriva nel 1941 su un vagone blindato. Durante il trasferimento ha cantato inni religiosi.
Quando, per una rappresaglia, i nazisti scelgono alcuni detenuti da condannare a morte, fra loro c’è Francesco Gajowniczek, padre di famiglia, che supplica il lagherfurher di risparmiargli la vita. È a quel punto che padre Kolbe si offre al suo posto. È il 14 agosto 1941 quando Kolbe è ucciso con un’iniezione di acido fenico. L’indomani, nel giorno dell’Assunta, il corpo è bruciato. Una volta Kolbe aveva detto: “Vorrei essere come polvere, per viaggiare con il vento e raggiungere ogni parte del mondo e predicare la buona novella”.
Si racconta che, durante un incontro con i novizi, Kolbe, parlando della santità, per mostrare che l’obiettivo non è poi così difficile tracciò sulla lavagna una grande V e una v più piccola: poi, unendole come in un’equazione algebrica, spiegò: “Quando la nostra volontà sarà conforme alla volontà di Dio, allora saremo santi”.
Scrisse: “Nessuno può cambiare la verità. Lo sappiamo bene, tuttavia nella vita concreta ci si comporta talvolta come se in uno stesso problema il no e il sì potessero essere entrambi la verità”. “Neppure Dio cancella né può cancellare la verità con un miracolo, poiché Egli è proprio la verità per essenza. Quanto è grande la potenza della verità! Una potenza veramente infinita, divina!”.
Aldo Maria Valli

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