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Elogio della nostalgia

Il libro si intitola Nostalgia. Going home in a homeless world. È in inglese e l’ha scritto il professor Anthony Esolen, docente di letteratura al Thomas More College of Liberal Arts di Merrimack, nel New Hampshire.
Dico subito che non l’ho letto, ma che ho solo visto la recensione che padre John Zuhlsdorf gli ha dedicato nel suo blog (http://wdtprs.com/blog/2018/10/book-received-nostalgia-going-home-in-a-homeless-world-by-anthony-esolen/), tuttavia il titolo è bastato. Nostalgia: andare a casa in un mondo senza casa: non è proprio questa l’esigenza che tanti di noi avvertono, all’interno della Chiesa cattolica? Tornare a casa, in una casa di nuovo accogliente, una casa che sia veramente la tua, diversa da questa Chiesa che invece, se solo osi far notare che qualcosa non va, ti fa sentire non a casa, ma straniero in patria.
Ripeto, non ho letto il libro e mi limito a prendere spunto dal titolo, che mi ha colpito. Stando a quel che dice il padre Zuhlsdorf, l’opera non è apertamente cattolica, ma è profondamente cattolica la visione del mondo che esprime. Sta di fatto che quella parola, “nostalgia”, secondo me merita oggi una riflessione.
“Sei un nostalgico” è una delle numerose accuse che mi sento rivolgere ogni volta che parlo della Chiesa “di una volta”, dove mi sentivo a casa. Una Chiesa nella quale ti potevi fidare del parroco e del vescovo, senza temere che da un giorno all’altro potessero inventarsi qualche novità ben poco cattolica o potessero mettersi a parlare come esponenti delle Nazioni Unite o come sindacalisti o ambientalisti. Una Chiesa nella quale non si parlava mai di accoglienza e di inclusività, ma era veramente accogliente e inclusiva, nei fatti, perché era chiara nella sua proposta e dunque onesta. Una Chiesa che non faceva nulla, ma proprio nulla, per apparire amica e simpatica, e per questo era una vera Madre, che ti metteva di fronte alle tue responsabilità. Una Chiesa che parlava del peccato e non di non meglio precisate “fragilità”. Una Chiesa che parlava del giudizio divino e non di una generica misericordia. Una Chiesa che raccomandava il timor di Dio e non era tutta gioia e letizia e sorrisi e canti e balli, ma trasmetteva la vera gioia insegnando l’adesione all’eterna legge divina.
Nostalgia, sì. Tanta nostalgia. La provo sempre di più. E non ho nessun problema a definirmi nostalgico, anche se so bene che in Italia la parola ha una marcata connotazione politica che la rende ancora meno praticabile.
Nell’etimologia della parola nostalgia c’è il riferimento all’àlgos, al dolore, mentre nòstos significa il tornare al paese, a casa. La nostalgia è dunque quel dolore lancinante che ti prende quando sei lontano da casa e avverti il bisogno di tornarci. È nostalgia di ciò che conosci bene, delle cose e delle persone tra le quali sei cresciuto. È nostalgia di un mondo del quale ti fidavi e del quale ti sentivi parte.
Ma nella Chiesa di oggi quanto possiamo fidarci? E ci sentiamo veramente a casa?
Sento già l’accusa successiva: in quanto nostalgico, il sottoscritto sarebbe anche tradizionalista, nel senso di legato a un concetto malato di tradizione, come di cosa ferma, immobile, e dunque morta.
Bene, mi piace rispondere che, in quanto cattolico, non sono, né posso essere, storicista. Sicché non cedo alla tentazione, tanto diffusa oggi, anche nella Chiesa, di sostenere che per attuare l’esperienza di fede occorre assumere la storia, e dunque il cambiamento, rigettando la verità assoluta e definitiva. Certo, la rivelazione divina passa attraverso la storia, ma la storia, ovvero il mondo, non è l’unico orizzonte. Il cattolico ha un altro orizzonte, più alto. Un orizzonte soprannaturale.
Ho dunque nostalgia anche di una Chiesa che insegnava il soprannaturale e non se ne vergognava. Una Chiesa che parlava dei Novissimi (morte, giudizio, inferno, paradiso) e non si poneva problemi di linguaggio politicamente corretto. Una Chiesa che tuonava contro il peccato chiamandolo con il suo nome e ricordando che il peccato può essere mortale, il che significa che, in mancanza di pentimento, condanna l’anima alla dannazione eterna.
Nostalgia, sì, tanta. Nostalgia delle liturgie oneste, pulite, non sguaiate, non “strane”, non animate, non oltraggiate. Nostalgia di tabernacoli visibili, riconoscibili, e non nascosti, non camuffati. Nostalgia di preti vestiti da preti. Di suore vestite da suore. Di laici che non vanno all’ambone a leggere i testi sacri indossano calzoncini corti e canottiere. Nostalgia di certe forme che erano sostanza, perché rimandavano a precisi significati teologici. Nostalgia di buona educazione religiosa. Nostalgia di quella gravitas, di quella dignità e serietà che era patrimonio dei chierici ma anche dei laici, prima dell’impazzimento.
Certo, ci può essere anche una falsa nostalgia, o una nostalgia distorta, per una presunta età dell’oro che in realtà non è mai esistita e che ora viene costruita dalle nostre menti a scopo consolatorio. Ma non voglio cadere in questa trappola. Quella di cui ho nostalgia non è una mitica età dell’oro. No, è la mia casa. Una casa che ho conosciuto bene, ma che è quasi scomparsa.
Padre John Zuhlsdorf spiega che nel libro del professor Esolen si parla anche di Ulisse e della dea Calipso, che cercò di sedurlo, ma lui seppe resistere, perché pensava a Itaca.
E noi pensiamo mai alla nostra Itaca?
Aldo Maria Valli

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