Quel diktat che potrebbe trasformarsi in boomerang

L’annuale incontro dei vescovi degli Stati Uniti, svoltosi a Baltimora, è ormai terminato, ma non sono per nulla finiti i commenti. Al centro delle riflessioni c’è il diktat vaticano, imposto ai vescovi con una lettera arrivata a Baltimora all’ultimo momento, che ha ordinato di non votare nulla circa la questione degli abusi sessuali. Motivo? Meglio aspettare la riunione dei presidenti di tutte le conferenze episcopali del mondo, che si svolgerà a Roma nel febbraio 2019.

Il Vaticano che manda questi segnali, si sono chiesti moti osservatori, è lo stesso che spesso parla contro il clericalismo, a favore della sinodalità, del decentramento e di un maggior spazio decisionale da concedere alle conferenze episcopali?

Qualcosa non torna.

Perfino il National Catholic Reporter, nota testata cattolica progressista americana, racconta  (https://www.ncronline.org/news/accountability/distinctly-catholic/conclusion-meeting-question-remains-bishops-credibility) che il cardinale DiNardo, presidente della conferenza episcopale Usa, non ha potuto nascondere il suo disappunto quando ha annunciato la decisione del Vaticano. Poi, durante le pause caffè, nei conciliaboli tra loro, i vescovi si sono lamentati e anche quelli più vicini a papa Francesco hanno manifestato angoscia. Possibile, si sono chiesti, che Roma non capisca sotto quale pressione ci troviamo?

Baltimora, scrive il New York Times (https://www.nytimes.com/2018/11/17/opinion/crisis-of-faith-roman-catholics.html), è stata un fiasco, ma un fiasco voluto da Roma. Perché?  Perché si è preferita l’immobilità, nonostante un’opinione pubblica che chiede provvedimenti concreti?

Oltretutto, con l’ordine dato ai vescovi americani, il Vaticano ha messo la gerarchia statunitense in una “posizione impossibile”, come nota Philip Lawler su First Things (https://www.firstthings.com/web-exclusives/2018/11/the-vatican-intervention-in-baltimore). I vescovi Usa, infatti, a questo punto non possono alleviare la rabbia di un laicato furioso senza apparire sleali nei confronti di Roma, ma non possono nemmeno ripristinare la propria credibilità senza danneggiare quella della Santa Sede.

Dopo un’estate terribile e dolorosa, Baltimora doveva rappresentare la svolta, e i vescovi erano pronti a fare qualcosa per riscattarsi. Invece, ecco la doccia fredda rappresentata dall’ordine di Roma. Arrivato, per giunta, dopo il no del papa alla richiesta, avanzata dal cardinale DiNardo, di una visita apostolica.

Quanti giustificano l’intervento del Vaticano dicono che la Santa Sede temeva che alcuni aspetti dei provvedimenti presi dai vescovi americani potessero entrare in conflitto con il diritto canonico. “Ma – osserva Lawler –  se davvero fossero sorti tali conflitti, avrebbero potuto essere risolti a tempo debito dagli appropriati tribunali ecclesiastici”. Senza contare che “papa Francesco ha costantemente mostrato un atteggiamento sprezzante nei confronti del diritto canonico  ed ha spesso inveito contro quelli che definisce i dottori della legge”.

Chi sostiene che è giusto aspettare il grande incontro di febbraio, per non procedere in ordine sparso, dimentica che il Vaticano ha permesso ai vescovi francesi di stabilire proprie politiche in materia di abusi, senza attendere febbraio, e che lo stesso stanno facendo i vescovi italiani. Allora, perché questa diversità di trattamento nei confronti dei vescovi Usa?

Il problema sta evidentemente nel caso McCarrick e nella denuncia di monsignor Viganò. Perché se è vero che lo scandalo McCarrick è americano, è altrettanto vero che, in base alle testimonianze dell’ex nunzio, coinvolge direttamente Roma e papa Francesco. Ecco perché il Vaticano non vuole che l’indagine vada avanti in modo autonomo, senza un controllo da parte di Roma.

Che la vera spiegazione sia proprio questa è quanto sostiene la Catholic News Agency (https://www.catholicnewsagency.com/news/cupich-and-wuerl-collaborated-on-alternative-sex-abuse-proposal-10934) affermando che alla decisione vaticana hanno collaborato attivamente il cardinale Wuerl di Washington e Cupich di Chicago, il tutto allo scopo di evitare l’istituzione di una commissione d’indagine indipendente, guidata da laici.

Secondo il piano Wuerl-Cupich, al posto della commissione indipendente, progetto al quale stava lavorando la Conferenza episcopale Usa, dovranno essere gli arcivescovi metropoliti a indagare sui vescovi. Il che permetterebbe automaticamente un maggior controllo circa il caso McCarrick, l’ex cardinale predecessore dello stesso Wuerl a Washington e al centro di una fitta rete di relazioni.

Dunque, pur di evitare la commissione indipendente il Vaticano non ha esitato ad andare contro la linea della sinodalità e del decentramento, ed ha accettato anche il rischio di vedersi accusato di quel clericalismo che il papa indica spesso come la vera radice dalla quale nascono gli abusi.

Tuttavia la decisione di Roma potrebbe rivelarsi un boomerang. Intervenendo drasticamente sui vescovi americani, spiega Benjamin Harnwell su Breitbart (https://www.breitbart.com/faith/2018/11/15/pope-francis-undermines-vatican-diplomatic-immunity-with-usccb-intervention/), la Santa Sede ha infatti intaccato un principio finora sempre messo in campo di fronte alle accuse di negligenza nel trattare gli abusi sessuali, e cioè che le eventuali responsabilità riguardano le singole diocesi e non il Vaticano.

Ora, in virtù dello stop imposto dal Vaticano ai vescovi Usa, gli eventuali promotori di azioni legali potranno legittimamente sostenere che in realtà è la Santa Sede che decide, esponendola così a pesanti richieste di risarcimenti.

Aldo Maria Valli

 

 

 

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