Quella volta che gli astronauti lessero la Bibbia in diretta dallo spazio

21 dicembre 1968. Mezzo secolo fa. Dal Kennedy Space Center di Cape Canaveral, in Florida, viene lanciata nello spazio l’Apollo 8, la prima missione destinata a un volo orbitale attorno alla Luna. L’equipaggio è formato dal comandante Frank Borman, dal pilota del modulo di comando James Lovell e dal pilota del modulo lunare William Anders. Nomi che entrano nella storia delle esplorazioni spaziali, perché i tre astronauti americani sono i primi uomini a uscire dalla gravità terrestre, a poter osservare la Terra così come noi da qui guardiamo la Luna, ad entrare nel campo gravitazionale di un corpo celeste diverso dal nostro, a vedere con i propri occhi il lato nascosto della Luna, ad essere testimoni di un’alba terrestre e a rientrare nel campo gravitazionale terrestre.

Tre giorni dopo la partenza, il 24 dicembre, dall’Apollo 8 va in onda una trasmissione televisiva in diretta che all’epoca disintegra ogni record di ascolto. L’atmosfera è speciale, l’emozione fortissima. Tutti sanno che la missione rappresenta un passo decisivo verso la possibilità effettiva di mettere piede sulla Luna. Ma è anche la vigilia di  Natale, e i tre astronauti sentono il bisogno di rivolgere a tutti i popoli della Terra un messaggio particolarmente significativo. E così, che cosa fanno? A sorpresa, si alternano nel leggere i primi dieci versetti del primo capitolo della Genesi, là dove è descritta la creazione.

Nello spazio non è mai successo niente di simile, ma per Borman, Lovell e Anders l’idea di leggere la Bibbia è venuta spontanea. Di fronte a ciò di cui sono testimoni nessuna parola umana sarebbe apparsa adeguata.

Bill Anders legge dunque: “In the beginning God created the heavens and the earth. And the earth was without form, and void; and darkness was upon the face of the deep…”.

Poi tocca a Jim Lovell: “And God called the light Day, and the darkness he called Night. And the evening and the morning were the first day. And God said, Let there be a firmament in the midst of the waters, and let it divide the waters from the waters…”.

E infine Frank Borman: “And God said, Let the waters under the heavens be gathered together unto one place, and let the dry land appear: and it was so. And God called the dry land Earth; and the gathering together of the waters called He Seas: and God saw that it was good…”.

Il messaggio fu concluso con queste parole: “And from the crew of Apollo 8, we close with good night, good luck, a Merry Christmas and God bless all of you, all of you on the good Earth”.

“Buona notte, buona fortuna, buon Natale e Dio benedica tutti sulla buona Terra!”.

Occorre ricordare che siamo nel 1968, l’anno della contestazione globale. Eppure i tre astronauti, cristiani, non sono neppure sfiorati dal dubbio di dire qualcosa che possa urtare la sensibilità di qualcuno. Anzi, nel momento di maggiore emozione e coinvolgimento, per esprimere pienamente ciò che provano, avvertono proprio il bisogno di rifarsi alla loro fede religiosa.

Il politicamente corretto, all’epoca, non esiste, o per lo meno non ha ancora annebbiato le menti. Tuttavia, sulla Terra, la Nasa si trova presto a dover affrontare una questione legale.

L’ateo di turno, che con sprezzo del ridicolo solleva la questione, nella fattispecie è un’atea: si chiama Madalyn Murray O’Hair e cinque anni prima ha già colpito. Fondatrice dell’associazione American Atheists, nel 1963 ha intentato causa contro il sistema scolastico pubblico della città di Baltimora, ritenendo incostituzionale che suo figlio Bill fosse obbligato a partecipare alla lettura della Bibbia in classe. Il caso arriva alla Corte suprema e i giudici, otto contro uno, decidono di dar ragione alla promotrice della causa, vietando così da allora la lettura delle sacre scritture a scuola.

Ed ora ecco che Madalyn, anche approfittando dell’enorme risalto mediatico della missione Apollo 8, se la prende con la Nasa. Come soltanto certi atei sanno fare, ovvero in modo estremamente capzioso, la signora sostiene che gli astronauti, in quanto pubblici impiegati, sono andati contro la normativa secondo cui la lettura della Bibbia in pubblico è incostituzionale.

Gli azzeccagarbugli sono dunque costretti a mettersi al lavoro tra codici e cavilli, finché nel 1970 la Corte suprema archivia la causa, ma da quel momento l’agenzia spaziale americana dovrà fare molta attenzione e, di fatto, eviterà accuratamente di introdurre qualsiasi elemento di natura religiosa nelle sue missioni (il che, comunque, non impedirà a Buzz Aldrin, il secondo uomo a sbarcare sulla Luna, membro di una chiesa presbiteriana del Texas, di fare la comunione sul nostro satellite con le ostie consacrate e il vino ricevuto da un pastore prima della partenza).

Nel 1969 il gesto di leggere la Genesi nello spazio sarà celebrato dal Servizio postale degli Stati Uniti con un francobollo commemorativo sul quale compaiono le prime parole del passo biblico: “In the beginning God…”. Poi le imprese Apollo si succederanno nel corso degli anni (1969: sbarco di Neil Armstrong e Buzz Aldrin sulla Luna; 1979: l’avventura dell’Apollo 13; 1972: Apollo 17, ultima missione del programma) e la memoria della lettura della Bibbia andrà perduta. Di Madalyn Murray O’Hair invece si tornerà a parlare perché il figlio Bill, strumentalizzato da bambino per la propaganda antireligiosa, da grande diventerà un pastore battista e perché lei, Madalyn, farà una  brutta fine, uccisa nel 1995 dall’ex direttore dell’associazione Atei americani.

In ogni caso oggi, cinquant’anni dopo, vale la pena ricordare la decisione presa, in quel Natale lunare, da Borman, Lovell e Anders. Tre astronauti, tre uomini, che di fronte alla meraviglia di ciò che videro nello spazio non vollero celebrare loro stessi, ma pensarono a Dio e gli resero omaggio.

Aldo Maria Valli

 

 

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