L’inganno della cultura non elitaria

Torna il maestro Aurelio Porfiri con la sua riflessione sull’arte nella Chiesa e soprattutto sulla musica sacra e la liturgia. Oggi l’argomento è l’elitarismo, tanto vituperato da coloro che, sostenendo di voler essere dalla parte del “popolo”, in realtà favoriscono la mediocrità e così mantengono il “popolo”  in una condizione di inferiorità perché ne impediscono l’accesso al bello e al vero.

A.M.V.

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Quante volte sarà capitato ai colleghi musicisti di sentirsi rifiutare, pur se offerto gratuitamente, un certo repertorio perché considerato troppo “elitario”. Con questo termine si vuole intendere un repertorio riservato a pochi piuttosto che alla grande massa. Ora, in base a questo ragionamento il 99 per cento della cultura occidentale dovrebbe essere inaccessibile. Inoltre, stranamente, se c’è qualcosa che rende elitarie alcune espressioni artistiche è proprio il chiamarle elitarie, cioè renderle non disponibili per un pubblico più ampio utilizzando il pretesto che comunque non devono essere elitarie. Ma che significa elitario?

La produzione artistica e culturale è certamente elitaria, in quanto richiede una élite culturale che abbia le capacità di produrre creazioni degne di questo nome. La massa non crea, la massa fruisce. Privarla di arte di alta qualità non l’aiuta a elevarsi.

Privarla della qualità è ciò che fa la televisione commerciale, che ha come unico interesse quello di far sì che la massa consumi sempre di più e il più a lungo possibile. Ma la grande arte e la grande musica, nel loro scopo più alto, che è quello si servire Dio, non possono che essere prodotte da una élite culturale in possesso dei mezzi e delle capacità derivanti dagli studi e dall’esperienza che un semplice fedele in genere non ha e non deve necessariamente avere. Poi ciò che si esegue nella liturgia, ovvero il frutto degli studi, certamente è a disposizione di tutti i fedeli.

Ma forse non è elitario il mondo accademico? Non è elitaria la politica? Non è elitaria la stessa teologia? Alla Gregoriana, per esempio, hanno mai licenziato o non pagato i professori di teologia perché la disciplina di cui si occupano non deve essere elitaria? Avete mai chiesto al medico che vi cura di non essere elitario? Anzi, vi interessa che il medico sia il più elitario possibile, nel senso di più bravo e preparato. E così come è vostro diritto avere cura della vostra salute, ci sono i diritti del culto e c’è l’onore dovuto a Dio.

Di solito chi lancia accuse di elitarismo fa parte egli stesso di una élite, non si sfugge. Sempre si tratta di una lotta fra élite, alcune più forti delle altre (come quella clericale). Non vi fate ingannare da tutto quell’amore per il popolo che deve “partecipare”. Il vero amore si esprime non nell’indurre il popolo ad accontentarsi della mediocrità, ma nel renderlo partecipe della vera bellezza, e ciò vale anche in campo liturgico.

Ai figli si deve dare il meglio, e la Chiesa nei secoli ha proprio fatto questo. Ora invece da qualche decennio sembra dire: poiché non meritate più di questi quattro canti sentimentali, dovete accontentarvi. E come risponde il popolo a tutto questo “amore materno”? Le chiese sono forse piene di fedeli che accorrono a frotte? No, le chiese sono sempre più vuote, e si riempiono solo quando, grazie al passaparola, si scopre una liturgia bella e degna di questo nome.

Plinio Corrêa de Oliveira, nel suo Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al patriziato ed alla nobiltà romana, diceva: “Secondo i testi pontifici che commenteremo, sotto tutti i punti di vista la nobiltà costituisce una élite, la più alta di esse, ma, certo, non l’unica. Nel genere élites, essa è una specie. Vi sono élites che sono tali per il fatto di partecipare delle caratteristiche e delle funzioni della nobiltà; ve ne sono altre che svolgono funzioni diverse nel corpo sociale, ma che non per questo mancano di una dignità particolare. Vi sono dunque élites che non sono nobiliari né ereditarie ex natura propria. Così, per esempio la professione di docente universitario incorpora i propri membri, a pieno titolo, a quella che si può chiamare l’élite di una nazione. Lo stesso accade con la professione di militare, di diplomatico, e di altre simili. Questi vari rami dell’attività umana, come abbiamo già detto, non costituiscono più privilegio della nobiltà. Tuttavia, non sono pochi i nobili che vi si dedicano, e nessuno pensa che, così facendo, questi nobili decadano ipso facto dalla loro condizione. Al contrario, l’esercizio di queste attività permette che il nobile contraddistingua la sua professione con l’eccellenza delle qualità specifiche della nobiltà. In questo elenco di élites non vanno dimenticate quelle che muovono la vita economica di una nazione, nell’industria e nel commercio. Queste funzioni sono non solo lecite e degne, ma anche di evidente utilità. Tuttavia, lo scopo immediato e specifico di queste professioni è l’arricchimento di coloro che l’esercitano, ossia è solo arricchendosi a proprio vantaggio che, ipso facto e per una conseguenza collaterale, arricchiscono la nazione. E questo da solo non basta a conferire alcun carattere di nobiltà a queste professioni. In effetti, è necessaria una speciale consacrazione al bene comune – e soprattutto a ciò che questo ha di più prezioso, ossia la formazione cristiana della civiltà – per conferire un certo splendore nobiliare ad un élite. Tuttavia, quando le circostanze offrono a industriali o commercianti l’occasione di prestare al bene comune notevoli servizi, con rilevante sacrificio di legittimi interessi personali – e sempre che questi servizi vengano effettivamente prestati – questo splendore rifulge anche in quanti abbiano svolto con adeguata elevatezza d’animo la propria attività commerciale o industriale. Non solo. Se, per una felice coincidenza di circostanze, in una famiglia non nobile, una stessa stirpe esercita per varie generazioni una di queste attività, ciò può essere senz’altro considerato sufficiente per elevare questa famiglia alla condizione nobiliare”.

Insomma, ci sono élites per censo e ci sono élites che lo divengono per il lustro dato dai membri della famiglia in qualche attività particolare. Lo stesso è sempre avvenuto nell’attività artistica, che è un esercizio non per il proprio interesse, ma a beneficio di tutta la collettività.

Quello che a me fa un poco male è che si debbano spiegare cose del genere, talmente evidenti  che non se ne dovrebbe neanche discutere.

Aurelio Porfiri

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