C’era una volta la Svezia felix. Ovvero tutte le pecche del modello multiculturale

Siamo abituati a pensare alla Svezia come a una sorta di paradiso sociale, nel quale il modello della convivenza tra culture diverse funziona e garantisce a tutti la felicità e la polizia, grazie al commissario Wallander reso famoso dai gialli di Henning Mankell, compie al meglio il proprio dovere e assicura alla giustizia i malfattori. Ma basta scavare un po’ al di sotto della superficie per vedere che le cose vanno diversamente.

Judith Bergman, giornalista, avvocato e analista politico, Distinguished Senior Fellow al Gatestone Institute, se ne occupa in un articolo nel quale, parlando di problemi “autoinflitti”, prende in considerazione tre nodi: il fenomeno degli stupri di cui sono vittime le giovani donne, i crimini che avvengono nelle cosiddette “aree vulnerabili” e la questione dei terroristi dell’Isis di cittadinanza svedese che, dopo aver lasciato la Svezia per militare nelle file dello Stato islamico, vorrebbero far ritorno nel paese nordico.

Secondo l’ultimo rapporto sulla sicurezza nazionale, pubblicato dal Consiglio svedese per la prevenzione della criminalità, quattro donne su dieci hanno paura di uscire liberamente. Inoltre un rapporto di Amnesty International afferma che nel 2017 l’1,4% della popolazione svedese, corrispondente a circa 112 mila persone, aveva dichiarato di essere stato sottoposto a stupro o abuso sessuale.

Nella città universitaria di Uppsala l’80% delle ragazze non si sente al sicuro nelle vie del centro. Un’adolescente di quattordici anni, che ha paura di rivelare la sua identità, ha dichiarato ai media svedesi che indossa sempre scarpe da ginnastica in modo da poter “correre più veloce” se viene attaccata: “Mi sono seduta su una panchina e subito alcuni ragazzi sono venuti a sedersi vicino a me da entrambi i lati, poi altri ragazzi sono venuti e si sono messi di fronte a me, hanno iniziato ad afferrarmi i capelli e le gambe e mi hanno detto cose che non capivo. Ero terrorizzata e ho detto loro molte volte di fermarsi, ma non mi hanno ascoltata… Tutto è così orribile, è così sbagliato. Vorrei essere in grado di sentirmi al sicuro”.

Un recente sondaggio condotto nella regione di Uppsala mostra che solo il 19% delle ragazze delle scuole superiori si sente al sicuro nel centro della città. Nel 2013 la quota era del 45%. Gli uomini e i ragazzi delle bande che si dedicano alle molestie sessuali contro le ragazze svedesi a Uppsala sono spesso migranti appena arrivati nel paese.

In risposta, i funzionari di Uppsala hanno riferito alla stampa svedese: “Generalmente incoraggiamo le ragazze che si sentono insicure a pensare a che cosa devono fare per sentirsi più al sicuro, come non camminare da sole”. In altre parole, le autorità stanno lasciando la responsabilità di occuparsi di questo problema alle ragazze stesse.

Le giovani spaventate di Uppsala costituiscono solo una piccola parte dell’intero quadro. Secondo l’ultimo Rapporto sulla sicurezza, pubblicato dal Consiglio nazionale svedese per la prevenzione della criminalità (Brottsförebyggande Rådet o Brå), quattro donne su dieci hanno paura di uscire liberamente. “Quasi un quarto della popolazione sceglie una strada diversa o un’altra modalità di trasporto a causa dell’ansia da crimine… Tra le donne di età compresa tra i 20 ei 24 anni, il 42% dichiara di aver spesso optato per un’altra strada o un’altra modalità di trasporto, perché si sentivano insicure e preoccupate dalla possibilità di poter essere importunate. La percentuale corrispondente tra gli uomini nella stessa fascia di età è del 16%”.

Tuttavia il governo sta riducendo le risorse della polizia. Nel nuovo budget del governo, la polizia sta infatti affrontando una riduzione di 232 milioni di corone svedesi (circa 24,5 milioni di dollari).

Attualmente la polizia svedese è già alle prese con compiti che non può svolgere correttamente, come risolvere casi di stupro. Un recente rapporto di Amnesty International, Time for Change, pubblicato ad aprile e riguardante la popolazione femminile di Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia, ha duramente criticato la Svezia per non aver affrontato correttamente il fenomeno. Secondo il rapporto, tra gli altri problemi, le indagini sugli stupri sono sottovalutate, ci sono “tempi di attesa eccessivamente lunghi per i risultati delle analisi del DNA”, non c’è sufficiente sostegno per le vittime e non si fa abbastanza per la prevenzione.

“Nel 2017 – si legge nel rapporto – la polizia svedese ha ricevuto 5.236 denunce di stupro riguardanti persone di 15 anni o più: il 95% delle vittime era costituito da donne o ragazze. Le statistiche per il 2018 parlano di 5.593 segnalazioni di stupro, e nel 96% dei casi le vittime sono donne o ragazze. Ma a causa della sottostima degli stupri e degli altri reati sessuali queste cifre non forniscono un quadro realistico della portata del problema. La stragrande maggioranza delle vittime di stupro non riferirà mai il crimine alla polizia: di quelli che lo fanno, pochi vedranno arrivare il loro caso in tribunale. Nel 2017 sono stati avviati processi solo nell’11% dei casi che coinvolgono minori di età compresa tra 15 e 17 anni e nel 6% dei casi che coinvolgono adulti”.

I crimini sessuali non sono gli unici che le autorità svedesi non riescono ad affrontare adeguatamente. Nel 2018 la Svezia ha registrato un numero record di sparatorie mortali, con quarantacinque persone uccise. La maggior parte delle sparatorie è avvenuta nell’area di Stoccolma e il maggior numero di decessi è stato registrato nella Regione Sud, dove si trova Malmö. “È un livello terribilmente alto”, ha commentato il commissario di polizia di Stoccolma, Gunnar Appelgren.

Secondo la polizia, molte delle sparatorie riguardano le cosiddette “aree vulnerabili” (utsatta områden, comunemente note come “zone vietate” o “aree senza legge”). Nei primi sei mesi del 2018 quasi tutte gli scontri  fuoco sono avvenuti in una di queste “aree vulnerabili”. Nel 2017 un rapporto della polizia svedese ha detto che in Svezia ci sono ben sessantuno aree di questo tipo, con duecento reti criminali, composte da circa cinquemila persone. In ventitré aree, minori di dieci anni sono stati coinvolti in gravi crimini, compresi quelli che implicano l’uso di armi e droghe. La maggior parte degli abitanti di queste aree non è di origine occidentale.

Nonostante il quadro tracciato, quarantuno comuni svedesi potrebbero essere costretti, o sono già stati costretti, a ospitare terroristi dell’Isis che hanno lasciato la Svezia per unirsi allo Stato islamico e ora vorrebbero tornare. Per preparare i comuni, il Centro svedese contro l’estremismo violento li ha invitati a una “giornata di conoscenza” sui rimpatriati dell’Isis. Lo scopo era “fornire sostegno ai comuni che hanno ricevuto o riceveranno bambini e adulti di ritorno da aree precedentemente controllate dallo Stato islamico”. I comuni coinvolti sono quelli in cui i terroristi dell’Isis erano vissuti prima di essere reclutati dallo Stato islamico.

In totale, sono centocinquanta i membri dell’Isis, maschi e femmine, che dovrebbero tornare in Svezia, assieme a ottanta bambini che viaggiano con i loro genitori.

Secondo il primo ministro Stefan Löfven, i terroristi dell’Isis hanno il diritto, come cittadini svedesi, di rientrare in Svezia. Löfven sostiene che sarebbe contrario alla costituzione svedese spogliarli della loro cittadinanza, ma che coloro che hanno commesso crimini saranno processati.

L’esperto di terrorismo svedese Magnus Ranstorp, tuttavia, mette in guardia la Svezia dal riaccogliere non solo i terroristi dell’Isis, ma anche le loro mogli e i figli, perché, spiega, anche le donne e i bambini rappresentano un rischio per la sicurezza: “Le donne non sono vittime innocenti, e c’è anche un folto gruppo di bambini dell’Isis. Dall’età di otto o nove anni, sono stati inviati in campi di indottrinamento dove hanno appreso tecniche di combattimento e come maneggiare le armi. Hanno imparato a uccidere. La loro personalità sarà per sempre influenzata dal tempo trascorso nell’Isis e dal fatto che abbiano un padre o una madre appartenenti allo Stato islamico”.

Aldo Maria Valli

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