13 maggio 1981 / Quello strano pomeriggio “tranquillo” di Leonid Brežnev

Si torna a parlare dell’attentato a Giovanni Paolo II (13 maggio 1981). Lo fa George Weigel, biografo del papa santo, con un articolo nel quale, prendendo spunto dalle più recenti ricerche dello storico polacco Andrzej Grajewski, punta l’attenzione sulle ore trascorse in quel drammatico pomeriggio dall’allora segretario generale del Partito comunista sovietico, il potentissimo Leonid Brežnev.

“Mite storico polacco, uno dei massimi esperti mondiali della guerra fredda sul versante della Chiesa”, Grajewski ha passato anni a esaminare i file dei servizi segreti comunisti e, sebbene molte carte siano andate distrutte nel 1989, con il crollo dell’Unione Sovietica, e altre siano ancora chiuse da qualche parte a Mosca, ha potuto scovare alcuni nuovi documenti. Tra questi, i programmi di lavoro, giorno per giorno, di Brežnev. Ed è proprio analizzando tali programmi che qualcosa di singolare è saltato all’occhio dello studioso.

Ma prima partiamo da ciò che si sa.

“Sappiamo – scrive Weigel – che nell’autunno del 1979 Yuri Andropov, l’intelligente e spietato capo del Kgb (il servizio segreto sovietico) aveva concluso che Giovanni Paolo II rappresentava una grave minaccia per il sistema sovietico, sia all’interno sia all’esterno dell’impero dell’Urss. Sappiamo inoltre che il 13 novembre 1979 il Comitato centrale del Partito comunista sovietico emise un decreto che autorizzava l’uso di ‘tutti i mezzi disponibili’ per prevenire gli effetti della politica con la quale Giovanni Paolo II denunciava le violazioni dei diritti umani da parte sovietica”.

“Sappiamo poi che l’assassino prescelto, Mehmet Ali Agca, era un sicario professionista che in qualche modo fuggì da una prigione militare turca poco dopo che fu emesso il decreto del 1979 e ricevette ulteriore addestramento in un campo siriano gestito dai servizi di intelligence del blocco sovietico. Sappiamo inoltre che, dopo l’incontro con un ufficiale dell’intelligence sovietica a Teheran, Agca entrò in Bulgaria con l’aiuto dei servizi di sicurezza bulgari e visse per due mesi in un hotel di lusso a Sofia. Infine sappiamo che le risorse economiche di Agca furono gestite da un turco, associato ai servizi di intelligence comunisti, il quale successivamente morì in circostanze inspiegabili”.

“Ciò che non abbiamo – prosegue Weigel –  sono prove documentali che tutto ciò sia stato fatto per ordine diretto di Andropov, o del leader sovietico Leonid Brežnev, o di entrambi. Ma sappiamo che, dato che i servizi bulgari avrebbero esitato perfino a cambiare la marca di sapone nei bagni dei loro uffici senza il permesso di Mosca, certamente non possono aver eseguito  un’operazione contro Giovanni Paolo II da soli”.

E ora, grazie ad Andrzej Grajewski, che ha concentrato le ricerche sulle attività di  Brežnev dall’aprile al maggio 1981, sappiamo qualcos’altro.

“Nel corso del suo regno come capo de facto dell’Unione Sovietica dal 1964 al 1982, Brežnev non si incontrò molto spesso con Andropov, il capo del Kgb. Ma la frequenza dei loro incontri aumentò moltissimo proprio nell’aprile e nel maggio 1981, così come aumentò la frequenza delle loro conversazioni telefoniche. Perché questa improvvisa intensificazione dei contatti tra il leader sovietico e Andropov in quel preciso momento?”.

Focalizzandosi poi  sul giorno dell’attentato, che avvenne alle 17:17 del 13 maggio 1981, Grajewski ha scoperto che Breznev in quella data, dopo un incontro in mattinata con una delegazione del Congo per firmare diversi accordi, andò nel suo ufficio al Cremlino verso l’una, ma il programma di lavoro non dice se nel corso dela pomeriggio e della serata incontrò qualcuno o fece o ricevette telefonate: vuoto assoluto.

Direte: che c’è di strano? Ebbene, il fatto strano è che si tratta di un caso unico. Come spiega Grajewski, infatti, mai, nei quasi diciotto anni trascorsi al vertice del sistema sovietico,  Brežnev ebbe ore apparentemente così tranquille e vuote, senza riunioni, appuntamenti, telefonate o visite. Di qui la domanda: stava forse aspettando qualcosa?

Ma c’è un’altra circostanza significativa. E cioè che “dopo le 18, cioè subito dopo che Agca sparò i suoi colpi in piazza San Pietro e il papa fu portato al policlinico Gemelli, Brežnev lasciò il Cremlino e si recò nella sua residenza nei sobborghi di Mosca”. Poi il giorno seguente, 14 maggio, al Cremlino ebbe un incontro con il ministro degli esteri sovietico, Andrei Gromyko, e il giorno successivo, il 15 maggio, ricevette Yuri Andropov”.

“Una tale sequenza di eventi dimostra che Breznev fu informato dell’attentato?” Non lo sappiamo, risponde Grajewski. Resta il fatto che quello strano pomeriggio del 13 maggio 1981 si segnala come un caso non solo raro, ma unico.

Per gli storici c’è ancora moltissimo da scoprire, ma intanto un’altra tessera è stata aggiunta a un mosaico che ancora attende di essere completato.

Aldo Maria Valli

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