Fino a quando?

Cari amici di Duc in altum, così come le vie del Signore anche le possibilità di restare sconcertati da papa Francesco sono infinite.

Il padre Antonio Spadaro pubblica oggi sulla Civiltà cattolica  la conversazione che Francesco ha avuto il 5 e l’8 settembre scorso con i gesuiti del Mozambico e del Madagascar in occasione del suo viaggio apostolico in Africa. Il resoconto si intitola La sovranità del popolo di Dio e vi possiamo leggere le risposte che il papa ha dato ai suoi confratelli durante l’incontro.

Ma perché parlo di sconcerto? Perché a un certo punto, rispondendo alla domanda del padre Bendito Ngozo, che lo interpella sul problema delle sette protestanti e del proselitismo, il papa racconta: «Oggi ho sentito una certa amarezza quando ho concluso l’incontro con i giovani. Una signora mi ha avvicinato con un giovane e una giovane. Mi è stato detto che facevano parte di un movimento un po’ fondamentalista. Lei mi ha detto in perfetto spagnolo: “Santità, vengo dal Sud Africa. Questo ragazzo era indù e si è convertito al cattolicesimo. Questa ragazza era anglicana e si è convertita al cattolicesimo”. Ma me lo ha detto in maniera trionfale, come se avesse fatto una battuta di caccia con il trofeo. Mi sono sentito a disagio e le ho detto: “Signora, evangelizzazione sì, proselitismo no”».

Ho letto e riletto, ma c’è scritto proprio così. Capite? Anziché abbracciare i due convertiti, fare festa con loro e benedirli, il papa li ha praticamente sgridati, ed ha rimproverato la signora per averli aiutati a diventare cattolici!

Nella sua risposta il papa introduce la solita distinzione tra evangelizzazione e proselitismo, un discorso che ha fatto molte volte. Ma, al di là di questa distinzione (sulla quale si può discutere), come può avere un atteggiamento simile nei confronti di chi è arrivato alla fede cattolica provenendo da un’altra esperienza religiosa? La signora di cui parla si sarà anche pronunciata “in maniera trionfale”, ma come biasimarla? Se ti trovi davanti al papa, e hai la possibilità di presentargli due giovani convertiti al cattolicesimo, un certo cedimento alla soddisfazione può essere più che comprensibile. E invece il papa (dico: il papa, il capo visibile della Chiesa cattolica) se la prende a male.

Ma nel dialogo con i confratelli gesuiti c’è un altro punto che lascia più che perplessi. Si trova là dove il papa, tuonando contro il clericalismo (e anche questa non è una novità) dice: «Il clericalismo ha come diretta conseguenza la rigidità. Non avete mai visto giovani sacerdoti tutti rigidi in tonaca nera e cappello a forma del pianeta Saturno in testa? Ecco, dietro a tutto il rigido clericalismo ci sono seri problemi. Ho dovuto intervenire di recente in tre diocesi per problemi che poi si esprimevano in queste forme di rigidità che nascondevano squilibri e problemi morali. Una delle dimensioni del clericalismo è la fissazione morale esclusiva sul sesto comandamento. Una volta un gesuita, un grande gesuita, mi disse di stare attento nel dare l’assoluzione, perché i peccati più gravi sono quelli che hanno una maggiore “angelicità”: orgoglio, arroganza, dominio… E i meno gravi sono quelli che hanno minore angelicità, quali la gola e la lussuria. Ci si concentra sul sesso e poi non si dà peso all’ingiustizia sociale, alla calunnia, ai pettegolezzi, alle menzogne. La Chiesa oggi ha bisogno di una profonda conversione su questo punto. D’altra parte, i grandi pastori danno alla gente molta libertà. Il buon pastore sa condurre il suo gregge senza asservirlo a regole che lo mortificano. Il clericalismo invece porta all’ipocrisia. Anche nella vita religiosa».

Non voglio entrare nella questione riguardante quali peccati siano più gravi, se quelli legati alla sfera sessuale o quelli sociali, perché mi sembra un discorso che non porta da nessuna parte. Mi concentro invece sul parallelo che il papa fa tra il “clericale”, inteso come arrampicatore e persona moralmente corrotta, e il “rigido”, esemplificato dalla figura del giovane prete in tonaca nera. E dico che qui siamo a un livello di insinuazione e di maldicenza del tutto inaccettabile. In base a che cosa il papa sostiene che il giovane sacerdote che si veste da prete, con tonaca e cappello, è un “rigido” e come tale un clericale e una persona moralmente corrotta? Com’è possibile che un papa si esprima in questo modo nei confronti di chi ha a cuore la propria identità di sacerdote? Discorsi come questi, difficilmente digeribili perfino se fatti al bar, non sono tollerabili. Mettiamoci nei panni (è il caso di dirlo) di un prete che per amore della propria identità si veste abitualmente da prete, con tonaca e cappello. Il papa in pratica lo addita come perverso e ipocrita, come persona dalla quale stare alla larga. Ma come si permette?

E che dire del concetto secondo cui «i grandi pastori danno alla gente molta libertà»? Che significa? Libertà in che senso? Su che cosa si basa tale affermazione? Dove vuole arrivare? Perché i cattolici, che hanno il diritto di capire bene che cosa intende il supremo pastore in materia di fede e dottrina, devono essere ormai nutriti in questo modo, da un papa che appare ostile a tutto ciò che è cattolico e produce ambiguità, maldicenze, insulti e allusioni cattive e ingiustificate?

Per carità di patria, anzi di Chiesa, non mi occupo di altri punti del dialogo del papa con i gesuiti. Mi chiedo soltanto: fino a quando dovremo sopportare questa svalutazione, questo immiserimento, questa sconcertante opera di progressivo degrado della figura papale e della sua autorità?

Aldo Maria Valli

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