Il Festival di Fede & Cultura. Una bellissima giornata con tanti amici

Cari amici di Duc in altum, è stato bellissimo partecipare all’ottavo Festival nazionale di Fede & Cultura a Verona. Bellissimo conoscere tanti di voi, avvertire la vostra vicinanza e il vostro affetto, sentirci uniti.

Per parlare del mio romanzo L’ultima battaglia avevo preparato alcuni appunti che poi non ho utilizzato, perché la conversazione con Giovanni Zenone è stata molto più coinvolgente di quanto potesse essere un monologo. Mi permetto di proporli qui. Con un grazie a Giovanni, alla sua splendida famiglia, a coloro che cooperano con Fede & Cultura e a voi tutti.

Le preoccupazioni sono tante, forte è lo sconcerto per la situazione della Chiesa e le scelte dei pastori, “noi però dobbiamo sempre rendere grazie a Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza, per mezzo dello Spirito santificatore della fede nella verità” (seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi).

A.M.V.

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L’ultima battaglia

Siamo a Roma, in un futuro indeterminato. Il papa da tempo non si fa vedere né sentire. E nemmeno dei tre papi emeriti, che vivono nell’Albergo degli emeriti, si ha più notizia. La basilica di San Pietro ha cambiato nome: ora è il Tempio Numero Uno. Idem per piazza San Pietro, ora Piazza del Dialogo. La Chiesa cattolica non mette più al primo posto Dio, ma l’uomo. Tutta tesa ad acquisire l’amicizia del mondo, punta su concetti quali dialogo, comprensione, rispetto. Il suo messaggio è caratterizzato da un generico umanitarismo in linea con ciò che piace al mondo. La santa messa non si chiama più così, ma buon convivio. Farsi il segno della croce in pubblico e impartire benedizioni all’aperto è vietato, in nome del dialogo con le altre religioni.

Don Martin Lundberg, officiale vaticano di origine svedese, luterano convertito al cattolicesimo, è omosessuale e sposato (la Chiesa ormai lo permette). Il compagno è un teologo americano conosciuto ai tempi dell’Università Gregoriana: Joshua Grant. Hanno un figlio adolescente: Kevin, concepito con la maternità surrogata.

Attratto in gioventù da una nuova corrente teologica di matrice rahneriana, la smart theology, che annulla le peculiarità cattoliche per abbracciare un vago spiritualismo e di fatto non si interroga più su verità e giustizia divina, don Martin vive una condizione di crescente disagio: è un servitore del Vaticano, ma allo stesso tempo è insofferente verso questa Chiesa che ormai assomiglia sempre di più a una specie di Onu delle religioni, dove, in nome di un  distorto senso del rispetto, è addirittura vietato usare l’aggettivo “cattolico”.

Nella sostanziale assenza del papa, la Santa Sede è in mano al cardinale camerlengo, che si fa chiamare Padre Guardiano ed è al vertice di una struttura segnata dall’appartenenza alla Lobby. Grande alleato del Padre Guardiano è il capo della Loggia, il Gran Maestro, il quale, pur avvertendo repulsione nei confronti del potente cardinale, accetta le sue strategie al fine di conquistare il potere e di sottomettere definitivamente la Chiesa cattolica alla volontà dei nuovi dominatori.

Ma all’interno del Vaticano, nonostante i controlli del Servizio, non tutti sono disposti ad accettare questo destino. In particolare un prelato, che noi conosciamo come “il monsignore2, molto ben inserito e al corrente delle trame più oscure, passa al contrattacco e, pur sapendo che il rapporto di forze è tutto a vantaggio della Chiesa deviata, inizia a tessere una trama di alleanze per svelare la verità. Si mette così in contatto con un giornalista spagnolo critico verso il Vaticano e con il capo della Guardia svizzera pontificia, anch’egli perplesso di fronte alla deriva della Chiesa in senso anticattolico.

Il monsignore, il giornalista e il comandante degli svizzeri, con l’aiuto di un cardinale rimasto fedele alla vera fede e alla vera Chiesa, formeranno il Piccolo gregge, al quale si uniranno anche don Martin e, a sorpresa, un altro prete che lavora in Vaticano.

I membri del Piccolo gregge dicono di loro stessi: Questo piccolo, piccolissimo gregge ha davanti una missione: combattere la buona battaglia. La verità deve trionfare. Lo so, assomigliamo forse ad altrettanti illusi, animati soltanto da una visione romantica della nostra Chiesa. Ebbene, sappiate che non è così.

Nel romanzo la questione della verità è centrale. Da una parte ci sono le forze dell’apostasia, che sostengono il relativismo, dall’altra c’è il Piccolo gregge, che combatte per la verità oggettiva.

La verità”, disse il monsignore, “è ormai diventata opzionale e comunque sembra essere solo nelle cose nuove. Come se la verità potesse cambiare”.

Il camerlengo, quando istruisce il nuovo papa (scelto da un conclave pilotato per sostituire il precedente pontefice, ormai non più utile), gli chiede di fare una professione di fede aberrante e blasfema: ”Vorrei che tu sottolineassi che la categoria del peccato è definitivamente superata, perché è finita l’epoca della precettistica. Non la legge guida le nostre scelte, ma la libertà di cui Dio ci fa dono e che noi siamo chiamati a valorizzare. Il concetto è quello di emancipazione, unito all’autocomunicazione divina nell’esperienza concreta”. E poi: “Noi crediamo nell’Armonia, nel Progresso della famiglia umana… Noi crediamo nell’umanitarismo”.

Da notare che ho scritto queste pagine mesi prima che papa Bergoglio, in suo intervento, parlasse della necessità di un “nuovo umanesimo”.

Il sottoscritto è dunque un profeta? No. È solo che la realtà ormai supera la fantasia. Specie se si tratta della fantasia di un povero cattolico come me. Il quale, nonostante si sforzi, è incapace di andare oltre un certo limite a proposito di apostasia.

Questo è anche il romanzo della riscoperta della tradizione e dei sacramenti. In una Chiesa ormai totalmente scolarizzata, Alberto a un certo punto avverte una nostalgia: quella per la confessione. Ed è il monsignore che, nello strano giardino di Alberto, amministra il sacramento.

Si sistemarono nel giardino, su due vecchie sedie di legno. Il monsignore prese dalla tasca una fascia viola, la baciò e se la mise al collo. Alberto osservò senza parlare, ma nei suoi occhi c’era stupore e allora il monsignore spiegò: “È la stola. Ricordi?”.

Alberto si rivide bambino e gli sembrò di scorgere un’immagine: un prete che baciava quella specie di sciarpa prima di indossarla.

La nostalgia per una Chiesa che non c’è più è struggente. Ed è la stessa che spesso provo io.

Durante la confessione di Alberto il discorso cade sull’emarginazione a cui è sottoposto il giornalista, e il monsignore dice: ”Ricorda questo: essere lasciati da parte, essere dimenticati, è una delle grazie più grandi”. E qui c’è tutta la mia esperienza recente.

Ad Alberto sembrò di guardare il mondo, e prima di tutto se stesso, con occhi nuovi…

A un certo punto c’è un accenno che sembra poco importante, ma ci tengo.  Dopo pagine intense sotto il profilo emotivo, il capitolo si chiude così: Il monsignore sorrise, tirò fuori un toscanello, mise un braccio sulla spalla di Alberto e dirigendosi verso la casa di legno disse: “Adesso mi offriresti una birra ghiacciata?”. In effetti nel romanzo i buoni non si prendono mai troppo sul serio, scherzano, a volte giocano. I cattivi, pur volendo apparire simpatici agli occhi del mondo, sono invece molto presi da loro stessi.

Nel capitolo in cui descrivo la scena di don Martin e Joshua che discutono della loro relazione, del cammino che hanno fatto, e prendono coscienza degli inganni in cui sono caduti a causa di una falsa teologia, a un certo punto Martin dice: ”Ci siamo tanto occupati di come parlare di Dio a partire dai nostri bisogni e non ci siamo più occupati di come parla Dio. E di come ascoltarlo”.

Nei cuori del prete e del teologo si fa largo una luce. Un percorso doloroso, eppure salutare. L’intero capitolo ha quasi il tono della preghiera. E in alcuni punti le parole di Martin e Joshua diventano proprio una preghiera: Dobbiamo ringraziare il Signore, non ci ha abbandonato! Ancora una volta, nel buio della notte, si è messo in marcia ed è andato a cercare la pecorella smarrita. E nella gratitudine dobbiamo trovare la forza per andare avanti, scrutando i segni che Dio ci manda… Al Nemico, che ci vuole fiaccare con il rimorso, dobbiamo rispondere con la ritrovata fortezza. Che il Signore ci aiuti!

Alla vicenda si intreccia quella del dramma che colpisce don Martin e Joshua: il loro figlio, Kevin, è infatti rapito e ucciso. E le indagini del Piccolo gregge, alla ricerca dell’assassino, porteranno proprio in Vaticano.

Ma dov’è finito il papa? Perché non fa più sentire la sua voce? E i tre emeriti? Riuscirà il Piccolo gregge a combattere e a sconfiggere l’alleanza perversa tra il Padre Guardiano e il Gran Maestro?

Prima di sparire, il papa – un inglese, eletto per procedere a una profonda  riforma del governo centrale della Chiesa cattolica “nel segno della trasparenza e del dialogo con il mondo”, ma che i curiali hanno soprannominato Sua Reticenza per una certa tendenza all’ambiguità e al non detto – ha prodotto un’esortazione apostolica che vieta, in nome del dialogo, ogni riferimento al soprannaturale.

C’è poi il personaggio di Serena, una fedele che di fronte alla deriva della nuova Chiesa si sente quanto mai confusa e arriva a chiedere aiuto proprio a don Martin. Serena non sa che cosa pensare, si sente confusa e disorientata. Vuole bene al papa e alla Chiesa, perché così le è stato insegnato, ma non riesce più a fidarsi completamente.

In questo personaggio c’è mia moglie, ma ci siamo un po’ tutti noi. Serena conserva un ricordo di quand’era bambina, un presepe virtuale, in piazza San Pietro. Poi il presepe fu vietato. Decisione dall’alto, in nome del dialogo con le altre fedi e culture. Per il rispetto dovuto a chi è diverso da noi, si disse all’epoca. E lei ci restò male.

Serena, fedelissima alla Chiesa e al papa, è affranta perché non sa più se e quanto può fidarsi dei pastori, a incominciare dal supremo pastore. E in fondo è proprio questo che ci fa soffrire tanto.

Don Martin le si rivolge così: ”Ha detto bene, Serena. Lei desidera potersi fidare. È ciò che tutti desideriamo. Ed ecco perché è così doloroso aprire gli occhi. Ma in tutto questo c’è un insegnamento: la custodia della fede è affidata a noi, nessuno può sostituirci in questo compito. È affidata a noi in quanto battezzati e soldati di Cristo, come si diceva ai tempi dei nostri antenati, prima che incominciasse il processo di trasformazione e adattamento della fede al pensiero secolarizzato. Questa responsabilità è pesante, lo riconosco, ma non dobbiamo temere.

Allora Serena ricorda la promessa di Gesù: ”Io sono con voi fino alla fine dei tempi…”, e don Martin replica: ”È così, è davvero così. Ecco la nostra speranza. Il Signore non ci abbandona”.

Un capitolo al quale tengo molto è quello in cui racconto la santa messa celebrata nella casa di Alberto dal loro amico cardinale, prima di scendere in campo per una sfida impossibile, che il Piccolo gregge ha deciso di tentare nel giorno dell’insediamento del nuovo papa.

Il cardinale da me immaginato tiene un’omelia del cui contenuto sono debitore a un cardinale vero, Carlo Caffarra.

”Leggendo la sacra scrittura”, disse il cardinale nell’omelia, “noi vediamo che il Signore, nel suo agire verso gli uomini, si attiene ad alcune norme di comportamento costanti … “.

”Non dobbiamo basarci sulle nostre povere forze. Il Signore non ci chiede di far trionfare la giustizia. A noi chiede di agire con giustizia! A noi chiede di testimoniare la verità nella fedeltà. Il resto tocca a Lui. Dove, quando, come trionferà la giustizia? Noi non lo sappiamo, perché è compito di Dio. A noi è chiesa la fedeltà…”.

Occorre essere disponibili alla verità, amare la verità, vivere nella familiarità con la verità.

Dal punto di vista stilistico, la scommessa è stata riuscire a sviluppare un racconto che, sia pur senza ricorrere al sensazionale, tenga desta l’attenzione del lettore applicando lo stile giornalistico alla narrativa. Di qui la scelta di capitoli brevi, nei quali non ci sono momenti di pausa, e di un linguaggio che cerca di mantenersi semplice senza però  cadere nel banale.

Gli elementi fantascientifici non mancano, ma riguardano più che altro le tecnologie in uso e il modo di vivere dei protagonisti: fanno quindi da sfondo a una vicenda il cui contenuto principale è di ordine morale.

Numerosi sono i riferimenti a fatti reali. Per esempio, nella vicenda del rapimento e dell’uccisione di Kevin non è difficile riconoscere quella della cittadina vaticana Emanuela Orlandi, sparita nel nulla nel 1983, quando aveva quindici anni. E nella figura del monsignore-informatore, che convoca il giornalista in un luogo appartato, si riconosce sia quella del funzionario dell’Fbi che aiutò i giornalisti Woodward e Bernstein a dipanare i misteri del caso Watergate, sia quella dell’ex nunzio negli Usa, monsignor Carlo Maria Viganò, che con il suo memoriale consegnato ad alcuni giornalisti, fra i quali il sottoscritto, ha contribuito a far luce sulla corruzione morale in Vaticano.

Inutile dire che nel giornalista, Alberto, che fra l’altro perde il posto per una sua inchiesta scomoda, c’è molto di me.

Quando Alberto si descrive è un po’ come se  descrivessi me stesso.

”Bravo, lei è coraggioso”, gli dicevano alcuni. Ma lui non si considerava né bravo né coraggioso. Semplicemente, come sempre, la questione era rimettere le cose a posto. E chiamarle con il loro nome. Scoprire la verità e dare una mano, per quanto piccola, alla giustizia non era che un modo per fare ordine. Di qui la sua battaglia quotidiana, all’interno di un mondo, quello vaticano, nel quale era necessaria una sensibilità da rabdomanti. Perché le notizie non ti venivano mai fornite in modo chiaro, e lo stesso valeva per le chiavi di interpretazione. Occorreva invece scorgere i segni, anche quelli apparentemente insignificanti, e da lì partire per ricostruire una trama, collegare episodi, dare un senso complessivo a una serie di indizi.

Quando vedeva che i suoi colleghi, nella redazione centrale, si facevano la guerra per arrivare primi su una notizia, Alberto sorrideva tra sé. Anni e anni di lavoro tra le stanze vaticane gli avevano insegnato che uno scoop, per un vaticanista, non è dare una notizia prima degli altri, ma inserire la notizia in un contesto, renderla comprensibile, fornire le chiavi di lettura. Un omaggio, questo, a Benny Lai, un grande vaticanista del passato che diceva proprio così.

Dopo aver letto il rapporto del monsignore, Alberto dice: La Chiesa! La nostra Santa Madre Chiesa! Perché? Perché colpirla così? Perché questo oltraggio? È la domanda che mi pongo ogni giorno.

La parola “preghiera” non era più di moda e le invocazioni a Maria erano state  vietate. In nome del dialogo con i fratelli riformati, diceva l’esortazione apostolica. Ma alla fine del rapporto il monsignore, infrangendo la regola, prorompe proprio in una preghiera accorata: “Signore, non abbandonarci! Maria, Maria, Madre della Chiesa, prega per noi!”. La preghiera che davvero ci sorge dal cuore ogni giorno.

Il rapporto del monsignore apre gli occhi ad Alberto: A mano a mano che scorreva i nomi, Alberto provava un brivido. Ricordava episodi, rivedeva volti, ricostruiva circostanze. Frammenti sparsi di un quadro che si stava ricomponendo sotto i suoi occhi. Al momento non aveva voluto credere e si era rifiutato di ascoltare certe inquietudini interiori. Ora invece tutto diventava chiaro.

Nella realtà gli occhi mi si sono aperti (una benda è caduta dai miei occhi, secondo l’espressione che uso spesso) non solo a motivo del memoriale Viganò. Anzi, diciamo che il memoriale ha chiuso un percorso iniziato per me lentamente, in modo confuso, specie con la lettura di Amoris laetitia, ma che poi è sfociato nella dolorosa consapevolezza di essere di fronte a un’apostasia generalizzata.

Un debito letterario è verso il romanzo di Guido Morselli Roma senza papa, del 1974, da me amatissimo, ma anche verso Il padrone del mondo di Robert Hugh Benson, 1984 di Orwell e Brave New World di Huxley.

In numerosi modi faccio intendere a quali aberrazioni si arriverebbe se la Chiesa cattolica proseguisse nel cammino in senso modernista e protestante intrapreso dopo il Concilio Vaticano II e sfociato nelle contraddizioni dell’attuale pontificato, un pontificato che sotto molti aspetti non è la causa prima del dramma che stiamo vivendo ma è piuttosto la conseguenza di un lungo percorso incominciato molto tempo fa.

Il racconto è percorso da un’evidente vena polemica, che a volte sfocia nel sarcasmo, ma più forte – spero lo si avverta – è l’amore per la Chiesa e per la tradizione.

Mentre scrivevo vedevo che alcuni elementi da me immaginati si stavano già realizzando. Io descrivevo l’alleanza tra il camerlengo e il Gran Maestro, ed ecco che nella realtà potevo constatare  un’identità di vedute, e  addirittura un’identità di linguaggio, tra Chiesa e massoneria (non a caso l’attuale pontefice ha ricevuto ripetute attestazioni di stima e simpatia da parte dei capi massoni).

In altri casi (penso all’aberrante liturgia idolatrica descritta quando parlo dell’insediamento del nuovo papa) la mia distopia ha anticipato solo di qualche mese quanto poi abbiamo visto nel sinodo amazzonico, con l’utilizzo di simboli idolatrici da parte delle massime autorità della Chiesa.

Una frase di Clives Staples Lewis mi ha costantemente ispirato: “Non saprai mai quanto credi davvero a qualcosa, finché la verità o la falsità di questo qualcosa non diventano una questione di vita o di morte”.

Nel romanzo la verità della fede e della Chiesa, e la falsità dei loro nemici, diventano davvero questione di vita e di morte.

Mi ha ispirato anche il Catechismo della Chiesa cattolica, là dove si legge: “Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti” (n. 675). Non so se ci siamo arrivati, nessuno può saperlo, ma certamente la nostra fede è scossa

Mi ha ispirato anche il salmista: “Sorga Dio, i suoi nemici si disperdano; / e fuggano davanti a Lui quelli che Lo odiano. / Come si disperde il fumo, si disperdano: / come fonde la cera di fronte al fuoco, / così periscano gli empi davanti a Dio” (Salmo 67).

La questione del giudizio di Dio, così trascurata dalla Chiesa oggi, è centrale in questo mio romanzo, così come è centrale il tradimento di Pietro. Sullo sfondo la domanda decisiva: “Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?” (Lc 18, 8).

In una riunione del Piccolo gregge, alla vigilia di giornate decisive, il monsignore dice: ”Sapete chi è il grande assente oggi? Ma guardate! Guardate il nuovo papa! Ecco il grande assente! Dio! Ed ecco svelato il loro disegno: che l’uomo diventi Dio! La coscienza sia ridotta a opinione personale, sradicata dalla verità. Il piano divino sull’uomo, sulla nostra vita, sia ignorato. La Chiesa non abbia più dottrina! Ma lungo questa strada dove finiremo? Dove siamo già finiti? L’unico criterio è il potere! Così l’uomo da fine diventa mezzo”.

Poi il monsignore dice: ”Io non vi chiedo di essere eroi. Ma di essere uomini sì. Questa nostra povera Chiesa, questa Madre Chiesa che tanto amiamo e vediamo tanto oltraggiata, ha bisogno di noi. Ora. Subito. Non possiamo aspettare”.

Aldo Maria Valli

 

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