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I due papi, la confusione e i diritti dei fedeli

Cari amici di Duc in altum, è disponibile su radioromalibera il mio nuovo contributo per la rubrica La trave e la pagliuzza. Lo potete ascoltare qui.

Qui sotto trovate invece il testo scritto.

A.M.V.

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Le vicende riguardanti il libro sul celibato dei sacerdoti scritto dal cardinale Sarah con il contributo del papa emerito Benedetto XVI stanno tenendo banco sulla stampa di tutto il mondo. Tante sono le domande che ne scaturiscono e forse con il tempo riusciremo a fare un po’ di chiarezza in quello che per il momento appare un gran pasticcio. Ci sono però anche un paio di domande di fondo che non possono essere eluse. La prima riguarda la compresenza dei due papi, e la seconda il diritto dei fedeli di ricevere una parola chiara e un insegnamento limpido. Due questioni che, ovviamente, sono connesse.

Circa la compresenza e la convivenza dei due papi, è evidente che l’esperimento del papa emerito sta fallendo miseramente. Periodicamente, per un motivo o per un altro, la parola dell’emerito e quella del regnante si sovrappongono, si contrappongono oppure vengono messe in contrapposizione da osservatori interessati.

Sappiamo che dal punto di vista canonico la figura del papa emerito presenta molte zone d’ombra e di dubbio. A noi, che non siamo canonisti, basta osservare che ha determinato enorme confusione, e di certo non ce n’era bisogno, dato che la confusione è già notevolissima.

Qualcuno dice che per eliminare il problema ci sarebbe una soluzione facilissima: il papa emerito potrebbe letteralmente morire al mondo, cioè sparire e non parlare più, come se fosse morto. Ma il fatto è che un papa emerito non è morto e, ammesso anche che riuscisse a sparire e a mantenere un’assoluta riservatezza, sarebbe sempre possibile l’uscita di voci, notizie o valutazioni dalla sua cerchia di collaboratori e amici. E sempre sarebbero possibili le interpretazioni e le strumentalizzazioni.

Diciamolo con franchezza: quella del papa emerito è una figura comunque ingombrante. Personalmente voglio molto bene a Ratzinger e mi trovo spesso in sintonia con le sue valutazioni, ma ciò non toglie che mi renda conto di quanto il ruolo del papa emerito possa essere ambiguo e fonte di confusione.

E qui vengo alla seconda questione, cioè il diritto dei fedeli di ricevere un insegnamento chiaro e limpido dai pastori.

Ho già detto che non sono un canonista e sono incapace di ragionare in termini strettamente giuridici, però non posso fare a meno di ricordare che il Codice di diritto canonico (Libro II, Il popolo di Dio; Parte prima, I fedeli cristiani. Obblighi e diritti di tutti i fedeli) stabilisce: “I fedeli hanno il diritto di ricevere dai sacri Pastori gli aiuti derivanti dai beni spirituali della Chiesa, soprattutto dalla parola di Dio e dai sacramenti”.

Ecco, nero su bianco, un diritto fondamentale del fedele cattolico. Ma, mi chiedo, quanto questo diritto è assicurato in un momento come l’attuale, in cui succede che dai pastori arrivino valutazioni diverse se non opposte, e in cui non è neppure chiaro quale sia la distinzione tra il pastore supremo regnante e il papa emerito?

Dice ancora il Codice: “I fedeli, consapevoli della propria responsabilità, sono tenuti ad osservare con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori, in quanto rappresentano Cristo, dichiarano come maestri della fede o dispongono come capi della Chiesa”.

Già, ma se i maestri della fede parlano in modo ambiguo, o dicono cose palesemente in contrasto con la fede che ci è stata trasmessa da generazioni, come si deve comportare il fedele? Fin dove può arrivate l’obbligo di obbedienza?

Pensiamo, solo per fare due esempi tra i più eclatanti, a certi contenuti di Amoris laetitia o della Dichiarazione sottoscritta da Francesco ad Abu Dhabi. Come pretendere che un fedele possa obbedire a ciò che è palesemente contrario alla fede cattolica e alla retta dottrina?

Troppo spesso dimentichiamo ciò che il Codice stabilisce in un altro canone, e cioè che “i fedeli sono liberi di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità, soprattutto spirituali, e i propri desideri” e che “in modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità delle persone”.

Ripeto: il riferimento al Codice mi serve qui non perché ami procedere basandomi sulla logica dei canoni, me per rendere esplicite le questioni, molto gravi, che sono di fronte a tutti noi in quest’ora così delicata.

Aldo Maria Valli

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