I cattolici al tempo del coronavirus

Cari amici di Duc in altum, data la situazione in alcune regioni italiane, ho deciso, parafrasando L’amore ai tempi del colera di Gabriel García Márquez, di aprire un canale di comunicazione che ho chiamato I cattolici al tempo del coronavirus. Lo spazio è a vostra disposizione. Potete scrivermi utilizzando la mia pagina Facebook.

Lo spazio si apre con due testimonianze, una da Bologna e una da Milano.

A.M.V.

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Qui Bologna

Caro dottor Valli, sono un fedele cattolico bolognese e vorrei condividere con lei una riflessione in questo Mercoledì delle ceneri nel quale, per evitare la diffusione del coronavirus, mi è precluso di iniziare con devozione il tempo quaresimale con la Santa Messa e il rito delle ceneri. Certo, il cardinale arcivescovo Zuppi celebrerà in diretta tv dal santuario della Beata Vergine di San Luca, ma si tratterà dell’unica celebrazione in tutta la diocesi di Bologna e, naturalmente, a porte chiuse. Mi chiedo: possibile che il clero bolognese con così grande solerzia abbia deciso l’interruzione delle celebrazioni (temo anche di domenica prossima) adducendo il grande afflusso di fedeli nelle chiese? A parte le Messe con il catechismo a seguito, tutta questa frequentazione non mi pare di vederla, in effetti. Non sarebbe invece opportuno, in questo tempo nel quale il Padre Eterno ci ricorda con più vigore la caducità della vita terrena, prepararsi un tesoro per l’altra vita, quella eterna? E dare quindi occasione per confessarsi, pregare, digiunare e fare carità?

In questi giorni, essendo libero professionista, ho continuato a recarmi in studio, dato che le scadenze professionali non vengono meno nonostante il virus. Ebbene, come di consueto, mi sono recato in una storica mensa di via Indipendenza a Bologna, dove condivido per circa trenta minuti ogni giorno il posto a sedere in una sala gremita, con altre decine di persone. E se qualcuno contagiato fosse stato, a sua insaputa, tra gli avventori? Allo stesso modo, al supermercato o al centro commerciale non si sta forse a contatto con le persone per mezzora almeno? E in treno? E in autobus? Certo, sono luoghi che si frequentano per primaria necessità. Invece la chiesa no, là non ci si può fermare in gruppo per mezz’ora. Sì alle Messe feriali (tanto ci sono solo pochi vecchi) e alla frequentazione non in gruppo della chiesa che rimane aperta. Mi chiedo: oggi i nostri sacerdoti, a porte chiuse, celebreranno ugualmente per il popolo loro affidato o guarderanno in tv la Messa in diretta dell’arcivescovo?

Non sarebbe stato più opportuno creare occasioni di preghiera per invocare l’aiuto di Dio in questo tempo di prova garantendo il minor rischio possibile di contagio, magari aumentando il numero di celebrazioni, chiedendo ai fedeli di distribuirsi per categorie, limitando la durata dell’omelia (che spesso fra l’altro è occasione per esprimere concetti poco cattolici), evitando il vacuo segno della pace e la piaga della lagnosa musica liturgica contemporanea e limitandosi a pochi canti asciutti e solenni, così da ridurre i tempi di contatto?

D’altronde, quando nei paesi di campagna si svolge ancora qualche rara processione sono lustri che non si sentono più risuonare le parole “A peste, fame et bello libera nos domine!“. Affidarci a Dio nella prova è diventato segno di superstizione. Temo si creda sempre meno che, se si chiede con fede, Dio ci ascolta volentieri.

Grazie per la sua costante battaglia per la Verità.

Con sincera stima

Nicola Ruo

Bologna

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Qui Milano

Caro Valli, nella mia veste di sostituto sacrestano volontario ho avuto il privilegio di vivere in diretta il momento in cui è arrivata nella mia parrocchia, a Milano, alle ore 16 di domenica scorsa, la disposizione diocesana della sospensione immediata delle Sante Messe causa coronavirus. Una disposizione che, le dirò, ha destato in me forti perplessità per la sua burocratica asetticità.

Ma ciò che più mi ha colpito è stato il malcelato stato d’animo liberatorio che si è immediatamente dipinto sul volto del parroco. Ha presente quando, ai nostri tempi, arrivava in classe la notizia “La maestra è ammalata: niente lezione”? Ecco, precisamente così.

Dopo di che dal parroco e dai suoi collaboratori non è arrivata alcuna idea o iniziativa per compensare in qualche modo la privazione della Messa e dell’Eucaristia.

Ieri sera mi sono ritrovato con alcuni amici fidati per discutere della situazione (il nostro gruppetto si chiama La fronda, acronimo di Fedeli che Rimangono Obbedienti Nella Dottrina Autentica) e dal passaparola viene fuori che qui nella diocesi ambrosiana si stanno costituendo alcune sacche di resistenza. In particolare, ho appreso che in una parrocchia non lontana dalla mia ogni sera viene celebrata la Santa Messa, ed è ammessa la partecipazione di chi si trova presente.

Questa sera quindi anch’io farò in modo di trovarmi, casualmente, nella parrocchia di cui sopra, all’ora convenuta.

Ho un dubbio: posso diffondere la notizia? A rischio che a un certo punto la Messa diventi così affollata da provocarne l’abolizione per ordine delle autorità? Stasera chiederò al celebrante. Vero, d’altra parte, che “Prima charitas incipit ab ego“.

Un caro saluto.

Livio Maccabeo

Milano

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Cari lettori di Duc in altum, ecco i miei ultimi libri:
Aldo Maria Valli, Le due Chiese. Il sinodo sull’Amazzonia e i cattolici in conflitto (Chorabooks, 2020) 
Aldo Maria Valli (a cura di), Non abbandonarci alla tentazione? Riflessioni sulla nuova traduzione del “Padre nostro”, con contributi di Nicola Bux, Silvio Brachetta, Giulio Meiattini, Alberto Strumia (Chorabooks, 2020)

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