L’insegnamento di quei sindaci in preghiera
Cari amici di Duc in altum, vi propongo qui il testo del mio intervento per la rubrica La trave e la pagliuzza di Radio Roma Libera.
A.M.V.
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Sono sempre più numerosi i sindaci che, in questi giorni drammatici segnati dal coronavirus, vanno a pregare davanti al patrono della propria città, e lo fanno indossando la fascia tricolore, quindi non come privati cittadini ma proprio come rappresentanti della comunità.
Si tratta di sindaci del Nord e del Sud, di città piccole e grandi.
Un filosofo della politica a questo punto potrebbe dedicarsi a dotti ragionamenti sui rapporti tra Chiesa e Stato e su religione e politica. Sono ragionamenti che qualcuno, in effetti, dovrà sviluppare, perché la vicenda del coronavirus ci sta dicendo qualcosa di importante anche su questo piano. Io però non sono un filosofo della politica e dunque mi astengo. Non posso non notare, tuttavia, che la testimonianza che arriva dai sindaci è forte, anzi addirittura dirompente rispetto a un certo comune sentire al quale eravamo abituati
Tutti questi sindaci stanno dando testimonianza di un fatto. Non è vero che l’ordine dell’agire politico e quello della fede religiosa debbano restare separati e svincolati l’uno dall’altro.
Oggi siamo portati a dare per scontato che il potere politico, nei confronti delle varie opzioni religiose (compreso l’ateismo) debba solo garantire la libertà di scelta restando indifferente rispetto ai contenuti. L’individuo è libero di scegliere e il potere politico deve solo fare da garante, così che ognuno possa scegliere. Il potere politico, si dice, non deve entrare nel piano soprannaturale, non deve porsi il problema della verità. Ma ecco che questi sindaci, recandosi a pregare con la fascia tricolore (e quindi andandoci, lo ripeto, in rappresentanza di tutta la comunità civile) entrano decisamente nel piano soprannaturale, ci dicono che la verità c’è e che non solo la possiamo riconoscere, ma fa parte di noi, è nostro patrimonio, sia come individui sia come comunità.
La testimonianza di questi sindaci è dirompente perché ci mostra che l’agire politico non deve necessariamente essere a-teo, nel senso letterale di senza Dio. Ci dice che l’a-teismo (sempre in senso letterale) non è, per l’agire politico, l’unica opzione possibile né, tanto meno, è il presupposto del rispetto della libertà.
Se quei sindaci avessero voluto comportarsi in base all’idea che la politica, rispetto alla religione, può solo fare da garante della libertà di scelta, si sarebbero astenuti dall’andare a pregare. Oppure sarebbero andati a pregare in ciascuno dei luoghi di culto in cui si riuniscono i membri di tutte le religioni presenti nel loro territorio. Invece no. Invece, in quanto cattolici, sono andati a pregare in una Chiesa cattolica, davanti al santo patrono. Non sono rimasti indifferenti rispetto ai contenuti di verità delle varie scelte religiose. È come se avessero detto: “Questa è per me, per noi, la vera fede. Questa è per me, per noi, la verità. Questa è per me, per noi, la vera Chiesa. E dunque veniamo proprio qui, e non andiamo in nessun altro posto, a pregare”.
Il gesto di questi sindaci è dunque altamente significativo perché, in netta controtendenza rispetto a idee che sembravano inattaccabili, ci dice che la ragione politica può e deve riconoscere la religione vera, e può e deve farvi ricorso.
È anche un importante, aperto riconoscimento del valore pubblico della religione: la fede religiosa non è un fatto solo individuale e privato, senza incidenza sociale.
Aggiungo solo una postilla. Anche fra i cattolici è ormai abituale sentir dire che la libertà di religione si fonda sulla dignità umana. Ma è una formulazione (come nota il professor Stefano Fontana nel suo bel libro Chiesa gnostica e secolarizzazione) imprecisa e insufficiente. La dignità umana non si fonda da sola, ma a sua volta ha un fondamento, che è il Dio dei cristiani. Dunque, non si può fondare e difendere la dignità della persona, e di conseguenza la libertà religiosa, senza il riconoscimento pubblico del Dio vero e della vera religione.
Aldo Maria Valli