La paura della morte e una Chiesa troppo silenziosa

È una riflessione sincera quella che monsignor Charles Pope, parroco di Holy Comforter-Saint Cyprian a Washington, ha condiviso di recente sul coronavirus e le paure che ha innescato. Una riflessione molto necessaria, che riporta al centro la questione della morte e chiede alla Chiesa di dare una vera testimonianza ispirata al Vangelo di Gesù, anziché lasciarsi condizionare dal pensiero dominante.

Monsignor Pope è stato malato dalla fine di dicembre ai primi di febbraio: polmonite, tosse, acuti dolori intercostali, tre costole rotte, pleurite con sanguinamento interno. Una situazione grave, dalla quale il sacerdote è uscito con una cura a base di immunosoppressori, quattro cicli di antibiotici, forti dosi di antistaminici e vari trattamenti respiratori. Per un mese intero, a causa della tosse e dei dolori, è stato costretto a dormire su una sedia e la malattia lo ha veramente spossato. Ora che è guarito, tiene a sottolineare che, essendo passato da una prova tanto dura, capisce benissimo le sofferenze di chi è rimasto contagiato dal coronavirus e, più in generale, le paure dell’intera società, alle prese con un nemico insidioso e sconosciuto. Tuttavia, sottolinea, non si può nascondere la preoccupazione anche per un blocco della vita sociale ed economica che rischia di avere conseguenze veramente pesantissime. “Io – dice monsignor Pope – non sono né un epidemiologo né un immunologo e accetto che sia necessario un certo grado di misure destinate a proteggere le persone vulnerabili e a ridurre al minimo la diffusione della malattia, ma attenzione: la cura non deve essere peggiore della malattia”. Va bene combattere il coronavirus, ma la battaglia non può avvenire al prezzo di portare intere famiglie al disastro per la mancanza di lavoro e di risorse.

Molti sostengono che chi si fa interprete di questa preoccupazione dimostra egoismo, perché non avrebbe a cuore la sorte dei malati e di chi potrebbe ammalarsi, ma “questa è, ovviamente, un’accusa ingiusta”. In realtà quello che occorre è un equilibrio tra le misure sanitarie per il contenimento del virus e la salvaguardia di tutto ciò che contribuisce alla vita delle persone e delle comunità.

“Vivere implica prosperare, interagire con gli altri, arricchimento culturale. La vita implica la dignità del lavoro, il contributo delle nostre fatiche e la condivisione dei loro frutti. Per un cattolico, vivere significa la Santa Messa, ricevere i sacramenti e radunarsi per l’adorazione comunitaria. Chiedo a coloro che sostengono la continuazione dell’attuale chiusura di rispettare, piuttosto che demonizzare, quelli di noi che pensano che ci sia un forte sbilanciamento verso la sicurezza e che altri beni essenziali siano trascurati”.

“A mio avviso – prosegue monsignor Pope – come individui e come paese, per essere più disposti a una progressiva riapertura dell’economia e della cultura abbiamo bisogno di due cose. In primo luogo, dobbiamo affrontare le nostre paure e accettare che la malattia, la sofferenza e la morte fanno parte della vita in questo mondo che chiamiamo Paradiso perduto. La vita è piena di innumerevoli rischi; dobbiamo essere sobri e prudenti, ma allo stesso tempo coraggiosi. Essere consapevoli dei rischi e cercare di minimizzarli è saggio, ma evitare tutti i rischi non è né possibile né salutare”. È altamente improbabile che il rischio di contrarre il coronavirus venga portato a zero. Ma a un certo punto dovremo tornare alle nostre vite. Il dibattito riguarda la determinazione del momento giusto e la quantità accettabile di rischio, dato il costo economico e sociale determinato dal continuare a rimanere bloccati.

“Anche se dovessimo trovare un trattamento o una cura per il Covid-19 domani, attorno a noi ci sono innumerevoli altri virus, batteri, allergeni e tossine. Dio ci ha dotato di sistemi immunitari che fanno un lavoro quasi miracoloso per mantenerci in salute di fronte a un assalto quotidiano. Per i credenti, confidare nella cura di Dio e in ciò che ha fornito per mantenerci in salute gioca un ruolo importante nel superare la nostra paura. La vita ha molti rischi, ma le nostre vite rimangono nelle mani di Dio e noi tutti siamo affidati alle sue cure”.

Tutto ciò non significa abbandonare incautamente le misure attualmente in atto per ridurre la diffusione del virus, ma è un richiamo: ricordiamoci che vivere comporta molti rischi; accettarli è parte della nostra esperienza in questo mondo.

In secondo luogo, argomenta monsignor Pope, “dobbiamo accettare la dura verità che le persone muoiono”.  “Come sacerdote e credente sono allarmato per quanto poco, come Chiesa, abbiamo avuto da dire sulla morte. La morte è una realtà, ma non è qualcosa che dovremmo temere eccessivamente. Cristo ha vinto la morte e per tutti i fedeli l’ha resa una porta in vista della gloria del Cielo”.

San Paolo scrisse ai Tessalonicesi: “Non vogliamo poi lasciarvi nell’ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così, anche quelli che sono morti Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui” (1 Tessalonicesi 4: 13-14).

La morte è stata sconfitta. “Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, la tua puntura? Il pungiglione della morte è il peccato e il potere del peccato è la legge. Ma grazie a Dio, che ci dà la vittoria attraverso il nostro Signore Gesù Cristo! Pertanto, miei amati fratelli, siate fermi e immobili (1 Corinzi 15: 55-58)”.

Tutti noi, continua monsignor Pope, abbiamo una naturale paura della morte, specialmente in riferimento al processo che ci porta alla morte, “ma come cristiani ci viene insegnato a confrontarci e vincere la nostra paura”. E questa forza ci è stata donata da Cristo: “Poiché dunque i figli hanno in comune sangue e carne, egli pure vi ha similmente partecipato, per distruggere, con la sua morte, colui che aveva il potere sulla morte, cioè il diavolo, e liberare tutti quelli che dal timore della morte erano tenuti schiavi per tutta la loro vita (Ebrei 2: 14-15)”.

Dobbiamo prestare attenzione a queste parole delle Scritture. La testimonianza alla quale noi, seguaci di Gesù, siamo chiamati non è che dobbiamo temere la morte sopra ogni cosa, ma che la morte è stata sconfitta per sempre e la morte non è la fine, ma è una nascita a nuova vita. “Per il cristiano fedele, il giorno della morte è il giorno più grande della vita”.

Soffrire per la morte di ogni essere umano è giusto, ma nella situazione attuale “sta accadendo qualcosa di molto più che un lutto: ciò a cui siamo di fronte oggi è una paura della morte così grande che di fronte a essa quasi tutto il resto deve essere sacrificato”.

È comprensibile che in un mondo secolarizzato la sofferenza e la morte abbiano perso il loro significato, ma un atteggiamento di paura non è accettabile per un cristiano. “Gesù ci ha insegnato che la croce è albero di vita e che la sofferenza produce gloria. Ci ha insegnato che per trovare veramente la nostra vita dobbiamo perderla in questo mondo”.

“In quanto voce di Cristo in questo mondo, siamo stati troppo silenziosi su queste verità. Dovremmo richiamare le persone a una posizione più coraggiosa”.

Ciò non significa assumere rischi inutili. Non si sta sostenendo che sia necessario annullare tutte le misure di sicurezza. Sto solo dicendo, spiega monsignor Pope, che “la paura di fronte a questo virus non ha precedenti nella mia vita: non ho mai visto nulla di simile, e la sua dimensione mondiale mi dice che è di origine demoniaca. Quindi la Chiesa deve parlare più vigorosamente per esorcizzare i demoni della paura. E invece siamo rimasti stranamente silenziosi”.

La nostra rinuncia all’annuncio della parola del Vangelo deriva probabilmente dal desiderio di non apparire “insensibili”. Infatti, se parlassimo contro la paura paralizzante, o dicessimo apertamente che non tutte le limitazioni sono necessariamente buone, potremmo essere accusati di non preoccuparci delle persone che muoiono. Così, abbiamo permesso al mondo di zittirci, ma è venuto il tempo di parlare. “Se un certo grado di paura e ansia è comprensibile, la paura paralizzante è distruttiva oltre che sconveniente”.

Quelle di monsignor Pope sono valutazioni importanti e necessarie. Gli uomini di Chiesa in queste settimane di pandemia troppo spesso, piegandosi al pensiero mainstream, si sono limitati a predicare prudenza e sono rimasti silenziosi circa il significato della morte e la nostra fede in Gesù Cristo, colui che ha sconfitto la morte.

A.M.V.

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Fonte: ncregister.com

 

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