“Fratelli tutti”, al servizio dei Padroni del caos

Nel rileggere a cinquantacinque anni di distanza il Concilio Vaticano II e, non da ultimo, gli accadimenti del post-concilio come quelli presenti, in una trascendente visione di fede cattolica non può che risuonare l’affermazione del salmo 86: “Si dirà di Sion: l’uno e l’altro in essa sono nati e lui, l’Altissimo, la mantiene salda”.

Nel breve componimento davidico, di soli sette versetti, ricorre ben tre volte il verbo ebraico jullad al tempo perfetto, che andrebbe più correttamente tradotto come “in essa sono stati partoriti”.

Il salmo richiama espressamente la Roccia di Sion, יְרוּשָׁלַיִם, Gerusalemme, “fondata dallo stesso Altissimo”. E, così, i Padri della Chiesa e tutta la tradizione liturgica hanno sempre interconnesso il significato dell’essere partorito, vale a dire l’essere figlio, e quello dell’essere fondata, cioè d’essere madre.

In tal senso si esprimeva sant’Agostino d’Ippona: “Cristo si è fatto uomo in lei; mentre egli stesso l’ha fondata; non come uomo ma come Altissimo. Ha, insomma, fondato la città nella quale doveva nascere, così come ha creato la madre dalla quale doveva nascere. Che significa tutto questo, fratelli miei? Quali promesse, quante speranze abbiamo! Ecco, l’Altissimo, che ha fondato la città, dice per noi a tale città: Madre! E si è fatto uomo in lei, ed egli stesso, l’Altissimo, l’ha fondata” (Enarratio in Psalmos 86, VII, 35).

Una retorica ideologico-giornalistica ha, al contrario, spesso parlato di una “Chiesa del Concilio”, Vaticano II ovviamente, in aperta contrapposizione a un’altra Chiesa, quella pre-conciliare; e ai nostri giorni anche certi dotti prelati e i loro accoliti vagheggiano di una “Chiesa di Francesco”, quella di Bergoglio – ça va sans dire – contrapposta a quella di tutti gli altri pontefici precedenti.

Si tratta di una gretta visione immanentista che nulla ha a che vedere con il Vaticano II stesso, ma che è all’origine della devastazione dell’identità stessa della Chiesa cattolica, sia nel post-concilio sia – e ancor più! – ai nostri giorni.

“Qui è l’origine di buona parte degli equivoci o dei veri e propri errori che insidiano sia la teologia sia l’opinione comune cattolica”, scriveva Joseph Ratzinger e osservava: “Molti non credono più che si tratti di una realtà voluta dal Signore stesso. Anche presso alcuni teologi, la Chiesa appare come una costruzione umana, uno strumento creato da noi e che quindi noi stessi possiamo riorganizzare liberamente a seconda delle esigenze del momento” (Rapporto sulla fede, 1985, p. 24).

Il Vaticano II, tuttavia, era ricorso proprio a quell’analogia ontologica e sapienziale del salmo 86 in un suo cruciale passaggio per definire la duplice natura, divina e umana, della Chiesa: “Per una analogia che non è senza valore, quindi, è paragonata al mistero del Verbo incarnato. Infatti, come la natura assunta serve al Verbo divino da vivo organo di salvezza, a lui indissolubilmente unito, così in modo non dissimile l’organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del corpo. Questa è l’unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica” (Lumen gentium, 8).

Il Vaticano II ricorre poi a un’altra analogia ontologica per tracciare il rapporto fra il Regno di Dio e la Chiesa. Così come il Signore Gesù, con la sua predicazione e le sue opere ha segnato l’avvento del regno di Dio da secoli promesso nella Scrittura, allo stesso modo la Chiesa riceve la missione di annunziare e instaurare in tutte le genti il regno di Cristo e di Dio, e di questo regno costituisce in terra il germe e l’inizio” (Lumen gentium, 5).

Di più, sottolinea il Vaticano II: “La Chiesa, ossia il regno di Cristo già presente in mistero, per la potenza di Dio, cresce visibilmente nel mondo” (Lumen gentium, 3).

Cristo e Chiesa, Figlio “partorito” e Madre “fondata”, così come Chiesa e Regno di Cristo, per analogia ontologica: “L’uno e l’altro in essa sono stati partoriti e lui, l’Altissimo, la mantiene salda”.

Senza questa visione ontologico-trascendente, come osservava ancora Ratzinger, “La stessa cristologia perde il suo riferimento con il Divino: a una struttura puramente umana finisce col corrispondere un progetto umano. Il Vangelo diventa il progetto-Gesù, il progetto liberazione-sociale, o altri progetti solo storici, immanenti, che possono sembrare anche religiosi in apparenza, ma sono ateistici nella sostanza” (Ibidem, p. 24).

E, significativamente, avvertiva: “Bisogna ricreare un clima autenticamente cattolico, ritrovare il senso della Chiesa come Chiesa del Signore, come spazio della reale presenza di Dio nel mondo. Quel mistero di cui parla il Vaticano II quando scrive quelle parole terribilmente impegnative e che pure corrispondono a tutta la tradizione cattolica: La Chiesa, cioè il regno di Cristo già presente in mistero” (Ibidem, p. 25).

Lo stesso Paolo VI, a neppure tre anni dalla conclusione dell’assise conciliare, dovette prendere atto del tradimento della visione trascendentale che Lumen gentium aveva voluto riaffermare. A conclusione dell’Anno della fede, nel suo celebre Credo del popolo di Dio, il pontefice lombardo fu costretto a solennemente ribadire: “Noi crediamo nella Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, edificata da Gesù Cristo sopra questa pietra, che è Pietro. Essa è il Corpo mistico di Cristo, insieme società visibile, costituita di organi gerarchici, e comunità spirituale; essa è la Chiesa terrestre, Popolo di Dio pellegrinante quaggiù, e la Chiesa ricolma dei beni celesti; essa è il germe e la primizia del Regno di Dio, per mezzo del quale continuano, nella trama della storia umana, l’opera e i dolori della Redenzione, e che aspira al suo compimento perfetto al di là del tempo, nella gloria” (Credo del popolo di Dio. Solenne professione di fede, 30 giugno 1968).

La crisi post-conciliare e quella ancor più drammatica dell’attuale pontificato, che trasuda di aperta apostasia, ha proprio in questo snodo cruciale la sua causa prima: l’aver scisso l’inscindibile binomio Cristo e Chiesa cattolica, Chiesa cattolica e Regno di Cristo.

Alla Chiesa di Cristo si contrappone un’altra chiesa o apertamente un andare oltre la Chiesa che, in tutta evidenza, è andare oltre Cristo stesso e, dunque, oltre la Verità.

Nell’immanentismo sconcertante, che sostanzialmente informa l’attuale pontificato e deforma – Dio non voglia, irreparabilmente – l’essenza ontologica stessa della Chiesa cattolica, l’attuale pontefice vagheggia “di riassumere la dottrina sull’amore fraterno, nella sua dimensione universale, sulla sua apertura a tutti”, così da dare “un umile apporto alla riflessione affinché, di fronte a diversi modi attuali di eliminare o ignorare gli altri, siamo in grado di reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole” (Fratelli tutti, 6).

Si tratta di un “sogno” immanentista che smentisce apertamente e si dissocia da quanto i padri conciliari intendevano nel ribadire l’ontologia stessa e, conseguentemente, la missione della Chiesa cattolica: “Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura, illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa” (Lumen gentium, 1).

L’ultima enciclica, che riassume e segna la fine di questo pontificato, più che dal Vaticano II e ancor prima dalla proclamazione di Cristo quale “Lumen gentium”, è ispirata dal Rapporto del Gruppo di alto Livello del 2005, istituto dall’allora segretario generale dell’Onu Kofi Annanl e che ha dato vita all’ennesima struttura onusiana, la Unaoc  (United Nations’ Alliance of Civilizations), l’Alleanza delle civiltà voluta dalle Nazioni Unite.

Basta scorrere velocemente i documenti prodotti dall’Unaoc in questi ultimi quindici anni per riscontrare, in anticipo, l’intero percorso ideologico dell’attuale pontificato, le sue scelte e la sua narrativa, che pienamente emerge nell’ultimo documento papale.

“Io sono la vite, voi i tralci”. Così il Divino Maestro ammoniva gli apostoli. “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Giovanni 15, 5).

Così è stato nella Storia. Così è ancor più tragicamente nella cronaca attuale.

Acutamente osservava, in tempi non sospetti, il filosofo veneziano Andrea Emo: “La Chiesa è stata per molti secoli la protagonista della storia, poi ha assunto la parte non meno gloriosa di antagonista della storia; oggi è soltanto la cortigiana della storia”.

Lo possiamo dire anche dell’attuale pontificato, che appare al servizio dei Padroni del caos.

Gian Pietro Caliari

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