Meditazione / Carlo Maria Viganò: “Gli apostoli e i martiri di ieri rivivono negli apostoli e nei martiri di oggi”
Passio Ecclesiae. Meditazione in Passione et Morte Domini
di Carlo Maria Viganò, Arcivescovo
Questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre.
Lc 22, 53
I testi della liturgia del Triduo Sacro ci colpiscono, come un colpo di frusta, per la cruda brutalità dei tormenti ai quali il Salvatore è stato sottoposto per volontà del Sinedrio, su ordine del Procuratore romano. La massa, istigata dai sommi sacerdoti, invoca il sangue innocente del Figlio di Dio su di sé e sui propri figli, rinnegando nell’arco di pochi giorni il trionfo tributatogli con l’ingresso in Gerusalemme. Le acclamazioni e gli hosanna si volgono in crucifige e i rami di palme diventano fruste e bastoni. Come possono deludere, le folle: capace di tributare onori con la stessa convinzione con cui poco dopo decreta la condanna a morte.
Chi sono i protagonisti e i responsabili di questa condanna? Giuda, Apostolo tra i Dodici, ladro e traditore, che per trenta denari consegna il Maestro all’autorità ecclesiastica per farlo arrestare. Il Sinedrio, ossia l’autorità religiosa dell’Antica Legge, ancora in vigore al momento della Passione. I falsi testimoni, pagati o in cerca di notorietà, che accusano Nostro Signore contraddicendosi l’un l’altro. Il popolo, o meglio la massa pronta alle manifestazioni di piazza che si lascia guidare da pochi, abili manipolatori. Il Procuratore Ponzio Pilato, rappresentante dell’Imperatore in Palestina, che emette una sentenza ingiusta, ma con l’autorità ufficiale. E tutta quella congerie di subalterni senza nome che infierisce con inaudita crudeltà su un innocente, per il solo fatto che così ci si aspetta da loro: guardie del Tempio, soldati del Sinedrio, militari romani, gentaglia violenta.
Nostro Signore è condannato a morte nonostante sia stata riconosciuta la sua innocenza dal Magistrato legittimo: Accipite eum vos et crucifigite; ego enim non invenio in eo causam. Pilato non vuole inimicarsi i sommi sacerdoti, né avere contro la folla che essi possono manovrare facendo leva sull’odio nei confronti dei Romani, che occupano militarmente la Palestina. Egli sa quale sia il disprezzo che nutrono verso di lui i leviti e gli anziani del popolo, considerandolo un pagano dal quale tenersi lontani, al punto da non volersi contaminare entrando nel Pretorio: rimangono fuori, a controllare che il potere temporale che li opprime si renda loro complice nel condannare per blasfemia, ossia per un crimine di natura religiosa, il loro Messia. Anzi: per mandare a morte, senza condanna, un innocente. Innocens ego sum a sanguine justi hujus, dice Pilato. Così l’autorità civile, per pavidità dinanzi all’arroganza e al ricatto di una sommossa, rinuncia ad esercitare la giustizia; così l’autorità spirituale, per non perdere il potere che aveva monopolizzato, nasconde le profezie, si ostina a non riconoscere il Messia promesso nonostante le continue conferme della Sua divinità, e congiura per uccidere Gesù Cristo perché, dicendo il vero, Egli si è proclamato Dio. I principi dei sacerdoti minacciano Pilato: Si hunc dimittis, non es amicus Cæsaris, e giungono a sottomettersi al potere imperiale pur di mandare a morte il loro Re: Non habemus regem, nisi Cæsarem. Ma non era Erode, il re di Giudea?
Fin sulla Croce – dove il Signore intona l’antifona del proprio Sacrificio con le parole del Salmista: Deus meus, Deus meus: ut quid me dereliquisti? – chi sapeva a memoria le Sacre Scritture finge di non riconoscere in quel grido solenne l’ultimo monito alla Sinagoga, presago dell’abolizione del sacerdozio levitico e della imminente distruzione del tempio, quarant’anni dopo, per mano di Tito. Nel Salmo 21 Davide preannuncia quello che gli Ebrei avevano sotto gli occhi e che non erano più capaci di comprendere a causa del loro accecamento, e quel monito lo sentiamo oggi ripetere negli Improperi della liturgia di Parasceve, increduli dell’infedeltà del popolo eletto e straziati dal ripetersi, non meno straziante, dell’infedeltà del nuovo Israele, dei suoi pontefici, dei suoi ministri.
Non vi è una sola parola, nella liturgia del Triduo pasquale, che non suoni come un’accusa addolorata e sofferente; l’accusa del Signore che vede compiersi nel tradimento di Giuda e del suo popolo l’atto con il quale il potere religioso e quello civile si alleano contro il Signore e il Suo Cristo: Astiterunt reges terrae, et principes convenerunt in unum, adversus Dominum, et adversus Christum ejus.
Dice Nostro Signore: Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. Con questo monito il Salvatore ci ricorda che la Sua santissima Passione deve compiersi anche nel Corpo Mistico – Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi – sia nei singoli nel corso dei secoli, sia nella Chiesa come istituzione alla fine dei tempi. Ed è significativa la corrispondenza tra la Passione di Cristo e la passione della Chiesa.
Questa corrispondenza mi pare sia ancor più evidente in quest’ora di tenebre, in cui il potere del nuovo Sinedrio infedele e corrotto è alleato con il potere temporale nel perseguitare Nostro Signore e quanti Gli sono fedeli. Anche oggi i principi dei sacerdoti, assetati di potere e smaniosi di compiacere l’impero che li tiene soggiogati, ricorrono a Pilato per far condannare i Cattolici, accusandoli di blasfemia per non voler accettare il tradimento dei loro capi. Gli Apostoli e i Martiri di ieri rivivono negli apostoli e nei martiri di oggi, ai quali per ora è negato il privilegio del martirio cruento, ma non la persecuzione, l’ostracismo, la derisione. Ritroviamo Giuda, che vende al Sinedrio i buoni pastori; ritroviamo i falsi testimoni, i manigoldi, i sobillatori della massa, le guardie del tempio e i soldati del Pretorio; ritroviamo Caifa che si straccia le vesti, Pietro che rinnega il Signore e gli Apostoli che fuggono e si nascondono; ritroviamo chi incorona di spine la Chiesa, chi la prende a sberle e la sbeffeggia, chi la flagella e la espone al ludibrio; chi le getta addosso la croce degli scandali dei suoi ministri, i peccati dei suoi fedeli; anche oggi c’è chi intinge la spugna nell’aceto e chi trapassa il costato della Chiesa con una lancia; anche oggi vi è una veste inconsutile e chi se la gioca a sorte. Ma come ieri, anche oggi la Madre della Chiesa ed un Apostolo rimarranno ai piedi della croce, testimoni della passio Ecclesiæ come un tempo furono testimoni della passio Christi.
Ognuno di noi, in queste ore di silenzio e di raccoglimento, esamini se stesso. Chiediamoci se vogliamo essere, nell’azione liturgica degli ultimi tempi, tra quanti anche solo per conformismo hanno guardato altrove, hanno scosso il capo, hanno sputato sul Signore al Suo passaggio verso il Calvario. Chiediamoci se in questa sacra rappresentazione avremo il coraggio di asciugare il Volto insanguinato di Cristo nell’immagine devastata della Chiesa, se sapremo come il Cireneo aiutare la Chiesa a portare la sua croce, se come Giuseppe d’Arimatea le offriremo un luogo degno in cui deporla finché non sia risorta. Chiediamoci quante volte abbiamo schiaffeggiato Cristo, prendendo le parti del Sinedrio e dei sommi sacerdoti, quante volte abbiamo anteposto i rispetti umani alla nostra Fede, quante volte abbiamo accettato trenta denari per tradire e consegnare il Salvatore, nei Suoi buoni ministri, ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo.
Quando la Chiesa griderà il suo Consummatum est sotto un cielo nero, mentre la terra tremerà e il velo del tempio di strapperà dall’alto al basso, quello che manca ai patimenti di Cristo (Col 1, 24) sarà compiuto nel Corpo Mistico. Aspetteremo la deposizione dalla croce, la composizione nel sepolcro, il silenzio assorto e muto della natura, la discesa agl’Inferi. Ci saranno anche in questo caso le guardie del tempio a vigilare che il pusillus grex non risorga, e vi sarà chi dirà che sono venuti i suoi seguaci a trafugarlo.
Verrà anche per la Santa Chiesa il Sabato Santo; verrà l’Exultet e verrà l’Alleluja, dopo il dolore, la morte e il buio della tomba. Scimus Christum surrexisse a mortuis vere: sappiamo che risorgerà con Lui anche il Suo Corpo Mistico, proprio quando i suoi ministri penseranno che sia tutto perduto. E riconosceranno la Chiesa, come hanno riconosciuto Nostro Signore, in fractione panis.
Questo il mio augurio, dal più profondo del cuore, per questa Santa Pasqua e per i tempi che ci attendono.
+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo
2 aprile 2021
Feria VI in Parasceve