Un piano universale di sovversione / 1. Proiezioni allarmistiche e inefficacia dei lockdown

Cari amici di Duc in altum, l’Istituto Plinio Corrêa de Oliveira ha pubblicato uno studio controcorrente sulle misure che sono state applicate per fronteggiare la pandemia da Covid-19. Lo studio, ricco di fonti verificabili, sfata numerosi dogmi della visione fondata sul terrore. Si tratta di un testo esaustivo ma, a causa della sua dimensione, non lo posso pubblicare integralmente sul blog. Ho deciso dunque di dividerlo in puntate. Fornirò l’apparato delle note in occasione dell’ultima puntata. Buona lettura! 

di José Antonio Ureta e Frederico Abranches Viotti

Istituto Plinio Corrêa de Oliveira

L’Istituto Plinio Corrêa de Oliveira (Ipco) ha pubblicato, il 26 aprile 2020, il suo manifesto-denuncia intitolato Approfittando del panico della popolazione e del sostegno spirituale del Vaticano. La maggiore operazione di ingegneria sociale e di trasbordo ideologico della Storia.

Il documento accusa i governi di precipitazione nell’aver adottato drastiche misure di confinamento sulla base di stime esagerate della letalità del coronavirus cinese e di modelli matematici irrealistici, con gli enormi costi sociali ed economici derivati.

Per l’Ipco, sarebbero quattro i beneficiari della crisi generale generata dai confinamenti: il regime comunista cinese, il movimento ecologico radicale, l’estrema sinistra e i promotori di un governo mondiale.

A un anno dalla pubblicazione della denuncia, ci è sembrato opportuno tentare di fare un bilancio e un aggiornamento di questo piano universale di sovversione totalitario-ecologica e di scristianizzazione dell’Occidente, che ha assunto proporzioni mai viste nella Storia.

Sulla base di un’epidemia virale reale che purtroppo ha falciato molte vite, è stato presentato come inevitabile un grande cambiamento in tutti gli aspetti dell’esistenza umana. I fatti accaduti nell’ultimo anno non solo hanno confermato quel che è stato detto in quell’occasione, ma hanno reso ancor più evidente la sproporzione tra la risposta all’epidemia e il carattere pernicioso della cosiddetta “nuova normalità” che da quella deriva.

  1. L’esagerazione del tasso di mortalità e dei rischi incorsi dalla maggioranza della popolazione

A marzo 2020 il tasso di mortalità da Covid-19 era stato stimato dall’Organizzazione mondiale della sanità al 3,4% [1] e dall’Imperial College di Londra allo 0,9% [2], il che avrebbe significato un numero di vittime comparabile o addirittura superiore a quello della tragica “influenza spagnola” del 1918 [3]. L’Ipco, al contrario, credeva che questo tasso sarebbe stato vicino a quello fornito dall’Istituto di virologia dell’Università di Bonn, in una ricerca realizzata nel primo cluster tedesco, la cittadina di Gangelt, ovvero un tasso dello 0,37%.

Gli studi più completi realizzati fino a oggi sul tasso di mortalità per infezione a livello mondiale sono quelli dell’equipe del professor John P. A. Ioannidis, dell’Università di Stanford, in California. Il primo di questi, pubblicato il 14 ottobre 2020 nel Bollettino dell’Organizzazione mondiale della sanità [4], dopo aver uniformato 61 studi fatti in 51 località del mondo, concludeva che la letalità mediana del Covid 19 era dello 0,27%.

In uno studio di gennaio di quest’anno, pubblicato dall’European Journal of Clinical Investigation, il professor Ioannidis ha abbassato questo tasso, sostenendo che “le evidenze disponibili suggeriscono una Ifr [tasso di letalità da infezione] globale media di ~0,15%” [5]. Ciò non impedisce che si abbiano differenze sostanziali in detto tasso nei vari continenti, paesi e località, dovuto a variabili come l’età media e la densità di popolazione, o il suo grado di immunità previa per una esposizione anteriore a un virus simile [6].

Il secondo errore di valutazione dell’Oms e delle autorità sanitarie di diversi paesi è stato l’aver considerato che l’insieme della popolazione avrebbe corso gravi rischi se avesse contratto il virus cinese. In realtà, secondo quanto afferma il professor Jay Battacharya, dell’Università di Stanford, “è mille volte maggiore la differenza del tasso di mortalità in persone più anziane, di oltre settant’ anni, e il tasso di mortalità dei bambini”, e venti volte maggiore rispetto alla popolazione in generale: “Quattro su cento tra chi ha più di settant’anni, contro i due su mille nella popolazione in generale” [7].

Se anche il tasso di letalità di nuove varianti del virus aumentasse, ciò non smentirà la valutazione che le azioni delle riferite autorità sanitarie sono state globalmente pregiudizievoli alla salute pubblica, alle libertà costituzionali e all’economia mondiale, come si vedrà più avanti.

  1. L’inefficacia dei lockdowns per contenere la diffusione del virus cinese

L’analisi dell’Ipco considerava irragionevole confinare tutti, perché ciò paralizzava la vita del paese, sottolineando che c’erano specialisti che suggerivano, al contrario, un isolamento temporaneo solo di quelli già contagiati dal virus, così come misure efficaci di protezione della popolazione a rischio (gli anziani, gli obesi e i portatori di alcune malattie). Era il cosiddetto “isolamento verticale”, in contrapposizione all’”isolamento orizzontale” (lockdown).

Quest’approccio è stato approvato cinque mesi dopo dalla Dichiarazione di Great Barrington, redatta dagli accademici Sunetra Gupta (Oxford), il già citato Jay Bhattacharya (Stanford) e Martin Kulldorff (Harvard), e che poi è stata firmata da 13.985 scienziati dell’area di Medicina e Salute pubblica, e da 42.519 medici e ausiliari di medicina.

Tale Dichiarazione denuncia che “le attuali politiche di confinamento stanno producendo effetti devastanti sulla salute pubblica nel breve e lungo periodo […] portando a un maggior eccesso di mortalità nei prossimi anni, facendone portare il peso alla classe lavoratrice e ai membri più giovani della società”. Prosegue affermando che “nella misura in cui l’immunità si sviluppa nella popolazione, il rischio di infezione per tutti – inclusi i vulnerabili – diminuisce. […] L’approccio più compassionevole che bilancia rischi e benefici di raggiungere l’immunità di gregge è permettere che quanti sono a rischio minimo di morte vivano normalmente la loro vita al fine di formare l’immunità al virus attraverso l’infezione naturale, e al contempo proteggendo meglio quelli con maggiori rischi. La chiamiamo protezione focalizzata”.

La Dichiarazione promuove inoltre le seguenti misure di buon senso: “Le scuole e le università devono restare aperte all’insegnamento presenziale. Le attività extracurricolari, come lo sport, devono essere riprese. I giovani adulti a basso rischio devono lavorare normalmente, e non da casa. Ristoranti e altre imprese devono restare aperti. Le arti, la musica, lo sport e altre attività culturali devono essere riprese. Le persone che corrono maggiori pericoli possono partecipare qualora lo desiderino, mente la società nel suo complesso gode della protezione conferita ai vulnerabili da quanti hanno accumulato immunità di gregge” [8].

L’inefficacia dei confinamenti universali al fine di contenere la propagazione del coronavirus è risultata evidente negli Stati Uniti, dove gli Stati che hanno applicato norme più strette nell’ultimo inverno hanno in media tassi di mortalità leggermente superiori a quelli degli stati simili che hanno imposto restrizioni leggere ai loro abitanti, come si può verificare nel grafico sotto, dove questi ultimi sono segnalati in rosso:

Altro esempio eloquente sono i quartieri della città di New York, dove si concentrano i seguaci del ramo chassidico dell’Ebraismo [9], i quali non hanno rispettato le regole imposte dal sindaco, mantenendo le scuole aperte e partecipando a incontri affollati in occasione del funerale di un importante rabbino e del matrimonio del figlio di un altro, il che ha portato il  New York Times a denunciare a tutta pagina: Peste in scala biblica: famiglie chassidiche duramente colpite dal virus nell’area di New York [10].

In realtà, mentre il complesso della città fino a oggi ha avuto un tasso di 382 morti ogni centomila abitanti[11], i quartieri chassidici – che non sono ricchi e con alta densità media per famiglia in quanto hanno molti figli – hanno avuto un’incidenza di letalità minore per centomila abitanti: East Williamsburg, 287; Borough Park, 275 e Williamsburg, 185 [12].

In uno studio pubblicato recentemente dall’European Journal of Clinical Investigation, i citati scienziati Ioannidis e Bhattacharya, insieme ai professori Oh e Bendavid, dell’Università di Stanford, hanno concluso quanto segue: “Non c’è evidenza che gli interventi non farmaceutici più restrittivi (lockdowns) abbiano contribuito sostanzialmente a piegare la curva di nuovi casi in Inghilterra, Francia, Germania, Iran, Italia, Olanda, Spagna o negli Stati Uniti all’inizio del 2020. […] I dati non possono escludere totalmente la possibilità di qualche beneficio. Tuttavia, anche se esistono, tali benefici possono non controbilanciare gli innumerevoli danni di queste misure aggressive” [13].

Come ha recentemente ripetuto in un’intervista il professor Bhattacharya, “per la maggioranza della popolazione più giovane, i danni collaterali dei blocchi rappresentano un rischio maggiore dell’infezione da Covid; isolando inefficacemente tutti per proteggere gli anziani ed evitando strategie di protezione mirata, finiamo per esporre gli anziani al virus e pregiudicando i giovani” [14].

Secondo la dottoressa Elke van Hoof, docente di Psicologia della salute presso la Libera Università di Bruxelles, il confinamento imposto come risposta al Covid è “il maggior esperimento psicologico della Storia”, poiché “un terzo del mondo viene confinato” e “non sappiamo come reagiranno le persone”, “non abbiamo un modello, non sappiamo cosa accadrà” [15].

1.Continua

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