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“”Preparavano il conclave” accusa il papa. Da che pulpito! E poi l’uso di quella parola: desolazione

di Giovanni Butta

Caro Valli,

l’ultima uscita di papa Francesco in dialogo coi gesuiti slovacchi ha fatto molto rumore per le parole con cui egli rivelerebbe una sorta di congiura da parte di “prelati” intenti a progettare la sua successione.

Ora, a parte l’immagine un po’ romantica che ne è venuta fuori sui media, di cospiratori riuniti in un sottoscala a lume di candela, le voci abbassate, a decidere se sia meglio il coltello o la bomba per eliminare il papa, stupisce il tono indignato (“Preparavano il conclave!”) da parte di chi ha visto il proprio, di conclave, lungamente coltivato durante tutto il pontificato precedente. Rivela il cardinale Silvestrini, che di quella “preparazione” fu il regista, nel libro-intervista (da “anonimo”) Orgoglio e pregiudizio in Vaticano (2007, ed.it.2009) che gli incontri per promuovere la candidatura del cardinale Bergoglio a futuro papa iniziarono il giorno stesso della elezione di Benedetto XVI, il 19 aprile 2005, nella convinzione che il suo pontificato sarebbe presto, in un modo o nell’altro, arrivato a conclusione. Che altri possano fare adesso la medesima cosa tutto dovrebbe fare tranne che stupirlo e renderlo furioso.

Lo sfogo di Bergoglio si inserisce comunque in una narrazione da lui stesso costantemente sostenuta, con interviste e interventi di ogni genere, fin dai primi giorni di pontificato: un pontefice aperto, moderno e liberale venuto a sollevare il popolo di Dio dall’oppressione di una casta clericale corrotta e malvagia. Costoro, per ragioni di potere, soffocano la gente con norme e regole di loro stessa invenzione. Ecco, quindi, la necessità di un Libertador a restituire dignità e gioia di vivere al popolo sfruttato.

Francesco colloca tra queste norme di clericale invenzione anche i Dieci Comandamenti e tutta la Morale cattolica.

È curioso, inoltre, che lamenti che si parli male di lui proprio chi dall’alto del suo seggio ha potuto impunemente e pubblicamente ridicolizzare, denigrare e calunniare, spesso gratuitamente, interi settori della Chiesa, senza mai lasciare alcuna possibilità di replica agli interessati. Che si trovi adesso chi “parla male” di lui è perfino scontato, visto che ognuno raccoglie ciò che ha seminato, anche se costui è il papa.

Il colloquio coi gesuiti slovacchi rivela però alcuni motivi di interesse, a mio parere rimasti in secondo piano nel can can sui complotti prelatizi.

A un certo punto del dialogo compare come una sorta di ammissione, nelle parole di Francesco, riguardo al sinodo 2014-15, quello con cui si intendeva “riproporre alla gente di oggi la bellezza del matrimonio e della famiglia”. “Penso al lavoro che è stato fatto – dice Francesco – al sinodo sulla famiglia per far capire che le coppie in seconda unione non sono già condannate all’inferno(…)”. Ricordo che all’epoca i maliziosi sospettarono che proprio quella fosse la vera intenzione riguardo la augusta assise: poter dare legittimità ecclesiale a quelle che Bergoglio definisce “seconde unioni”. I malpensanti osarono allora insinuare che i sinodi in epoca bergogliana hanno sempre uno scopo effettivo, camuffato dietro la titolazione ufficiale. Adesso il papa sembra in qualche modo alimentare questi sospetti: “il lavoro che è stato fatto”, “per far capire”… Non è comunque un mistero che Francesco e il suo entourage tenessero molto a quella questione.

Proseguendo nel botta e risposta Francesco richiama una inedita (almeno ufficialmente) “pastorale delle coppie omosessuali”, laddove la Chiesa, nel suo magistero, si è finora riferita alla “cura pastorale delle persone omosessuali”. Non sembra una differenza di poco conto. Si sa che “Dio non ha paura delle novità”, come ripete sempre Francesco, e può darsi che questa “novità” possa trovare posto a qualche titolo nell’agenda del prossimo sinodo, quale ne sia l’argomento ufficiale; ci sono precedenti a tal riguardo, nel sinodo 2014.

Trovo comunque che la parola più significativa dell’intero dialogo tra Francesco e i gesuiti si possa individuare laddove nel parlare di spiritualità ignaziana egli evoca una possibile “desolazione comunitaria”. Desolazione: parola inconsueta anche per lui, eppure presente due volte nel testo. Desolazione.

Viene quasi da pensare che potrebbe aver evocato, inconsciamente, “freudianamente”, quella colpa che ormai da più parti (ne ha fatto indirettamente cenno ai gesuiti) gli viene imputata, cioè l’aver ridotto la Chiesa a una, appunto, desolazione.

 

Aldo Maria Valli:
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