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Lettera ad Aurelio Porfiri sulla regalità di Cristo

Caro Aurelio,

di recente ho potuto tornare a partecipare a Messe in rito antico: una gioia per l’anima, una consolazione per l’intelletto. Prendere parte al rito antico – ma meglio sarebbe dire alla Santa Messa apostolica – è come ritrovarsi a casa dopo una lunga traversata nel deserto, è come potersi dissetare con acqua fresca dopo tanta arsura, come contemplare verità e bellezza dopo tanta bruttezza e deformità.

Mentre stavo lì, ammirato nel senso letterale del termine (da mirari, guardare con meraviglia, da cui miraculum), mi è salito dal cuore il motto dei certosini: “Stat crux, dum volvitur orbis”. Mentre il mondo, spesso inseguendo ideologie folli ed effimere illusioni, gira su se stesso, la croce di Cristo resta salda, piantata nella roccia del Calvario: nostra unica e autentica certezza, nostra unica e autentica speranza.

Noi che ci occupiamo di informazione siamo particolarmente esposti al rischio di cedere alla logica del mondo che gira e gira e gira. Le notizie sono il nostro pane quotidiano e spesso ne siamo come sopraffatti. Ci distraggono da ciò che conta, ci sviano. E allora occorre tornare alla roccia e alla croce.

In una bella omelia ascoltata durante la Messa nella solennità di Cristo Re il celebrante ha insistito proprio su questo concetto, frequentemente dimenticato o tralasciato dagli stessi uomini di Chiesa: non le ideologie, non le teorie partorite da mente umana, non le iniziative politiche o sociali possono donarci la speranza. L’unica vera, autentica speranza è in Cristo.

In fondo, è tutto molto semplice. Eppure, com’è facile tradire questa verità e lasciarsi affascinare dal mondo che gira!

Vittorio Messori ha citato una volta il vecchio Sartre, secondo il quale “dopo il marxismo, nulla”. Il filosofo francese vedeva nell’ideologia marxista la soluzione definitiva, la parola ultima e decisiva di fronte ai problemi dell’umanità. Anche la mente più brillante può essere obnubilata dal miraggio ideologico. E la storia non è altro che un lungo elenco di ideologie tramontate.

Tu mi dirai: c’era bisogno di una Messa per ispirati queste riflessioni? Direi proprio di sì. C’era bisogno di una bella, sana, vera Messa cattolica. C’era bisogno di un culto degno. Perché noi uomini non viviamo d’aria, ma abbiamo bisogno di guardare, toccare, ascoltare. E allora ecco che la luce delle candele, la melodia dell’organo, il canto in latino, il Padre nostro recitato secondo la formula non riveduta e scorretta, i paramenti, perfino il vecchio, caro campanello introducono nel mistero, nel sacro: uno spazio e un tempo che non può e non deve essere uguale a quello profano, ma deve essere anticipazione del paradiso.

Nella bella omelia di cui parlavo il sacerdote ha ricordato che la solennità di Cristo Re fu voluta da papa Pio XI, con l’enciclica Quas curas del 1925, anno giubilare. Un’enciclica da rileggere, perché lì si sottolinea con grande chiarezza che “Egli regna nelle menti degli uomini non solo per l’altezza del suo pensiero e per la vastità della sua scienza, ma anche perché Egli è Verità ed è necessario che gli uomini attingano e ricevano con obbedienza da Lui la verità”.

Ecco dunque la necessità di rivendicare a Cristo “il nome e i poteri di Re”, come insegnano le Scritture, nelle quali la sua regalità è spesso affermata.

“Ora – scrive Pio XI –, se comandiamo che Cristo Re venga venerato da tutti i cattolici del mondo, con ciò Noi provvederemo alle necessità dei tempi presenti, apportando un rimedio efficacissimo a quella peste che pervade l’umana società”.

Vedi? La Chiesa, non ancora in preda a un cronico senso di inferiorità, allora si preoccupava non di rincorrere il mondo, ma di indicargli la strada e suggerire i rimedi veramente efficaci. E non temeva di qualificare come “peste” il laicismo, “coi suoi errori e i suoi empi incentivi”.

Sì, è stato il laicismo a voler “negare l’impero di Cristo su tutte le genti”. E così “si negò alla Chiesa il diritto — che scaturisce dal diritto di Gesù Cristo — di ammaestrare, cioè, le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli alla eterna felicità. E a poco a poco la religione cristiana fu uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al livello di queste; quindi la si sottomise al potere civile e fu lasciata quasi all’arbitrio dei principi e dei magistrati. Si andò più innanzi ancora: vi furono di quelli che pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo sentimento religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell’irreligione e nel disprezzo di Dio stesso”.

“Pessimi frutti”. Così papa Achille Ratti definisce i risultati a cui ha portato il laicismo nelle sue diverse articolazioni ed espressioni. Frutti di cui oggi ci nutriamo quotidianamente, avvelenando le nostre anime.

Ma nulla è perduto. Vera misericordia non è inseguire il mondo mentre gira su se stesso. Vera misericordia è riaffermare la regalità di Cristo. E il fatto che ci sia ancora qualcuno disposto a ricordare questa lezione, e qualcuno disposto ad accoglierla, non può che rincuorare. Nonostante tutto.

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