Marcello Pera / I diritti spazzata via in un soffio. Perché non parliamo mai dei doveri

di Guido Liberati

«Io sono un liberale, conservatore e cristiano. Non mi parli perciò di diritti, piuttosto di doveri»: lo afferma l’ex presidente del Senato, Marcello Pera, in un’intervista a Il Foglio, commentando il discorso al Parlamento del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

«I diritti – dice l’ex presidente del Senato – vanno e vengono, anche quelli che sono chiamati fondamentali. Sono alla mercé delle maggioranze politiche e delle circostanze. Ha visto cosa è successo e ancora continua a succedere con la pandemia? Che tutta quella bella retorica dei diritti – sottolinea Pera – sanciti dalla prima parte della Costituzione è cascata sotto il peso del più banale dei decreti amministrativi. Così, da un giorno all’altro, il diritto di viaggiare, di lavorare, di intraprendere, di andare in chiesa, di pranzare con i propri genitori e parenti e così via sono scomparsi senza che nessuno protestasse. Quei pochi che lo hanno fatto, con buone ragioni e proprio in nome della Costituzione, penso ad esempio a Massimo Cacciari, sono stati trattati come untori delinquenti. Occorre capire che parlare di diritti, anziché di doveri, della priorità dei primi anziché dei secondi, è l’anticamera della licenza individuale e della prepotenza politica».

Pera ricorda a Mattarella il nuovo paradosso dei diritti

«In Europa – ricorda l’ex presidente del Senato – i nuovi diritti, aborto, eutanasia, matrimonio omosessuale, identità di genere, hanno una storia ricorrente. Sono prima richieste di minoranze, poi sentenze di questa o quella Corte fino a quelle supreme. Infine leggi imposte a tutti. Ma come fa la nostra Costituzione a dire che la Repubblica “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo” se di fatto li crea a piacimento delle occasionali maggioranze parlamentari?».

«A noi conservatori non piace lo Stato opprimente, invadente e saccente»

Pera infine sottolinea che, «intesa in altro modo, la dignità si riduce a una tutela politica accordata ora a questo ora a quello, ora più a questo ora più a quello. Ad esempio, non c’è dubbio che esiste la dignità dei migranti e il loro diritto alla vita. Ma esiste anche la dignità del cittadino a non essere invaso e a scegliere chi poter accogliere. È giusto tutelare la dignità degli “anziani che non possono essere lasciati alla solitudine, privi di un ruolo che li coinvolga”, ma quando quell’anziano fosse massacrato di tasse e imposte con una pensione non corrispondente al lavoro che ha svolto la sua dignità sarebbe ugualmente calpestata. A noi conservatori lo Stato opprimente e invadente e saccente non piace per nulla».

«La riforma Cartabia non riforma niente»

L’ex presidente del Senato affronta anche la «riforma Cartabia», «una riforma che non risolve nulla. Così come non risolve la riforma sul processo con l’introduzione della ghigliottina dell’improcedibilità. Non volendo rischiare le conseguenze del caso, andando di fretta spesso per negligenza loro, i magistrati di appello e di Cassazione ricorreranno alle sentenze conformi, con non poco sacrificio dei diritti della difesa. In realtà, a Costituzione vigente, se si vogliono scardinare le correnti, c’è solo il sorteggio dei membri del Consiglio. Mi chiedo perché Cartabia non ci abbia tentato».

«L’ultimo e unico tentativo di modificare l’ordinamento giudiziario – ricorda – fu quello del ministro Castelli. Spero che almeno la Lega se ne ricordi. Fra l’altro, la legge Castelli ebbe il merito di introdurre il principio di gerarchia nelle Procure e la relazione annuale del ministro al Parlamento sullo stato della giustizia prima dell’apertura dell’anno giudiziario. Era un timido ma deciso e apprezzabile passo per introdurre la discussione sulle priorità dell’azione penale nel luogo meglio deputato a farlo, perché si tratta di decisione eminentemente politica: il Parlamento. Oggi, siamo ancora in regime di piena discrezionalità».

Fonte: secoloditalia.it

 

 

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