La Via della Croce

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È l’ultimo tratto di via percorso dal Redentore Divino durante la sua vita mortale, l’ultima fase del divino dramma del nostro riscatto.

Dal Pretorio di Pilato al Calvario; dal tribunale, ove fu condannata l’Innocenza, al luogo dell’esecuzione della più infame delle sentenze, reclamata, strappata a forza di accuse e di minacce, da un popolo infinitamente beneficato dallo stesso Innocente, contro il quale si gridò la morte e la morte di croce! Un chilometro circa di strada che va dai pressi del tempio di Salomone – eretto alla gloria del vero Dio – ad un colle situato fuori le mura della città di Gerusalemme e destinato agli ultimi istanti dei malfattori più notori. Ma mentre sul tempio Salomonico pesava la Divina vendetta, causa la malvagia ostinazione di un popolo ribelle e sordo alla voce della grazia, attorno al Calvario si delineava il più venerabile dei Santuari della Nuova Legge, quel tempio destinato a racchiudere, più tardi, il grande altare sul quale l’amore e l’odio immolarono l’Agnello Divino che doveva cancellare col suo Sangue ogni peccato.

Gesù, vittima divina, compì quel tragitto nel pieno meriggio di un ormai lontano venerdì e carico della Croce – patibolo ed altare – sulla quale doveva compiere il suo sacrificio; Egli Sacerdote eterno; Egli Ostia immacolata di propiziazione e di pace.

Misteri d’amore, di dolore, di gioia

S’intrecciano a meraviglia, in quest’ultimo viaggio del Redentore penante, misteri di amore infinito, perché «oblatus est quia Ipse voluit» (Is., 53): è stato sacrificato perché lo ha voluto; e lo ha voluto in forza di un’eterna carità verso di noi sue creature (Ger, 31).

Misteri d’amore divino in una cornice di sofferenze, di umiliazioni, di dolori, di strazi, di sangue; e il tutto suggellato con la morte infame di croce. Simile ad Isacco che molti secoli prima saliva il vicino Moria carico della legna per il sacrificio, di cui egli doveva essere la vittima, Gesù sale il Calvario carico della Croce, della Croce che è sua, che è nostra. Sua, perché l’ha fatta sua accettando l’Incarnazione, la Passione e la Morte per la redenzione dell’uomo; nostra, perché fabbricata da una colluvie di peccati commessi da noi, dal mondo intero. Gesù, innocente e santo per eccellenza, si rivestì della nostra reità e secondo il pensiero dell’Apostolo (II ai Corinti, 5): «Colui che non conosceva il peccato, per noi Dio l’ha fatto peccato, affinché noi diventassimo in Lui giustizia di Dio». E nell’eccesso della sua compassionevole carità verso l’uomo peccatore, accettando di essere confitto alla Croce volle fosse confitto allo stesso legno anche il chirografo della nostra condanna (ai Colossesi, 2), cancellandolo collo stesso suo preziosissimo Sangue. Ed è appunto così che questo mistero di dolore divino diviene per noi una fonte perenne di divina gioia, sapendo appunto che Gesù con la sua Passione ha cancellato la nostra sentenza di eterna condanna, che con la sua morte ci ha ridonato la vita. Il santo poeta Venanzio Fortunato riassume questo dolcissimo mistero con quei versi dettatigli dalla Fede: «Qua Vita mortem pertulitet morte vitam protulit: Sulla Croce la Vita subì la morte e morendo ci ridonò la vita».

Niente di più doveroso quindi e di più soave per un cristiano, che vive di Fede, che il ricordare di sovente questi divini misteri; dovere, per non dimenticare il prezzo del grande nostro riscatto e vivere nella perenne riconoscenza verso il Divino Benefattore; soave ricordo questo, che mentre ci riempie il cuore di gioia celestiale, ci deve spronare al più ardente degli amori verso l’amorosissimo nostro Redentore.

Soavi ricordi

I ricordi più soavi impressi dal penante Redentore lungo la Via della Croce ci sono quasi tutti indicati esplicitamente dalle divine pagine del Vangelo. Tutti questi ricordi – come le diverse cadute, l’incontro con la sua benedetta Madre, l’aiuto che ebbe dal Cireneo nel portare la pesante Croce, le dolci parole rivolte alle pie donne che piangevano la sua condanna, ecc., ricordi di altrettanti atti di amore divino verso l’umanità, furono sempre oggetto di profonda meditazione per le anime fedeli, che sino dai primi tempi, sulle indicazioni degli stessi discepoli del Nazzareno, ne rintracciarono il luogo preciso e così, guidati dalla pietà, potevano ricalcare le orme del Redentore addolorato a loro piacimento, meditando e pregando. Anzi Andronico lasciò scritto che secondo la più venerabile tradizione, fu la stessa Vergine Santissima la prima a rifare la Via Dolorosa – dopo l’Ascensione di Gesù – rievocando i martiri del suo benedetto Figliuolo, gli strazi del suo cuore di madre. E così di generazione in generazione la pia pratica giunse ai nostri giorni nella bella e salutare ed ormai universale divozione della «Via Crucis». Così il privilegio di pochi e fortunati pellegrini di percorrere la via santificata da Gesù penante sotto il peso della Croce, divenne beneficio comune quando la piissima pratica passò dall’Oriente all’Occidente, per opera dei Francescani, reduci dalla loro Protomissione di Palestina. Furono essi infatti i primi che la insegnarono al popolo, essi i primi ad introdurre nelle loro chiese la rappresentazione figurata dei misteri della Via Dolorosa, rappresentazione ormai universale ed in pari tempo anche il più bell’ornamento dei nostri sacri templi.

Fra i tanti luoghi santi di Palestina custoditi, da ormai lunghi secoli, dai Figli di San Francesco, si contano sette delle quattordici stazioni della «Via Crucis». Fra i più zelanti Francescani propagatori di questa preziosa divozione basti qui ricordare il Beato Bernardino Caimi di Milano (morto nel 1502) che, reduce da Terra Santa ove era stato quale Missionario e Custode della Missione, concepì ed attuò in gran parte quella meraviglia di santuario – o meglio quella selva di santuari, disseminati sul sacro Monte di Varallo – che fu giustamente chiamato «La nuova Gerusalemme». San Leonardo da Portomaurizio poi fu un appassionato apostolo della «Via Crucis», predicandola incessantemente ed ovunque nei suoi 40 anni di apostolato, riuscendo ad introdurla persino nel Colosseo.

Non è possibile ricordare dettagliatamente l’interessamento di non pochi Sommi Pontefici e le loro generosissime elargizioni di indulgenze in favore di quanti praticano questa cara devozione, sempre tanto raccomandata, ma specie nei santi giorni di Quaresima. Il Sommo Pontefice Pio XI di s. m., a soddisfazione generale di tutti i fedeli, decretò l’indulgenza plenaria Toties Quoties a chi pratica sì santo esercizio. Pio X di s. m. concesse all’Ordine Francescano una festa speciale – il primo venerdì di marzo – con Officio e Messa propri per commemorare più degnamente i Misteri della «Via Crucis»; festa che si celebra anche in tutto il Patriarcato Latino di Gerusalemme.

Pellegrinaggio spirituale

In Gerusalemme, ogni venerdì dell’anno, alle tre del pomeriggio, il lento rintocco delle campane maggiori di S. Salvatore e del Santo Sepolcro, dando il segno della morte di Gesù, chiama tutti i Religiosi Minoriti alla «Via Crucis». Molti fedeli della Sacra Città si uniscono ad essi, e i pellegrini crederebbero mancare ad uno dei più sacri loro doveri se almeno una volta, prima di lasciare Terra Santa, non si unissero ai figli dello Stimmatizzato nel meditare la Passione di Gesù per quelle strade che Egli percorse fra gli urli e gli insulti della plebaglia giudaica, immemore dei tanti benefici ricevuti. Bene spesso tale pio esercizio si fa anche in altri giorni, all’occasione cioè di pellegrinaggi e allora in forma solenne con breve discorso ad ogni stazione.

E uniti in ispirito ai fortunati Minoriti di Gerusalemme migliaia e migliaia di fedeli possono compiere — e lo compiono in realtà — quest’atto di pietà cristiana, percorrendo le 14 stazioni della «Via Crucis» nella propria chiesa e guadagnando gli stessi favori spirituali per sé e per i cari defunti.

È senza dubbio questa una delle più belle e più agguerrite crociate di preghiera esistenti nella Chiesa, crociata cui sono promessi e riservati i più ambiti trionfi spirituali.

Ma per il fedele non deve essere il guadagno spirituale delle indulgenze il motivo principale che lo deve spingere alla pia pratica della «Via Crucis», bensì un intimo sentimento di profonda pietà verso il Redentore penante, un vivo desiderio di un sempre maggior profitto spirituale per l’anima propria.

E’ infatti nell’assidua meditazione della Passione di Gesù che si comprenderà il valore dell’invito divino : «Si quis vult post me venire, tollat crucem suam et sequatur me»; parole queste che ci ammaestrano chiaramente sulla condizione necessaria per seguire il Maestro Divino, quella cioè di tenerGli dietro portando la nostra croce (Matteo, XVI); e quelle altre parole che non sono più un semplice invito, ma una paterna ed amorosa minaccia: «Chi non porta la sua croce e non mi segue, non può esser mio discepolo» (Luca, XIV).

Che se pensiamo che tutti noi, secondo il pensiero del Profeta Isaia (53): «Come pecorelle smarrite, ci eravamo sviati; ciascuno aveva declinato verso il suo proprio cammino; ed il Signore fece ricadere su di Lui (cioè sul suo Divin Figliolo) le iniquità di tutti noi», non ci dovrebbe costare troppo quello spirito di cristiana penitenza che consiste anzitutto nell’accettare e sopportare con amorosa rassegnazione le prove, più o meno dure, di questa vita di esilio; prove che formano appunto la nostra croce quotidiana, la croce che ci viene misericordiosamente offerta dalla bontà divina.

Frequentare con vera divozione questo piissimo esercizio, abituarci a compierlo di frequente questo pellegrinaggio spirituale, uniti in ispirito alla Vergine Addolorata, a San Giovanni, alla Maddalena e alle altre pie Donne, cercando di ridestare in noi sentimenti di filiale compassione, di generoso amore, ecco lo scopo di questa divozione delle divozioni dopo la Santa Messa, come ebbe a definirla lo stesso San Leonardo da Porto Maurizio.

E’ questa del resto anche l’esortazione che ci viene rivolta dalla Chiesa nella festa della «Via Crucis» con la prima strofa dell’inno dei primi vespri: «Bella ut nos animet Christus ad ardua, – Secum rite iubet scandere Golgotham; – Mesto calle sequamur, – fisi tollere praemia».

Gesù ci comanda di salire con Lui il Golgota, animandoci alle ardue battaglie (quelle della Fede): seguiamolo nella Via del dolore, fiduciosi di raggiungere il premio! Ed intanto gridiamogli più con l’affetto del cuore che con le parole, la preghiera della stessa sacra liturgia: «Christe, nos flammae rapiant amoris; quae reis tollunt scelus atque poenas!» (II Vesperi): O Redentore divino, fa che siamo infiammati di quel santo amore, che ai peccatori cancella la colpa, la pena!

Tratto da: Almanacco di Terra Santa, Tipografia dei Padri Francescani, Gerusalemme, 1942, pagg. 17-19

Fonte: centrostudifederici.org

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