Accoglienza degli omosessuali e lobby gay: qualche domanda

di Enea Martini

Il pulpito di una chiesa può essere utilizzato per la propaganda delle unioni civili omosessuali? Esiste un confine nitido, chiaramente percepito ed inteso sia dal sistema mediatico, sia dai fedeli delle parrocchie, fra veglie contro l’omotransfobia e l’esaltazione dell’esperienza di coppie Lgbtqi+?

E infine: vi è consapevolezza – anche nel contesto ecclesiale – fra discriminazioni ingiuste – che attengono all’ambito civile – e discriminazioni giuste nei confronti degli omosessuali nel contesto dell’ordinamento canonico?

Papa Francesco ha invitato i vescovi a riflettere attentamente sulla problematicità dei candidati omosessuali al sacerdozio, nel corso dell’assemblea della Cei nel maggio 2018 ribadendo la validità della Ratio fundamentalis della Congregazione per il clero adottata durante il suo pontificato. Il documento dichiara, riprendendo testualmente una precedente Istruzione del 2005, che «in relazione alle persone con tendenze omosessuali che si accostano ai seminari, o che scoprono nel corso della formazione tale situazione, in coerenza con il proprio magistero, la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay».

A Modena, a Parma, Ferrara, e in tante altre città sono state celebrate veglie contro l’omotransfobia. A Montesilvano, in provincia di Pescara, il 17 maggio, il parroco della chiesa della Beata Vergine del Carmelo ha invitato due donne, Daniela e Arianna, a raccontare dall’ambone ai fedeli presenti il loro amore “speciale”.

A Budrio, nell’arcidiocesi di Bologna, l’11 giugno, una coppia omosessuale, dopo la celebrazione in Comune dell’unione civile, si è recata in parrocchia per partecipare ad una Messa di ringraziamento, presieduta nientepopodimeno che da don Gabriele Davalli, direttore dell’Ufficio diocesano per la Famiglia. Ma nel marzo 2021, la Congregazione per la dottrina della fede, non aveva respinto con un esplicito responsum la benedizione delle coppie omosessuali?
Occorrerebbe chiedersi – seriamente e senza capziosità – quale sia la distinzione fra Messa di ringraziamento in seguito alla celebrazione di unioni civili omosessuali e benedizione di queste coppie.

Nella diocesi di Bolzano – Bressanone, sotto l’autorità del vescovo  Ivo Muser,  è stata allestita la mostra itinerante Rendere visibile l’invisibile: persone dello stesso sesso che si amano nella Chiesa, che «raccoglie testimonianze di credenti queer in Alto Adige». L’origine del termine queer risale al 1991 e venne presentato sulla rivista accademica americana Differences. Sulle sue pagine, Teresa de Lauretis scrisse per la prima volta di queer theory nell’ambito di ricerche sulle sessualità lesbiche e gay.
Qual è il senso dell’accettazione tacita di una teoria – sottolineiamo: di una semplice teoria – da parte di una diocesi, quasi a volerne sancire inequivocabilmente, con la proliferazione burocratica di iniziative, la presunta, inequivocabile fondatezza?
E perché sulle colonne di Vita trentina, settimanale della diocesi di Trento, viene presentata come modello una coppia di uomini travel blogger omosessuali? Per evitare le discriminazioni o per promuovere questo modello?

Sul filo dell’ambiguità e di distinzioni, ciò che ancor oggi Roma riprova sulla carta si tenta di far passare attraverso la pratica pastorale, in attesa che Roma capitoli, modificando anche paragrafi scomodi dello stesso Catechismo della Chiesa cattolica al numero 2357 che ancor oggi parla di relazioni omosessuali come «depravazioni», «atti disordinati», «contrari alla legge naturale» e che «in nessun modo possono essere approvati»?

Queste iniziative sono volute dai fedeli oppure sono forzate da alcuni ecclesiastici, che strumentalizzano i bisogni di accoglienza dei fedeli omosessuali per sdoganare finalmente l’omosessualità nella Chiesa? Qual è l’atteggiamento dei vescovi: promuovono, accettano, permettono o tollerano queste iniziative?

La Chiesa ha proprio tante energie da dedicarsi quasi esclusivamente alle “sofferenze” – anche quelle enfatizzate ad arte – del mondo Lgbtqi+?

Questo problema non verrebbe in ogni caso dopo, molto dopo, quelli della sperequazione crescente fra poveri e ricchi e della perdita della fede accompagnata alla repressione di minoranze religiose, soprattutto quella cristiana, in tutto il mondo?

Non è che siamo di fronte a un semplice capriccio di alcuni petulanti, troppo ben inseriti perfino nel potere ecclesiastico oltreché mondano?

È troppo malizioso, infine, pensare che la lobby gay ecclesiale – minimizzata certamente ma mai negata dalle stesse personalità apicali del Vaticano, fra cui Papa Benedetto XVI nel libro Ultime conversazioni con Peter Seewald e papa Francesco, che ne ammise l’esistenza  il 6 giugno 2013, durante un incontro con i rappresentanti della Confederazione latinoamericana e dei Caraibi dei religiosi e delle religiose (Clar), – lambisca i centri di potere interni della Chiesa, centrali e periferici?

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