Lettera / A proposito del provvedimento sull’Opus Dei

di Mario Grifone

Caro Valli, come ampiamente atteso, dopo i Francescani dell’Immacolata, il movimento di CL, e la Traditionis custodes, l’ascia di questo pontificato si abbatte ora, con la lettera apostolica Ad charisma tuendum, sul tronco più grosso: l’Opus Dei. Provvedimento atteso, ma comunque incomprensibile.

L’Opus Dei, nata per chiamare alla santità i cristiani ovunque si trovino, ha come principio fondamentale l’amore incondizionato al Papa. Il suo fondatore san Josemaría Escrivá de Balaguer invitava tutti  suoi figli ad obbedire e amare il Papa chiunque egli fosse, gratificandolo del termine di “dolce Cristo in terra” mutuato da santa Caterina da Siena.

L’Opus Dei ha avuto un cammino giuridico molto lungo e complesso, essendo un ente composto da laici e sacerdoti accomunati dalla medesima vocazione. Fino alla riforma del diritto canonico non aveva un “vestito normativo”. All’epoca della sua fondazione, nel 1928, esistevano solo norme sulle congregazioni religiose e l’Opera, non richiedendo ai suoi membri la professione dei tre voti (povertà, castità e obbedienza), non poteva essere equiparata a nessun movimento. Con l’istituzione delle prelature personali si trovò la soluzione ideale. L’Opera di fatto può essere paragonata a una diocesi il cui territorio non è fisico ma spirituale. Questa è anche stata, probabilmente, la ragione per cui san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI elevarono al rango episcopale i primi due successori del Santo Fondatore.

La nuova veste giuridica ha permesso all’Opera di diffondersi in tutto il mondo, ma lo ha fatto sempre e solo con la preventiva autorizzazione degli ordinari dei luoghi dove voleva insediarsi, non andando là dove riceveva rifiuti e addirittura, in alcuni casi, andando in posti dove non prevedeva di iniziare il lavoro solo perché il vescovo locale invitava il Prelato ad aprire centri nella sua diocesi.

Ora il motu proprio declassa la prelatura rimettendola non più ai vescovi ma al dicastero del clero ordinario, e in conseguenza di questo stabilisce che il Prelato non sarà insignito né insignibile dell’ordine episcopale, giustificando tale provvedimento in virtù di un incomprensibile primato del carisma sulla gerarchia.

Ora, non mi pare esista nel diritto canonico – ma accetto correzioni – la proibizione di accedere all’episcopato per qualunque presbitero, anzi teoricamente qualunque sacerdote o frate ordinato può addirittura essere chiamato al pontificato. Sant’Ambrogio diventò vescovo non essendo neanche catecumeno.

Salvo che non vi sia alcuna disposizione che l’avvalori, mi sembra che questo diktat abbia solo un intento punitivo, oso dire che è una vera e propria cattiveria.

Andando un po’ oltre e vedendo quali sono le competenze del dicastero del clero, mi sorge il dubbio che il motu proprio abbia ben altri scopi. Tale dicastero si occupa infatti della formazione di sacerdoti e delle indicazioni su tale formazione nei vari seminar interdiocesani. Chi conosce l’Opus Dei sa molto bene che il suo lavoro è una grande catechesi portata avanti da laici e presbiteri molto preparati. L’Opus Dei ha dato alla Chiesa tanti bravi teologi e tanti sacerdoti dottrinalmente irreprensibili. Non è che si voglia smantellare questa peculiarità, obbligando gli aspiranti sacerdoti dell’Opera a frequentare i seminari indicati da tale dicastero, oppure a modificare le materie di insegnamento nei centri di formazione sacerdotale dell’Opera?

Mi risponderei di no, ma il dubbio resta. Inoltre se il prelato non può più essere vescovo non potrà mai ordinare i sacerdoti della prelatura, facoltà che d’ora in poi spetterà solo ed esclusivamente ai vescovi diocesani.

Una cosa è certa: questo provvedimento fa tabula rasa di coloro che, in odio all’Opus Dei, ne hanno sempre parlato come di un potere oscuro all’interno della Chiesa. E infatti è così potente che non solo si prende questa bastonata ma ringrazia pure il Santo Padre, consapevole che Opus Dei significa opera di Dio e da Lui è stata voluta, come diceva il suo Santo Fondatore

Una cosa che accomuna quest’ultimo provvedimento a quelli citati all’inizio è che si vanno a colpire enti che hanno il pregio di fornire tanti sacerdoti alla Chiesa, e ciò, in un momento nel quale abbiamo preti costretti a dire fino a sei Messe domenicali per raggiugere i fedeli del loro territorio, sembra veramente autolesionistico. Sui social vediamo poi sacerdoti benedire coppie omosessuali e celebrare messe (minuscola voluta) coi paramenti arcobaleno o vestiti da pagliaccio o su materassini al mare, e da Roma non arriva neanche un buffetto. Ma si sa: un sacerdote che recita la Messa in latino è divisivo, mentre uno che sposa due gay è moderno

Durante la decadenza dell’impero romano gli imperatori fondavano la loro sopravvivenza sui propri pretoriani. Persi quelli, il loro potere non valeva più nulla. L’Opus Dei fu paragonata in passato alla guardia pretoriana del Pontefice, e quello attuale ha deciso di farne a meno. Speriamo che la storia si ripeta. È il caso di dirlo: non praevalebunt

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Nella foto, monsignor Josemaría Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei

 

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