Perché, di fronte al Great Reset globalista, essere cattolici e identitari non solo non è peccato, ma è l’unica via d’uscita

di Carmelo López-Arias

ReligiónenLibertad

Negli anni Sessanta il 96% dei francesi si dichiarava cattolico e almeno la metà della popolazione era cattolica praticante. Mezzo secolo dopo, queste cifre erano crollate rispettivamente al 56% e al 4,5%.

Questo problema della secolarizzazione è aggravato da un evidente processo che i sociologi chiamano “sostituzione della popolazione”: avviene attraverso ondate di immigrazione culturalmente eterogenee rispetto alla popolazione autoctona e con tassi di fertilità più elevati di quelli della popolazione ospitante.

Una reazione culturale cattolica e patriottica

“La scristianizzazione e la grande sostituzione vanno di pari passo. L’uragano migratorio sta completando la dispersione dei resti di un’Europa svuotata della sua energia dalla negazione del suo battesimo”. Così sostiene Julien Langella, giornalista trentacinquenne e portavoce di Academia Christiana, movimento giovanile cattolico nato nel 2013 che difende con uguale intensità la vita di fede e il radicamento basato sul patriottismo, il bene comune e la rivendicazione di ciò che è proprio di fronte al globalismo dei “poteri del denaro e del disordine materialista”.

La Tribuna del País Vasco ha recentemente pubblicato in spagnolo l’ultima opera di Langella, Católicos e identitarios, libro-manifesto di una tendenza che si sta affermando nell’opinione pubblica cattolica. In gran parte è una reazione alle manifestazioni sempre più evidenti di un Grande Reset, ispirato dai principi massonici, che dissolve i resti della società cristiana in “società multiculturali che sprofondano ogni giorno un po’ di più nella violenza” e “sono condannate a perire”.

I principali ostacoli incontrati da questi cattolici identitari non riguardano il loro essere identitari, ma il loro essere cattolici. Secondo il discorso cristiano dominante, infatti, un fedele membro della Chiesa non solo non dovrebbe opporsi a questo processo di “sostituzione della popolazione”, ma dovrebbe diventarne un alleato.

La realtà e i suoi problemi oggettivi

Langella sostiene che “qualsiasi comunità vitale si basa sull’omogeneità” e che l’eterogeneità produce conflitti. Migliaia di spagnoli e inglesi lo hanno sperimentato, per esempio, il 28 maggio 2022 in occasione della finale di Champions League, quando i tifosi del Real Madrid e del Liverpool, dovendo attraversare a piedi il multiculturale quartiere parigino di Saint-Denis per raggiungere lo stadio, hanno subito umiliazioni, soprusi, aggressioni e rapine da parte di bande che sanno di essere impunite e protette dalla loro “differenza”. Talmente protette che i media mainstream hanno distorto l’accaduto, di cui si è venuti a conoscenza solo grazie alle testimonianze delle vittime sui social network.

Questi sono i fatti: c’è una crescente islamizzazione in Germania così come di interi quartieri di Parigi, Londra o Bruxelles nei quali vige la sharia e la polizia non entra. “La nostra dimenticanza di questa realtà deriva dal pensiero occidentale moderno, che afferma il primato della volontà sulla realtà”, dice Langella, e anche “molti cattolici hanno ceduto a questo veleno intellettuale”. Si sono lasciati convincere dall’illusione moralistica delle élite arricchite dell’establishment, che predicando l’accoglienza condannano migliaia di persone all’emarginazione e “sopprimono le frontiere per costruire muri per se stesse”, così che la popolazione che rimane fuori deve convivere con i problemi generati da questa soppressione.

Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e… Francesco

Ma davvero la dottrina sociale della Chiesa ci obbliga ad accettare e persino a incoraggiare un’immigrazione illegale e culturalmente eterogenea come quella che sta invadendo l’Europa? È questa la domanda a cui Langella dedica parte del suo libro, ricordando che, per la dottrina cattolica, il principio politico prioritario è il bene comune, non la coesistenza multiculturale.

Giovanni Paolo II affermò che l’esercizio del diritto di emigrare “deve essere regolato, perché un’applicazione indiscriminata provocherebbe danni e pregiudizi al bene comune delle comunità che accolgono il migrante”.

Benedetto XVI fu ancora più preciso: “Gli Stati hanno il diritto di regolare i flussi migratori e di difendere i propri confini, assicurando sempre il dovuto rispetto per la dignità di ogni persona umana. Gli immigrati, inoltre, hanno il dovere di integrarsi nel Paese ospitante, rispettandone le leggi e l’identità nazionale”.

Per quanto riguarda Francesco, Langella nota che ha cambiato linea rispetto ai predecessori con il suo viaggio a Lampedusa l’8 luglio 2013, e si rammarica della sua posizione contro i movimenti europei che difendono l’integrità delle frontiere. L’autore ritiene inoltre “incomprensibile il silenzio” del papa di fronte alle sofferenze causate a milioni di europei dalla comparsa nei loro Paesi di ghetti ostili e dall’insorgere di forme di criminalità inusuali, come le decine di stupri di giovani donne tedesche da parte di immigrati clandestini musulmani nella notte di Capodanno del 2015, a Colonia.

Langella ricorda però che Francesco, in seguito, ha anche fatto appello al realismo sulla questione migratoria, come nel suo discorso del 2016 al corpo diplomatico: “Di fronte all’ampiezza dei flussi e agli inevitabili problemi ad essi associati, sono sorti molti interrogativi sulle reali possibilità di accoglienza e adattamento delle persone, sul cambiamento della struttura culturale e sociale dei Paesi ospitanti, nonché su un nuovo disegno di alcuni equilibri geopolitici regionali. Altrettanto rilevanti sono i timori per la sicurezza, esasperati soprattutto dalla minaccia schiacciante del terrorismo internazionale”.

Perché, allora, la posizione cristiana è ancora associata a un’apertura illimitata delle frontiere, senza prestare attenzione ai problemi che tale scelta comporta per la popolazione europea, la sola popolazione autoctona, a quanto pare, che merita il disprezzo dei globalisti e la cui identità culturale sembra essere l’unica a non meritare rispetto? Questo è il tema centrale di Católicos e identitarios, libro vibrante e forte.

Contraddizioni dell'”assimilazionismo”

Parallelamente al discorso circa l’integrazione multiculturale corre il discorso dell’assimilazionismo, fenomeno che chiude gli occhi di fronte alla realtà dei problemi determinati dall’integrazione dell’immigrazione eterogenea quando questa supera una certa soglia quantitativa.

Langella evidenzia tre contraddizioni in questo discorso “assimilazionista”.

In primo luogo, l’assimilazione è totalitaria per sua stessa natura, in quanto “necessariamente coercitiva” per gli immigrati ai quali viene imposta una cultura a loro estranea.

In secondo luogo, è illusoria, perché gli immigrati non sono interessati: “Ce ne sono abbastanza in Francia perché possano sentirsi a loro agio senza dover vivere come i francesi. Per quanto riguarda il loro benessere identitario, è superiore al nostro perché possono vivere come nella loro patria, in mezzo a noi, senza temere rappresaglie. Si sentono quindi abbastanza forti da rifiutare una cultura francese che identificano come debole e decadente. In queste condizioni, non hanno alcun interesse a diventare francesi”.

In terzo luogo, l’assimilizionista si comporta peggio degli stessi immigrati, perché “inconsciamente o meno, disprezza i non europei e sottovaluta la loro ricerca di radici, vista come una crisi temporanea dell’adolescenza, come se gli immigrati venissero dal nulla; come se anche loro non avessero né storia né patrimonio”.

Dio al primo posto

Il motivo per cui il globalismo incoraggia la “sostituzione della popolazione” e il multiculturalismo eterogeneo non è altro, sostiene Langella, che il denaro: lo sradicamento favorisce il consumo irrazionale come unico orizzonte di vita, a vantaggio delle imprese transnazionali e delle masse mobili di capitale il cui unico obiettivo è il profitto. È logico che i globalisti facciano così, perché non hanno altri obiettivi, ma l’ideologia che ha spianato loro la strada è un cosmopolitismo apolide le cui radici ideologiche possono essere fatte risalire alla Rivoluzione francese ed ha precedenti storici.

Il libro si conclude portando come esempio “l’epopea dei Maccabei” nella loro lotta per salvare l’identità ebraica da mali simili a quelli di oggi. Lì vediamo “il tradimento delle élite, la collaborazione con il nemico, l’impunità per la bestemmia e la morte di una civiltà”. Ecco così “standardizzazione consumistica, islamizzazione, grande sostituzione e libertà di espressione ridotta a insulti anticristiani”.

In contrasto con tutto ciò, l’autore propone un processo di riconquista basato su qualcosa che potrebbe “deludere le menti sofisticate in cerca di acrobazie intellettuali”. Ma “l’unico rimedio al dilemma dell’identità ci è stato dato duemila anni fa dal figlio di un falegname, quando rispose all’angoscia degli uomini bisognosi di cibo e di vestiti: ‘Cercate prima il regno di Dio e anche il resto vi sarà dato’ (Mt 6,33). Dicendo questo, Gesù era ben consapevole che ciò era applicabile a tutte le persone di tutti i tempi”.

Stiamo morendo come civiltà perché abbiamo messo al primo posto il potere materiale e il denaro, per cui “la parola di Cristo non è solo uno stimolo alla nostra vita personale di fede, ma anche una bussola politica: uno Stato che ostacola la vita interiore dei suoi sudditi si condannerà a una lenta morte”.

Per questo motivo, parlando delle misure che i governi potrebbero già adottare, e che il libro suggerisce, Langella dice che “l’unica via d’uscita dal disastro è il ritorno al principio di tutte le cose, alla fonte e alla ricompensa ultima della nostra vita quaggiù: Dio onnipotente e salvatore”. E conclude: “Solo un’Europa di nuovo cristiana, immune da fanatismi ideologici perché pone la sua salvezza in Dio e in nient’altro, può lottare per l’ideale senza rinunciare al reale”.

Fonte: religionenlibertad.com

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