Lettera da Milano / Se i preti obbediscono al ministro e non al loro vescovo

Cari amici di Duc in altum, ricevo da un lettore milanese (che per svariate ragioni non può firmarsi) questa lettera che torna sulla questione della Comunione sulla lingua, negata pervicacemente da alcuni sacerdoti anche dopo che la Curia diocesana ha precisato che “Non sono esclusi e non è possibile escludere dalla Comunione eucaristica i fedeli che non abbiano la mascherina e/o vogliano ricevere la Comunione sulla lingua”.

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Caro Valli,

la parrocchia dei mei anziani genitori, e che io frequento tuttora, a volte, nei giorni feriali (lì sono stato comunicato e cresimato), ha da almeno trent’anni un clero tale che nella mia cerchia è ormai definita San Giovanni in Luterano. È una chiesa dove ho sentito predicar dall’altare cose come “La Messa di Natale ha valore perché c’è la comunità che la celebra”; “La celebrazione del Corpus Domini confonde la presenza reale con la presenza fisica”; “La transustanziazione è solo uno dei modi in cui la teoria ha tentato di definire un mistero che tanto è indefinibile”; “Non esiste la figura del Vicario di Cristo”.

La parrocchia pochi anni fa ebbe un quarto d’ora di celebrità mediatica perché il parroco fece distribuire la comunione da una pastora valdese durante la cosiddetta Settimana per l’unità dei cristiani.

Con l’epidemia i preti hanno sprangato tutto, applicato ossessivamente i protocolli, e si sono dichiarati dispiaciuti di dover riprendere le celebrazioni nel maggio del 2020 (!).

Quando il 18 giugno uscì una nota privata di risposta da parte dell’avvocatura arcidiocesana, dove si chiariva che ormai era caduto l’obbligo di comunicarsi prendendo l’ostia in mano, io volli evitare tensioni: visto che non si trattava comunque di un responso ufficiale e pubblico, quando capitavo in quella parrocchia facevo la comunione spirituale: sono abbastanza antico per ricordarmi che la comunione in mano in Italia fu un indulto strappato a pontefici renitenti nel 1989 e da allora mi sono ripromesso che mai avrei toccato l’ostia santa con le mie mani non consacrate.  Pertanto, per non fare polemiche spiacevoli al momento di ricevere il sacramento, e per non mettere in difficoltà nessuno, ho continuato per tutta l’estate a fare, se possibile, la comunione come si deve in altri luoghi.

Ma il 30 agosto il responso della avvocatura arcivescovile è stato reso noto in via ufficiale. Pertanto, il pomeriggio del 7 settembre mi sono presentato in parrocchia, alla Messa delle 18, convinto di poter tornare a fare la comunione nel luogo dove avevo ricevuto la Prima, dopo due anni e mezzo di impossibilità. Per discrezione, visto che tutti la prendevano comunque in mano, mi sono messo per ultimo.

Ebbene, il celebrante mi ha categoricamente rifiutato l’ostia, ma non solo: tornato all’altare, ha tenuto un duro discorso stigmatizzando quelli che ancora si ostinano a volere la comunione in bocca, asserendo che lui deve agire come agisce per obbedire a rigorosi protocolli (falso!) e insegnando che secondo il magistero concorde dei papi è del tutto equivalente ricevere il sacramento in bocca o in mano (falso!).

Ancora una volta non sono andato a questionare col celebrante. Appena tornato a casa ho denunciato la flagrante violazione delle disposizioni arcivescovili (allegando il documento dell’avvocatura) in una lettera che ho mandato a parroco, vice parroco e appunto avvocatura dell’arcidiocesi.

Risultato: dopo una settimana l’avvocatura mi ha risposto confermando il documento, ringraziandomi delle informazioni e dichiarando la volontà di parlarne col parroco. Invece parroco e vice parroco non si sono fatti vivi. Metodo Bergoglio: ai dubia non si risponde.

Sintesi: abbiamo un clero che obbedisce nei minimi particolari a un ministro comunista genocida, per poi disobbedire all’arcivescovo. E ora vedo che lo stesso succede nella adiacente parrocchia del Redentore.

Lettera firmata

Milano


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