Così il “Ficcanaso digitale” controlla il lavoratore. In nome della produttività

Giorni fa una giovane neolaureata italiana, uscita da un nostro ateneo con un prestigioso titolo di studio, mi raccontava di aver trovato lavoro nella City, a Londra, con uno stipendio niente male. Me ne sono rallegrato e ho fatto i complimenti. Ma ho anche avuto modo di riflettere quando la ragazza ha detto che il tempo trascorso davanti al computer, in ufficio, viene costantemente monitorato, per cui le sono consentite soltanto le pause per uno spuntino e per andare in bagno. E se si allontana al di fuori di queste “finestre” consentite? Beh, scatta una specie di allarme e viene subito richiamata. E se i richiami si ripetono? Licenziamento.

Considerato il mio inveterato individualismo e lo smodato senso di autonomia che mi caratterizza, non so se avrei mai accettato un lavoro, sia pure ben retribuito, che mi avesse reso molto simile a uno schiavo legato ai remi di una galea (o galera).

In ogni caso, ho ripensato al racconto della giovane quando ho letto un articolo nel quale si spiega che attualmente le aziende stanno investendo grandi risorse (miliardi di dollari) nella ricerca per sviluppare quelli che potremmo chiamare “ficcanaso digitali”: metodi sempre più innovativi ed efficaci per spiare ogni mossa dei lavoratori.

Ovviamente il nome trovato per definire la cosa non è “ficcanaso digitali”. Suona molto meglio: “Monitoraggio della produttività digitale”. Ciò non toglie che chi lo sta subendo lo definisca “demoralizzante”, “tossico” e “profondamente sbagliato”.

Come osserva Jim Hightower in Common Dreams, per generazioni i lavoratori sono stati puniti dai loro capi per aver guardato con impazienza l’orologio. Ma ora è l’orologio aziendale che sta guardando i lavoratori. Senza sosta. E il Grande Occhio non fa sconti.

Il “monitoraggio della produttività digitale” è in effetti una sorta di orologio che, collegato a una fotocamera, controlla secondo per secondo ogni mossa del dipendente.

Il capo di Amazon, Jeff Bezos, è stato un pioniere nell’uso di questo occhio elettronico. Nei suoi magazzini i lavoratori, per lo più sottopagati, sono costantemente controllati, così che rispettino i tempi. E se non li rispettano, tanti saluti.

Ovvio che ospedali, banche, giganti della tecnologia e aziende varie abbiano subito dimostrato vivo interesse per il monitoraggio. Quindi i ficcanaso digitali stanno prendendo piede, e ormai è considerato normale che persino il tempo per andare in bagno sia cronometrato.

Un nuovo software dai nomi orwelliani, come “WorkSmart” e “Time Doctor”, è in grado di monitorare le sequenze di tasti usati dal dipendente sulla tastiera. Inoltre, una videocamera scatta ogni tot minuti una foto del volto del lavoratore, registrando tutto.

La conseguenza è che si viene pagati non tanto per le ore trascorse in ufficio quanto per il tempo effettivo trascorso alla tastiera e davanti alla videocamera. La produttività viene così incentivata e il bravo lavoratore è ovviamente quello che non si scolla da tastiera e videocamera.

Come dite? Che tutto questo è mortificante per la dignità della persona?

Suvvia, come siete antichi!

Il New York Times spiega che United Health Group (società “per l’assistenza sanitaria e il benessere, con la missione di aiutare le persone a vivere una vita più sana e contribuire a far funzionare meglio il sistema sanitario”) considera i suoi terapisti della tossicodipendenza off-line, ovvero “inattivi”, se stanno conversando de visu con i pazienti e non sono alla tastiera.

E che dire del giornalismo? Schiere di cronisti vi hanno detto che l’unico modo per svolgere questo mestiere è consumare le suole delle scarpe in cerca di notizie? Sbagliato. Secondo Fred Ryan, alto dirigente del Washington Post voluto dal proprietario Jeff Bezos, il segreto “è la presenza”. Davanti al computer, naturalmente. Ecco perché in redazione è stato installato un controllore elettronico che misura la produttività di ogni giornalista in base al fatto che il suddetto sia più o meno incollato al computer. Al che viene spontaneo pensare che due tipi come Bob Woodward e Carl Bernstein, al tempo del Watergate, sarebbero stati certamente licenziati visto che, anziché starsene in redazione, erano sempre in giro a cercare di far luce sullo scandalo.

Ma è il progresso, bellezza!

A.M.V.

Fonte: commondreams.org


blogducinaltum@gmail.com

I miei ultimi libri

Sei un lettore di Duc in altum? Ti piace questo blog? Pensi che sia utile? Se vuoi sostenerlo, puoi fare una donazione utilizzando questo IBAN:

IT64Z0200820500000400192457
BIC/SWIFT: UNCRITM1D09
Beneficiario: Aldo Maria Valli
Causale: donazione volontaria per blog Duc in altum

Grazie!