Dibattito / Sul come difendere la Chiesa in questa fase

Cari amici di Duc in altum, vi propongo le riflessioni che un “ministro ordinato di santa romana Chiesa” (così si firma) ha inviato al blog per rispondere all’articolo di Fabio Battiston Domande in margine alle dichiarazioni di monsignor Viganò. Dopo di che lo stesso Battiston replica. 

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Egregio Aldo Maria Valli,

dopo aver letto l’articolo di Fabio Battiston sento il dovere di condividere coi suoi lettori ma in particolare con l’autore alcune considerazioni circa alcune affermazioni contenute nello scritto.

Inizio col dire che le mie parole non vogliono essere un’apologia nei confronti di sua eccellenza Viganò in quanto egli non ha bisogno che io lo difenda. Lo scopo è quello di segnalare alcune cose che ritengo abbiano bisogno di rettifica. Procederò citando la frase e poi il mio commento.

L’autore scrive: “Vorrei invece fare una considerazione di carattere generale sullo stato in cui oggi versa la barca di Pietro, prendendo come esempio paradigmatico proprio il rapporto tra monsignor Viganò e l’attuale governo della Chiesa cattolica. Una Chiesa che egli combatte ma della quale, comunque, continua a far parte“.

Monsignor Viganò non combatte la Chiesa ma quella sua parte, cioè il pensare e agire di quei membri di essa, che sono palesemente e manifestamente contro il fondamento stesso della Chiesa. Se Viganò combattesse la Chiesa in quanto istituzione, la domanda del perché monsignore vi rimane sarebbe lecita.

Ma non è questo il caso. Viganò, come imitatore di Cristo, è sposo di questa Chiesa e non l’abbandonerà mai per divenire un adultero. Ma è dovere dello sposo difendere la sposa. Io reputo che Viganò stia difendendo la Chiesa e non stia combattendo contro di essa.

L’autore continua: “Mi sono quindi posto alcune domande, prescindendo dal merito delle specifiche posizioni: cosa sarebbe accaduto nei secoli passati di fronte ad un dissidio di tale portata tra un dignitario di Santa Madre Chiesa e la figura (magisteriale, dottrinale e pastorale) del pontefice in carica? Quali conseguenze ne sarebbero derivate rispetto, da un lato, alla volontà del ‘ribelle’ di rimanere o meno nell’alveo della chiesa madre e, dall’altro, ai provvedimenti che sarebbero scaturiti dal potere istituzionale in difesa delle proprie prerogative?

Io invece domando all’autore: “Che sarebbe successo nei secoli passati se il pontefice avesse detto quanto ha detto Bergoglio? Che sarebbe successo se la Chiesa dei secoli passati avesse visto il suo pontefice che deliberatamente non si inchina davanti al santissimo Sacramento? Che avrebbe pensato la Chiesa, ma anche il mondo, dei secoli passati se avesse visto il pontefice permettere adorazione e riti davanti a idoli? Cosa avrebbe detto al pontefice, la Chiesa dei secoli passati, se questo avesse difeso e protetto preti e vescovi sodomiti come Bergoglio ha fatto alla luce del sole (Ricca, Zanchetta, Grassi, e via dicendo)? E potrei continuare per ore.

Sinceramente: Viganò avrebbe dovuto tacere perché nei tempi passati era disdicevole criticare il papa? Certo: un papa che, se non altro, è non ambiguo, non avrebbe dovuto subire critiche. Ma nel nostro caso, andiamo! Non crede che tacere sia, alla fine, essere connivente con le ambiguità del pontefice?

L’autore scrive: “Vediamo un importante prelato che – senza giri di parole o tatticismi diplomatici – tratta il Papa regnante (aggettivo particolarmente sgradito dall’attuale inquilino di Santa Marta) alla stregua di un inviato di Satana“.

Ricordo all’autore una frase di Cristo che troviamo in Mt 5,37: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.”

Basterebbe questa frase gesuana per spiegare che ogni volta in cui usiamo un parlare non coerente stiamo usando qualcosa che viene dal maligno. Figuriamoci se il parlare che confonde, ambiguo, viene dal papa!

L’autore dice: “Mi chiedo: ma che Chiesa è mai questa? È accettabile che chi proferisce gravissime accuse al Papa ritenga assolutamente logico, direi quasi normale, continuare a professare la propria fede all’interno di un’istituzione considerata demoniaca? E che un Papa con i suoi cardinali dimostrino assoluta indifferenza verso chi attacca in questo modo il Vicario di Cristo in terra?

Ricordo all’autore che il papa non è Dio e non vedo quale sia lo scandalo nell’esporre gli errori del papa, specialmente se questi errori mandano in confusione e scandalo milioni di fedeli. Il papa stesso disse che si poteva criticare.

E, come affermato sopra, è assolutamente normale e direi doveroso per Viganò professare la propria fede e appartenenza alla Chiesa che, si badi, non ha mai detto essere demoniaca. Qui vanno distinte bene le parole. Viganò ha sempre denunciato la presenza di un governo occulto all’interno del Corpo Mistico. Questa governance è demoniaca (in quanto ha come scopo distruggere la santa istituzione di Cristo), non la Chiesa.

Infine, è ovvio che nessuno ribatta a Viganò, così come il papa non può ribattere ai dubia. Cosa potrebbero dire, ad esempio, a riguardo dei prelati e vescovi sodomiti protetti e promossi dal papa? O a riguardo del festino a base di coca e sesso gay, nei locali di un dicastero vaticano, in cui fu trovato addirittura un cardinale?

E il papa che può dire sui dubia? Ogni risposta lo metterebbe a rischio di eresia annullando il magistero precedente.

Mi fermo qui. Spero di aver dato elementi su cui riflettere circa la presa di posizione del vescovo Viganò.

Non nego, da ministro ordinato, che le critiche, gli scandali e le cadute della Chiesa danno dolore immenso e fanno avverare quell’avvertimento di Cristo sul regno diviso in sé stesso: prima o poi crolla.

Auspico di poter camminare di nuovo in e con una Chiesa santa, popolata da santi. Ma, nell’attesa di questa Chiesa, la via migliore è davvero il silenzio, sovente frutto di viltà e timore di perdere una posizione e un posto di lavoro?

Un ministro ordinato di santa romana Chiesa

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Voglio ringraziare il “ministro ordinato di santa romana Chiesa” per i puntuali e graditissimi elementi di riflessione dopo il mio articolo Domande in margine alle dichiarazioni di monsignor Viganò. Non credo di meritare una così dettagliata analisi sul mio scritto.

Quanto al merito delle argomentazioni, vorrei fare anzitutto una considerazione preliminare. Ho avuto anch’io il dubbio, dopo un’ulteriore rilettura del mio scritto, che la mia analisi avrebbe potuto essere interpretata come una critica all’operato di Viganò. Niente di più errato. Pensavo di aver sgombrato il campo dagli equivoci premettendo, all’inizio del mio contributo, la mia totale condivisione delle tesi che da anni egli porta avanti con grande coraggio. Evidentemente (colpa mia) non sono riuscito a trasmettere questo in modo compiuto.

Concordo con il “ministro ordinato” che avrei dovuto meglio spiegare “quale” Chiesa combatte monsignor Viganò. Ho commesso un imperdonabile errore su un elemento d’importanza capitale. Sarebbe stato certamente più corretto utilizzare il termine governance della Chiesa. Ritengo però sia tutt’altro che insostanziale l’argomento inerente il “se” restare in questa Chiesa quando – oggi – la stragrande maggioranza dei suoi ministri (vivo da laico la realtà ecclesiale da oltre sessant’anni e sto subendo da tempo le sue “metamorfosi”) e una parte non banale dei fedeli sembra condividere l’apostasia dirompente che inizia dai vertici stessi dell’istituzione. Chi, tra noi credenti tradizionalisti e nella presente situazione, potrebbe accusare la Fraternità sacerdotale San Pio X di aver a suo tempo commesso adulterio con la scelta scismatica di monsignor Lefebvre? Se oggi il vetus ordo ha una qualche probabilità di resistere al vento sincretistico dirompente che sta facendo a pezzi la liturgia lo dobbiamo proprio al suo coraggio e alla sua serena consapevolezza di non commettere adulterio. Oggi, a distanza di tanti anni, possiamo affermarlo con certezza: egli ha difeso la sua Sposa!

E veniamo ora ad altri due aspetti, in qualche modo correlati.  Il sì sì, no no che caratterizza le posizioni di Viganò e le mie perplessità (anche in ragione dei precedenti nella storia della Chiesa) sull’innegabile mancanza di dibattito, e anche di scontro, derivante da tali argomentazioni. Sul primo punto concordo pienamente col mio interlocutore: la comunicazione del monsignore, il suo linguaggio e il suo stile sono una grande ricchezza e non devono suscitare scandalo, anzi! Nel mio scritto io volevo solo sottolineare che, proprio la forza, la chiarezza e l’indiscutibile autorevolezza con cui queste tesi sono state sempre espresse dovevano produrre una reazione, un dibattito, un confronto acceso. A mio avviso non è affatto ovvio che il Papa o i suoi cardinali non replichino alle accuse che vengono loro mosse, specie se esse sono così gravi e circostanziate. Il Papa non è Dio, certo, ma il suo ruolo, il suo magistero e – vogliamo dirlo? – il suo essere Vicario di Cristo in Terra, debbono in qualche modo obbligarlo a dare risposte. Egli deve spiegare ai fedeli su quali basi dottrinali e scritturali ha ritenuto di poter concepire talune mostruosità che infarciscono Amoris laetitia, Fratelli tutti, Laudato si’ o Traditionis custodes! Deve chiarire perché l’adorazione della pachamama in chiese consacrate non rappresenta un momento di panteismo neopagano! La storia ci insegna come e quanto, nel passato, le accuse di eresia e apostasia hanno provocato, eccome, importanti conflitti e divisioni tra papato, clero e ordini monastici. Se le tesi di Viganò (che sono le mie/nostre tesi, la prego di credere) non provocano alcuno scossone, se il clero, come si dice da noi, fa spallucce, questo è un danno enorme per la Chiesa tutta. Essere in qualche modo soddisfatti di ciò perché “in fondo il Papa non è in grado di replicare poiché l’abbiamo messo con le spalle al muro” significa accettare una perversa strategia che i nostri avversari adottano per ignorare, e quindi seppellire, qualsiasi voce che voglia dare dignità e credibilità alla Chiesa. E in un mondo dove purtroppo la comunicazione massmediale (quasi totalmente asservita al bergoglismo) è un elemento più che strategico, l’oblio e il silenzio (in questo caso del papato) equivalgono a considerare “non esistenti” le nostre tesi. Dobbiamo invece continuare, sull’esempio di Viganò, a pressare da vicino questa governance, ad attaccarla senza tregua. Ecco perché io non voglio – cito le ultime righe del suo scritto del “ministro ordinato” – che nell’attesa di una Chiesa finalmente santa prevalga il silenzio, tutt’altro! Sono certo che l’opera di monsignor Viganò sia realmente ispirata dallo Spirito Santo e non smetterò di sostenerlo.

Grazie al mio interlocutore per i suoi utilissimi commenti e notazioni. E grazie a Valli per lo spazio che ci mette a disposizione e l’opportunità di crescita che Duc in altum offre a tutti noi.

Fabio Battiston

 

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