Dissidenza e astensione dal voto. Le ragioni di una scelta

Cari amici di Duc in altum, in una chiacchierata con Francesco Toscano in Visione Tv (la trovate qui e anche alla fine di questo articolo) sono tornato sul voto del 25 settembre e in particolare sulla mia decisione di astenermi.

A quanto ho detto parlando con Francesco aggiungo qualche considerazione.

La mia decisione (come vedete non mi nascondo, non lo faccio mai) si è innestata su un profondo senso di avversione verso le istituzioni e il sistema politico. Questo sentimento era già presente in me da tempo, ma dopo la vicenda Covid si è enormemente approfondito.

Ho già scritto altrove che, a fronte di questo sistema, mi sento per molti versi affine ai dissidenti dell’Europa dell’Est che si opponevano al regime sovietico. Il concetto di dissidenza è forse quello che esprime meglio la mia posizione. Una dissidenza che si gioca principalmente sul terreno della coscienza morale attraverso la disobbedienza civile e l’obiezione di coscienza.

Su questo sfondo si inserisce la riflessione sul voto.

Quando siamo chiamati a votare dovremmo chiederci: è il sistema politico che ha bisogno del mio voto o sono io che ho bisogno del sistema politico? Ovviamente, un bisogno esiste da entrambe le parti. Ma di certo i partiti hanno molto più bisogno del mio voto di quanto io abbia bisogno di loro. Io esisto anche senza i partiti. I partiti esistono solo se io concedo loro il mio voto. Il bisogno del mio voto è, per un partito, assoluto e decisivo. Non dovremmo mai dimenticare questa asimmetria che pone il potenziale elettore in una posizione di forza. Invece il sistema politico è riuscito a ribaltare la realtà e a creare una nuova asimmetria, tutta a favore dei partiti. Di qui il ricatto: se non voti sei un irresponsabile, addirittura un traditore della democrazia.

La prova che il sistema politico ha questo bisogno assoluto dei nostri voti sta negli appelli che la stampa legata ai partiti rivolge all’opinione pubblica alla vigilia del voto: “Il voto – proclamano – è la nostra arma, usiamola, siamo responsabili, non facciamo decidere gli altri!”.

Perché questi appelli? Per amore della democrazia? Certo che no. La stampa assoggettata ai partiti parla così in nome e per conto del potere. Un potere che senza il nostro consenso non esiste.

Questa semplice realtà è stata però oscurata e ribaltata. Di qui il ricatto, nel quale cascano anche tante persone buone: “Non permettere che siano gli altri a decidere per te!”. È così che ci spingono a votare comunque, magari turandoci il naso o per il cosiddetto “male minore”, e facendoci credere che se non votiamo non contiamo niente. Invece se non votiamo contiamo moltissimo, perché ricordiamo ai partiti che senza il nostro voto sono loro che non contano nulla.

Occorre dunque cambiare totalmente l’ottica alla quale ci hanno abituati. In genere pensiamo che debbano essere i partiti a dirci qual è il loro programma, dopo di che noi decidiamo. Invece dobbiamo essere noi elettori a dire che cosa vogliamo, dopo di che i partiti si attrezzano per rispondere. Ma il problema è che ci hanno tolto la parola (e in molti casi anche il pensiero). Il sistema ci ha cloroformizzati, il potere ha fagocitato il sistema della comunicazione. E noi non siamo più in grado di dire e far sapere che cosa vogliamo. Dobbiamo dunque riprenderci il ruolo che è nostro. Prima di tutto dentro le nostre coscienze e parallelamente usando i nuovi strumenti della comunicazione.

L’attuale meccanismo del voto è la dimostrazione pratica di come il sistema abbia operato a favore dei partiti e contro le persone e i loro reali interessi. I partiti fanno una serie di promesse, per lo più molto vaghe e generiche, e in cambio chiedono il mio voto. Ma che cosa c’è di democratico in tutto ciò? Devo essere io, elettore, ad avanzare richieste, e i partiti devono attrezzarsi per rispondere.

Il sistema elettorale in vigore in Italia dimostra come i partiti siano riusciti a operare a loro favore. Le liste bloccate conferiscono tutto il potere di scelta alle segreterie dei partiti. Si dice: ma il sistema delle preferenze favorisce la corruzione, il voto di scambio e la frammentazione. Uno spauracchio agitato dai partiti per poter spadroneggiare e non essere sottoposti a verifica. Quella che i partiti vogliono evitare è la valutazione da parte dell’elettore. Con la preferenza, io posso controllare l’operato del candidato al quale ho dato la mia fiducia e decidere se rinnovargliela o no. Ora invece tutto è deciso dentro le stanze dei partiti e l’elettore non ha alcuna possibilità di verifica. Un meccanismo che garantisce l’eletto, non l’elettore.

Circa i partiti antisistema, dico sinceramente (al solito, non mi nascondo) che non mi hanno mai dato l’idea di possedere una strategia. Pur nutrendo nei confronti di alcuni loro esponenti grande simpatia e anche ammirazione, ho visto troppa litigiosità e troppo protagonismo. La giustificazione è: “Non c’è stato il tempo per unirsi”. Una scusa che non sta in piedi, perché se davvero si pensa di vivere una situazione di emergenza, come gli antisistema continuano a dire, l’accordo si può fare in un giorno.  La verità, purtroppo, è che lo schieramento antisistema si è dimostrato afflitto dagli stessi mali del sistema: frammentazione e, da parte di alcuni, uno smodato egocentrismo. Per essere antisistema non basta proclamarlo. Ci vuole coerenza negli atteggiamenti. Occorre essere diversi in tutto, anche nello stile. Invece ci siamo trovati di fronte a tre o quattro gruppuscoli litigiosi, percorsi dalla prepotenza e mancanti del senso della realtà.

E adesso prendersela con gli astenuti non fa che aggravare la situazione. Perché gli astenuti vanno conquistati, non demonizzati e offesi.

Come sempre, metto a disposizione il blog per un confronto: blogducinaltum@gmail.com

Esprimete le vostre idee, anche opposte alle mie. Vi chiedo solo di rispettare la necessità di sintesi.

Qui sotto la mia chiacchierata con Francesco Toscano, durante la quale abbiamo toccato anche il tema dell’impegno politico dei cattolici.

Aldo Maria Valli: “L’astensionismo dei cattolici non è menefreghismo, ma necessità”

 

 

 

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