Lettera / Santi e idoli. Risposta all’Investigatore Biblico

Caro Valli,

leggo sul suo blog, in data 4 ottobre scorso, un intervento dell’Investigatore Biblico, che altre volte ha scritto avanzando obiezioni a vari passi della nuova traduzione Cei (2008) della Sacra Bibbia.

L’intervento si intitola: Il Santo diventa Idolo: un’altra traduzione folle nella Bibbia Cei 2008. In certi casi mi sono trovato d’accordo con quanto ha scritto Investigatore Biblico, in altri meno. Questa volta dissento fortemente dall’esegeta anonimo e dalle sue conclusioni e mi sento anche in dovere di rendere noti i motivi del mio disaccordo, affinché i lettori possano formarsi un’opinione quanto più corretta possibile. Infatti, a me sembra che l’autore, in questo caso, non faccia un buon servizio al comune fedele e lettore della Bibbia.

La questione si concentra sulla traduzione del v. 3 del Salmo 16 (15), che nella traduzione Cei precedente suonava: “Per i santi che sono sulla terra, uomini nobili, è tutto il mio amore”. L’attuale traduzione, invece, recita: “Agli idoli del paese, agli dèi potenti, andava tutto il mio favore”. L’autore, dopo aver cercato di mostrare la non correttezza della seconda traduzione, in base a criteri esclusivamente lessicali, si domanda se essa dipenda da incompetenza o se non nasconda, invece, “qualche velato quanto folle invito all’idolatria”. E conclude, con tono disperato: “Per favore, lettori, ditemi con onestà: cosa dobbiamo pensare?”. Rispondendo a questo appello, scrivo con semplicità cosa penso io in proposito.

Non entro nella questione specifica di quale sia la traduzione più fedele o più aderente all’originale ebraico e alle singole parole del v. 3 del Salmo 16 (15), su cui si sofferma lo studioso biblista, lasciando volentieri agli ebraisti di discutere e di portare argomenti pro o contro. In proposito, basti rammentare che alcuni esegeti hanno già proposto una traduzione simile o quasi identica a quella criticata dal nostro biblista. Quello che intendo fare è difendere la coerenza contestuale, la plausibilità e la piena ortodossia di questa traduzione, scagionandola da ogni sospetto di voler quasi instillare, in modo subliminale, un atteggiamento idolatrico. Il testo stesso della presente traduzione, aldilà delle intenzioni o della competenza dei traduttori, non presenta assolutamente nessun pericolo di essere interpretato come una specie di legittimazione, anche se velata, dell’idolatria.

Noto, di passaggio, che nei commentari al libro dei Salmi è abituale osservare che i primi quattro versetti del Salmo 16 (15) presentano diversi aspetti problematici, probabilmente a motivo di una trasmissione manoscritta complicata o di ritocchi redazionali non ben riusciti o non ben coordinati. Cosa che capita sovente nei testi biblici. Una delle oscurità riguarda proprio il v. 3. Da qui l’oggettiva difficoltà di tradurre e capire questo versetto, che non è per nulla così chiaro ed evidente nel suo significato, come invece vorrebbe Investigatore Biblico.

Detto questo, basta leggere per intero i primi versetti del salmo, per capire il senso coerente e teologicamente del tutto accettabile (senza pericolo di deviazioni idolatriche!) della nuova traduzione:

1Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.     

2Ho detto al Signore: «Il mio Signore sei tu,

solo in te è il mio bene».

3Agli idoli del paese,

agli dèi potenti andava tutto il mio favore.

4Moltiplicano le loro pene

quelli che corrono dietro a un dio straniero.

Io non spanderò le loro libagioni di sangue,

né pronuncerò con le mie labbra i loro nomi.

5Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:

nelle tue mani è la mia vita.

6Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi:

la mia eredità è stupenda.

Appare chiaro che i vv. 3-4, in questa nuova traduzione, sono non un elogio dell’idolatria, ma il suo contrario. Abbiamo una chiara presa di distanza dagli idoli (v. 3: “agli idoli del paese… andava tutto il mio favore”) e una dichiarazione dell’inganno e della tribolazione a cui essi conducono (v. 4: “Moltiplicano le loro pene quelli che corrono dietro a un dio straniero”). In sostanza, questi due versetti (come suonano nella traduzione ufficiale attuale) esprimono tre idee fondamentali:

  • il salmista confessa che nel passato è andato errando dietro agli idoli;
  • subito dopo, però, il medesimo salmista afferma che riporre fiducia negli dèi stranieri porta con sé solo dolori e pene;
  • infine, il salmista dichiara che “non berrà (più) le loro (degli dèi) libazioni di sangue e non pronuncerà i loro nomi”, cioè non renderà culto agli idoli.

Dopo aver così condannato ogni idolatria, il salmo continua, al v. 5, professando la fede nell’unico Dio e manifestando l’intenzione dell’orante di servire il Dio d’Israele: “Il Signore è mia parte di eredità e mio calice”.

Detto questo, si potrà anche discutere se questa traduzione sia più o meno felice e indovinata. L’importante è capire che essa non contiene nessuna ambiguità riguardo al rigetto dell’idolatria. Insomma, non bisogna dimenticare che il senso di una frase, come di un versetto biblico, va sempre colto leggendolo nel suo contesto. Lapalissiano, si dirà! Sì, ma è proprio questa regola elementare che l’Investigatore Biblico ha completamente dimenticato. Dunque, assolutamente niente di folle nella traduzione presa in esame!

Era questo che mi premeva dire, per correttezza nei confronti dei fedeli che leggono Duc in altum.

Lettera firmata

 

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