La vittoria di Lula e il sol dell’Avvenire

di Fabio Battiston

Già da diverso tempo Avvenire – organo ufficiale, ma sarebbe meglio dire velina, della Conferenza episcopale italiana – si va proponendo come la punta di lancia del pensiero catholically correct che contraddistingue lo scenario del cattolicesimo bergogliano di stampo progressista, ambientalista e multiculturale. I suoi editorialisti – sotto la brillante direzione dello zampolit Marco Tarquinio – fanno a gara per sostenere con determinazione le battaglie che da anni contraddistinguono il catto-socialcomunismo e il relativismo ormai imperanti nelle parrocchie, nelle associazioni, nei (pochi) seminari e nelle Università teologiche italiane: lotta senza quartiere al cattolicesimo “divisivo”; silenziamento di ogni voce dal tradizionalismo cattolico; esaltazione agiografica del migrazionismo incontrollato e delle ONG che lo alimentano; sostegno sempre più marcato ai “diritti civili” LGBTQ…XYZ++; oscuramento di qualsiasi concreta iniziativa di condanna dell’aborto come vero e proprio assassinio premeditato. Posizioni domenicalmente diffuse in ogni parrocchia della nostra Nazione.

In politica, la collocazione del quotidiano è ormai chiarissima, sempre più orientata a sinistra, talvolta con marcati accenti di radicalismo. Consiglio a tutti una quotidiana fruizione della versione on-line del foglio episcopale per avere una esatta percezione delle condizioni in cui, oggi, versa l’informazione cattolica nazionale. Non di rado, se non si conoscesse la testata, si sarebbe convinti di leggere Repubblica, Il Manifesto o il più recente Domani. Ed è proprio sul versante politico che Avvenire ha prodotto la sua ennesima performance. L’occasione l’ha data la vittoria di san Luiz Inácio Lula da Silva – per i devoti, Lula – alle elezioni politiche brasiliane. Dopo la mal celata disperazione della velina Cei per la vittoria della destra in Italia, l’esito del voto nel paese dell’Ordem e Progresso ha dato la possibilità al quotidiano di scatenare tutto il suo entusiasmo. Emblematico il titolo dell’articolo con il quale Lucia Capuzzi celebra da par suo il mistico evento: Senso globale della vittoria di Lula. Il ritorno del Gigante.

Prima di offrire i miei modesti commenti sul pezzo, vorrei suggerire a tutti una sua lettura integrale. Solo in questo modo, a mio parere, è possibile “assaporare” la sentita partecipazione e l’emozione dell’autrice nel descrivere un evento di cui vuol far percepire la portata epocale (e ovviamente positiva). Devo ammettere che la signora Capuzzi riesce molto bene nel suo intento.

L’incipit dell’articolo è già tutto un programma: «Penso che il Brasile possa giocare un ruolo straordinario nel Continente americano». A vent’anni e tre giorni da quando le ha pronunciate, poco dopo la prima vittoria, le parole di Luiz Inácio Lula da Silva non hanno perso attualità. La Capuzzi innesta poi la vittoria di Lula nel più ampio scenario (dal suo punto di vista, più che condivisibile) che vede ormai la gran parte del continente latino-americano governato dai “progressisti”. Si elencano nomi di ex-dittatorelli e presidenti di paesi (Perù, Messico, Argentina, Cile, eccetera) nei quali la democrazia è stata spesso calpestata non solo dalle giunte militari di estrema destra ma anche, e forse in misura maggiore, dai regimi vetero-marxisti succedutisi in questi ultimi decenni. Ma di questi ultimi la giornalista non fa menzione alcuna, anzi; viene sottolineata con interesse la figura del colombiano Gustavo Petro, capace di coniugare le istanze classiche per la ridistribuzione e la giustizia sociale con domande più innovative, quali la protezione dell’ambiente, l’integrazione delle minoranze e la parità di genere.

Ecco ora una delle “perle” più preziose di quest’articolo:

Se, al già composito schieramento sinistreggiante, si sommano Paesi più piccoli come Honduras e Bolivia e i “superstiti” Cuba, Nicaragua e Venezuela, il panorama si rivela in tutta la sua eterogeneità. Per molti esperti, dunque, come il sociologo Manuel Canels, è prematuro parlare di un ciclo progressista unitario. E per questo, il Brasile è determinante.

Tutto chiaro, pregiatissimi e cattolicissimi lettori di Avvenire? Grazie a Lula il Sud America governato da populisti, peronisti, dittatori in servizio permanente effettivo (Ortega, Maduro, Canel) si trasformerà in un grande ed eterogeneo laboratorio politico in cui trionferà una governance progressista unitaria a trazione carioca-paulista! Ma non è finita qui; le righe che seguono manifestano un certo qual sussulto orgasmico da parte dell’autrice. Ecco qua:

Il ritorno al vertice del «presidente più popolare della Terra», come l’ha definito Barack Obama, capace di farsi ascoltare dagli abitanti delle favelas come dai broker di Wall Street, può aiutare a portare la voce del Sud del mondo, sempre più flebile, nelle stanze del potere globale. La “fenice Lula” ne è consapevole, come conferma il discorso proferito nel giorno della terza vittoria: «Il mondo ha nostalgia del Brasile. Nostalgia di quel Brasile sovrano, che parlava da pari a pari con i Paesi più ricchi e potenti. E, al contempo, contribuiva allo sviluppo di quelli più poveri».

Poteva mancare il mitico Obama? Il quasi santo, almeno per molta parte della Chiesa cattolica di tutto il mondo? Sì, è proprio lui; quello che – insignito non si sa per quali meriti del premio Nobel per la Pace nell’ottobre del 2009, essendo da appena otto mesi presidente Usa – pensò bene di festeggiare l’evento, poco più di un anno dopo, lanciando un centinaio di missili da crociera sulla Libia!

In questa fantasmagorica frenesia di accenti ed esaltazioni non una parola sulle “disgrazie giudiziarie” in cui Lula è stato coinvolto dal 2016 al 2019 e che lo hanno visto condannato in due successivi gradi di giudizio (lo scandalo finanziario “Lava Jato” per il quale ha scontato 580 giorni di prigionia).

Evidentemente per la signora Capuzzi – a fronte dell’assoluzione finale pronunciata nel 2021, che scagiona il presidente da ogni accusa – questo argomento non deve essere minimamente trattato. Da garantista condivido quest’approccio; chissà se la nostra autrice ha tenuto lo stesso atteggiamento quando, ad esempio, nostri politici sono stati privati della possibilità di essere eletti – per quasi dieci anni – grazie a mostruosi effetti retroattivi di leggi “contra-personam” fatte apposta per impedirne l’attività politica. Ma questa è un’altra storia. Torniamo all’articolo e, in particolare, alla sua conclusione. Qui ogni residua maschera viene gettata alle ortiche. Leggiamo:

Il momento è cruciale. La destra, nelle sue varianti populiste e radicali, avanza in Europa. Polonia e Ungheria non sono più eccezioni. Grecia, Svezia e, infine, Italia sono governate da forze conservatrici e ultraconservatrici, in Spagna e Francia queste ultime incalzano gli esecutivi in carica. Anche a Washington si profila un drastico ridimensionamento dei democratici alle prossime elezioni di Midterm. La ricomparsa del Gigante potrebbe costituire un contrappeso al liberismo, di segno, però, non nazionalista.

Qui si è letteralmente toccato il fondo. Non contenta di aver trionfalmente celebrata l’elezione di Lula, la giornalista si lancia all’assalto del vero nemico di questo mondo e della cristianità: la destra populista e radicale. Da buona cattolica bergogliana, eccola attaccare Polonia e Ungheria che cercano, disperatamente e quasi in solitudine, di difendere la loro identità e i loro capisaldi civili e cristiani. Una Polonia che strenuamente protegge il valore della vita, ergendosi a unico baluardo antiabortista dell’Europa. Un’Ungheria – sottoposta ai vili e proditori ricatti finanziari di Bruxelles – accusata di difendere i propri valori contro l’orda mefitica dei diritti LGBTQ..XKT++. Ecco contro chi si scaglia il cattolico Avvenire! Il suo anatema coinvolge decine di milioni di cittadini europei che, con il loro voto, cercano una qualche via per uscire dal gorgo relativista, multiculturale, neo pagano e oligarchico imposto da quello scenario “progressista e plurale” tanto amato dalla signora Capuzzi e fortemente auspicato da Jorge Mario Bergoglio. Guai se in Spagna, ad esempio, dovesse prevalere Vox! Per i columnist di Avvenire il futuro radioso ce lo regala, invece, la nuova riforma della scuola secondaria spagnola. Un progetto fortemente voluto dall’”illuminato” governo spagnolo di Pedro Sanchez, europeista fino al midollo, composto dalla triade socialisti, socialdemocratici e sinistra unita. Artefice di quest’operazione il ministro dell’educazione Pilar Alegría che ha preparato per l’infanzia e la gioventù iberica un mostruoso scenario educativo in cui le parole d’ordine sono: abolizione del merito; educazione all’ambientalismo, all’inclusione ed alle teorie transgender; abolizione dell’insegnamento della storia e della filosofia. Una congerie di morte!

In conclusione penso che noi credenti “diversi” dovremmo dare la massima visibilità ad articoli di questa fatta per dimostrare a quale “equivoco” livello sia ormai giunto il pensiero unico catholically correct. Personalmente considero gli operatori di quest’informazione quanto di più distante possa esistere dal mio modo di essere, pensare e credere. Mi rendo conto di parlare di altri cattolici come me ed è questo il dramma. La loro fede non sarà mai la mia e nei loro templi profanati dalla Pachamama amazzonica non metterò mai più piede. Rappresentano solo un nemico da combattere e da sconfiggere.

 

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