Crocifisso del Perdono: il sacramentale ritrovato

di Alessandro Staderini Busà

Siamo in guerra. Ma qui non s’intende la guerra combattuta in Ucraina. Piuttosto, quella che infuria sopra di noi e che non si ha modo di vedere coi nostri occhi di uomini. È lo scontro senza tempo fra gli angeli fedeli e gli angeli ribelli. “Benedetto il Signore, mia roccia, che addestra le mie mani alla guerra, le mie dita alla battaglia” recita il Salmo. E se l’ennesimo conflitto terreno può ancora lasciarci la scelta di guardar altrove da dove cadono le bombe, quest’altro chiede adesione obbligata per l’uno o l’altro schieramento, per l’una o l’altra causa, in forma più assoluta che portar indosso elmetto e fucile.

Raccontano che un giorno Padre Pio, congedandosi dal frate che lo aiutava a coricarsi, gli chiese: “Prima di andare, pigliami l’arma”. Il confratello, sorpreso, non sapeva di che arma potesse trattarsi. “Quella nella mia tonaca”, replicò l’anziano frate come cosa piuttosto ovvia. Al dunque, rivoltate le tasche dell’abito, l’altro non poté che dire: “Padre, qui non c’è nessuna arma… ma solo la corona del rosario”. E il Santo: “Non è forse un’arma, quella? La vera arma? Guaglio’, se non spari tu, spara prima quell’altro…”.

Il frate di Pietrelcina non esagerava, avendo, a differenza nostra, chiara davanti a sé l’entità delle forze in atto: “I diavoli sono tanti che se potessero assumere il corpo piccolo quanto un granello di sabbia oscurerebbero il sole” soleva dire. Cento anni prima, prefigurando il decisivo tempo storico delle nostre vite, la beata Emmerick aveva avuto in visione che “durante la battaglia, la Madonna si trovava in piedi su una collina, ed indossava un’armatura”. Né Pio X, a inizi del Novecento, manifestava velleità di revival imperiali affermando “datemi un esercito che recita il rosario e conquisterò il mondo”, ma semmai restituiva a questa pratica l’aspetto virile che i secoli avevano disperso.

Un altro Pontefice, un altro Santo, un altro Pio, aveva inteso il rosario in qualità di strumento di guerra spirituale, sostegno ai conflitti di questa terra. Era il Pio V che, nel 1571, ne aveva fatto consegnar uno a ogni soldato della flotta cristiana, certo – a ragione – che recitarlo prima della resa dei conti in quel di Lepanto avrebbe fatto meritare alla Cristianità la respinta della minacciosa Mezzaluna.

Il Rosario ha origine dai fiori che, in età medievale, venivano intrecciati a formare quelle ghirlande poste sulle statue della Vergine, simbolo delle invocazioni a lei destinate. La pratica di pregare contando i nodi di una cordicella si era già diffusa ai tempi dei padri del deserto e continuò nei secoli successivi, pur prevalentemente in seno agli ordini monastici. Allora la corona non era come oggi la conosciamo. I Pater noster sostituivano le Ave Maria, perché fu a partire dall’anno Mille che la preghiera dedicata alla Madonna si diffuse in Europa, sebbene soltanto nella parte della “salutatio angelica” ricavata dai Vangeli. Bisognerà attendere san Domenico di Guzmán (XIII secolo) prima, e il Concilio di Trento (XVI secolo) poi, affinché il rosario acquisti forma definitiva.

Riferisce il beato Alano della Rupe che, mentre san Domenico era duramente messo alla prova in terra occitana come predicatore al tempo dell’eresia albigese, la Madonna gli apparve consegnandogli una ghirlanda di quindici gigli e centocinquanta rose. Da qui sarebbero derivati i Misteri e il numero complessivo di preghiere da rivolgerle. “Prendi e recita il mio rosario: vedrai grandi meraviglie” gli disse. “Tutto ciò che mi chiederai nel rosario, otterrai”. Di questa promessa, la Vergine non tardò a dare dimostrazione. Il Santo si trovava a predicare sulla piazza della cattedrale di Tolosa, interamente albigese, quando, all’atto di mostrare il dono che Maria aveva fatto, il cielo fu scosso da una tempesta e la terra da un terremoto. Allora la statua della Vergine davanti alla cattedrale fu vista sollevare le braccia, e gli albigesi, presi da terrore, iniziarono a recitare il rosario assieme a san Domenico. La furia degli elementi si placò, la statua abbassò di nuovo le braccia e la città, infine, si riconsegnò alla fede cattolica.

Con la diffusione del mercato globale di compra-vendita su internet, da qualche anno è possibile acquistare rosari di qualsiasi fattura e di qualsiasi provenienza. Da quelli in legno di ulivo di Gerusalemme a quelli di madreperla, da quelli di plastica colorata a quelli d’oro e d’argento, da quelli fintamente cattolici perché di celata matrice massonica, fino a quelli in corda o a quelli d’epoca. È proprio prendendo a modello le corone passate attraverso il fuoco delle trincee che oggi torna accessibile la tipologia di rosario che più ne rispecchia il carattere di “arma”, per dirla come Padre Pio. Il rosario di guerra.

Tutto è nato per iniziativa di un sacerdote della diocesi di Madison, in Wisconsin (Usa), padre Richard Heilman, il quale, osservando come fra i parrocchiani uomini questa pratica fosse spesso svilita a prerogativa di pie donnette, pescò dai meandri della Storia qualcosa che con le donnette non aveva nulla a che vedere. Si procurò online alcuni consunti esemplari del cosiddetto “soldier’s rosary”, in gergo anche chiamato “combat rosary”. Non lesinò né tempo né denaro e ne fece realizzare delle copie, che ottenne perfettamente gemelle agli originali dopo un discreto numero di tentativi. Le mise in vendita sul sito Roman Catholic Gear, e non trascurò di ricordare come si trattasse di repliche di quel rosario datato 1916 – identico materiale, crociera, crocifisso – che i soldati a stelle e strisce ricevevano, su richiesta, dal Governo, prima di partire per i fronti della Prima Guerra Mondiale.

“Ho visto i demoni e ho sentito i loro bisbigli, le loro blasfemie, le loro denigrazioni. Ho sentito la voce raccapricciante di Satana sfidare Dio, dicendo che poteva distruggere la Chiesa e portare tutto il mondo all’inferno…” scriveva Leone XIII. E certamente il sacerdote americano doveva tenere tutto quanto ciò a mente quando, nel 2016, spedì a Roma un pacco di rosari da combattimento per l’intero corpo della Guardia Pontificia, estremo baluardo, più o meno simbolico, a tutela del trono di Pietro. Uno di questi stava in mano al colonnello Christoph Graf, comandante degli svizzeri, durante il discorso inaugurale con cui venivano inquadrate le nuove reclute: “La nostra vita, le nostre opere e le nostre azioni sono nelle mani di Dio. Questo però non significa che possiamo rinunciare alle armi e alle esercitazioni. Dio ci usa come strumenti per scongiurare il male, in alcune situazioni”.

Costruito con una robusta catenella a palline di ottone – la stessa che impiegano le lampade di antiquariato – il rosario da combattimento dardeggiò nei telegiornali di tutto il globo. È così che, pendendo da quella corona color canna di fucile come l’armatura dell’alto ufficiale, dopo un secolo d’oblio, tornò visibile – meraviglia del “villaggio globale” – il Crocifisso del Perdono.

Ma cos’è il Crocifisso del Perdono? A chiedere in giro, i laici quanto i sacerdoti lo scambierebbero per un qualsiasi crocifisso. Cosa che non è, trattandosi di un “sacramentale”.

Dunque cosa sono, innanzitutto, i sacramentali? Il Catechismo li dice “segni sacri per mezzo dei quali, con una certa imitazione dei sacramenti, sono significati e, per impetrazione della Chiesa, vengono ottenuti effetti soprattutto spirituali. Per mezzo di essi gli uomini vengono disposti a ricevere l’effetto principale dei sacramenti e vengono santificate le varie circostanze della vita”.

Paragonabile, per il valore che incorpora, alla Medaglia miracolosa o a quella di san Benedetto, l’estetica del Crocifisso del Perdono è ben lontana dal gusto minimale contemporaneo, cosa che già sarebbe un pregio, e che comunque non può giustificarne la scomparsa per così lungo tempo. Fu portato al Congresso mariano di Roma nel 1904 dall’allora arcivescovo di Lione, il cardinale Pierre-Hector Coullié, e presentato a Sua Santità dal cardinal Vivès, teologo e presidente del Congresso.

“Ai fedeli che divotamente baciano questo Crocifisso e ne ottengono le preziose indulgenze, raccomandiamo di tenere a mente le seguenti intenzioni: testimoniare l’amore per Nostro Signore e per la Beata Vergine; gratitudine nei confronti del Santo Padre, il Papa, per pregare per la remissione dei propri peccati; la liberazione delle Anime del Purgatorio; il ritorno delle Nazioni alla Fede; il perdono tra i Cristiani; la riconciliazione tra i membri della Chiesa Cattolica”. Sul fronte ha inciso, sopra il capo del Redentore, il Titulus Crucis: IESUS NAZARENUS REX IUDAEORUM, dettaglio che manca in qualsiasi altro crocifisso di ridotte dimensioni. Sul rovescio, invece, sta l’immagine del Sacro Cuore. La accompagnano due iscrizioni. Nella prima sono le parole nell’agonia del Calvario: “PADRE, PERDONA LORO”. Nell’altra, quelle che Gesù rivelò a Santa Margherita Alacoque: “ECCO QUEL CUORE CHE HA TANTO AMATO GLI UOMINI”. Nella parte inferiore, poi, è riportata la lettera M alla quale si sovrappone la A, formando il monogramma di “Auspice Maria”, ovvero “sotto la protezione di Maria”.

Vivamente apprezzato dalle schiere dei fedeli, sparì dalla circolazione a partire dal secondo dopoguerra, più inspiegabilmente di quanto accadde per la preghiera a san Michele a conclusione della Messa. Ormai, da diversi siti internet e non più solo da quello di padre Heilman, è possibile procurarsene uno. Su quello dell’associazione Apostolato del Crocifisso del Perdono o della ditta artigianale Manente Rosari, ad esempio, lo si può anche acquistare separatamente dalla corona, da portare al collo. E non vi sono dubbi che, una volta conosciute le indulgenze che garantisce, lo si terrà ben stretto con sé. Come infatti recita il documento pontificio: “Chiunque porti sulla propria persona il Crocifisso del Perdono, può ottenere un’indulgenza… Qualora si baci il Crocifisso con divozione, si ottiene un’indulgenza… Chiunque reciti una di queste invocazioni innanzi a questo Crocifisso può ottenere un’indulgenza ogni volta: Padre nostro, che sei nei Cieli, rimetti a noi i nostri debiti così come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Supplico la Beata Vergine Maria di pregare il Signore nostro Dio per me… Chiunque al momento della morte, fortificato dai Sacramenti della Chiesa, o con cuore contrito, nella supposizione dell’impossibilità di riceverli, bacerà questo Crocifisso e chiederà perdono a Dio dei propri peccati, e perdonerà il suo prossimo, guadagnerà un’Indulgenza Plenaria”.

E colpisce il tempismo perfetto con cui san Pio X seppe elargire questo dono nell’anno 1905, all’alba di un’ecatombe mondiale che nessuno statista poteva preannunciare, di cui quest’oggi, 4 novembre, ricorre per l’Italia la fine delle ostilità. Chissà quanti, di ogni schieramento, tenendo il Crocifisso del Perdono quale pezzo più caro del proprio armamento, chiusero gli occhi tra i fumi del campo di battaglia, riaprendoli nel fulgore della vittoria ultima conquistata.

 

 

 

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