Becciu perde causa civile contro Perlasca

Rigettata la richiesta di danni nei confronti del suo grande accusatore. L’avvocato Sammarco: “Il cardinale condannato anche per abuso dello strumento processuale: dovrà corrispondere a Perlasca un giusto importo risarcitorio”

Adnkronos

Il cardinale Angelo Becciu ha perso la causa civile intentata contro il suo principale accusatore, mons. Alberto Perlasca, testimone chiave nel processo contro l’ex numero due della Segreteria di Stato in corso in Vaticano, ed è stato anche condannato a risarcire le spese per lite temeraria. La decisione è del giudice della II Sezione civile del Tribunale di Como Lorenzo Azzi, che nei mesi scorsi aveva già respinto la richiesta dell’ex Sostituto tesa a ottenere un sequestro conservativo di 500 mila euro nei confronti dello stesso Perlasca e della sua amica Genoveffa Ciferri.

Il giudice dunque ha rigettato la causa, condannando il cardinale a pagare non solo le spese legali ma anche novemila euro di spese per lite temeraria. “L’assoluta evanescenza – e non mera infondatezza – che ammanta la pretesa rivolta nei confronti del convenuto Perlasca – scrive il giudice nella sentenza – giustifica la condanna, in favore di questa sola parte, ai sensi dell’art. 96, III comma, c.p.c., per abuso dello strumento processuale”.

“Sono soddisfatto perché il Tribunale di Como ha riconosciuto la temerarietà e l’assoluta evanescenza delle azioni giudiziarie attivate dal cardinale Becciu nei confronti di monsignor Perlasca, verso il quale aveva richiesto dapprima un sequestro di tutti i suoi beni e poi un maxi-risarcimento danni per asserite condotte persecutorie” commenta all’Adnkronos l’avvocato Pieremilio Sammarco. “Più di ogni commento, vale quanto deciso dal giudice nella sentenza che, nel dichiarare la soccombenza totale del cardinale Becciu, lo ha anche condannato per abuso dello strumento processuale e dovrà quindi corrispondere al monsignor Perlasca un giusto importo risarcitorio”.

Becciu aveva chiesto la condanna al risarcimento, in via solidale, di Perlasca e Ciferri, “individuando l’illecito penale nel delitto di atti persecutori” o, “in subordine, nella contravvenzione di molestia o disturbo alle persone”. Secondo quanto sostenuto a fondamento della pretesa di un risarcimento, “da destinare alle opere di carità”, dietro al “percorso di revisione critica” di Perlasca, principale accusatore del cardinale, vi sarebbe la figura di Genoveffa Ciferri che, per riabilitare la reputazione dell’amico, lo avrebbe indotto a indirizzare le indagini degli inquirenti su Becciu. La Ciferri – secondo quanto sostenuto dal cardinale – avrebbe inoltre posto direttamente in essere un’azione persecutoria nei confronti di Becciu e dei suoi familiari.

“L’attore si è prodigato nella descrizione di una ipotetica ‘azione di vendetta tesa a pregiudicare e danneggiare la persona dell’attore nel tentativo di riabilitare l’oramai compromessa posizione di monsignor Alberto Perlasca’, posta in essere dai convenuti in concorso, ragion per cui delle condotte realizzate da Ciferri dovrebbe essere chiamato a rispondere anche Perlasca”, scrive il giudice, ma la tesi “è rimasta, in questa sede, un’arbitraria illazione, atteso che l’unico elemento documentale agli atti, peraltro prodotto dallo stesso attore, muove in senso contrario, testimoniando una presa di distanza del convenuto dalla convenuta”, e “nella stessa prospettazione attorea Ciferri non si è mai presentata a Becciu quale persona che stesse agendo su incarico o, comunque, sollecitazione del convenuto”.

Sul fronte degli atti persecutori, “l’evento alternativo di danno (perdurante e grave stato di ansia o di paura o fondato timore per l’incolumità o, infine, alterazione delle abitudini di vita) è rimasto completamente indimostrato in giudizio e, anzi, vi sono persino due elementi, forniti dall’attore, che muovono in senso opposto”, scrive il giudice, che poi, per quanto riguarda le molestie, anche telefoniche, le esclude sostenendo che “il destinatario aveva un agevole mezzo a disposizione per sottrarvisi senza dover disattivare l’apparecchio telefonico: il “blocco” del contatto, con riguardo ai messaggi (cfr. doc. 13), e l’avviso al centralino del dicastero, con riguardo alle telefonate”.

Fonte: adnkronos.com

 

 

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