Sacri affari / Con l’acquisto e la vendita del palazzo di Londra il Vaticano ha perso più di cento milioni di euro

Con l’acquisto e la successiva vendita del Palazzo di Sloane Avenue 60, a Londra, la Santa Sede ha perso in tutto 89 milioni di sterline. È quanto emerso per la prima volta nel processo in corso in Vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato.

“Nel dicembre 2018 dissi che se l’immobile era stato acquisito per 275 milioni non era stato fatto un buon affare” ha riferito in aula il testimone d’accusa Luciano Capaldo, esperto di valutazioni immobiliari. “Anzi fu un pessimo affare, considerando che a fine giugno di quest’anno è stato rivenduto (al fondo americano Bain Capital, ndr) per 186 milioni di sterline”.

Capaldo, cittadino britannico, ingegnere ed esperto di valutazioni immobiliari, era stato chiamato il 16 dicembre 2018 dalla Segreteria di Stato che voleva da lui consigli sulle migliori opportunità per uscire dall’impasse del palazzo londinese dopo l’acquisto attraverso il fondo Gutt di Gianluigi Torzi.

“C’era stata la deliberata volontà da parte della Segreteria di Stato di riacquistare l’immobile, poi trasferito alla società lussemburghese in cui Torzi aveva mille azioni con diritto di voto e la Segreteria di Stato ben 30 mila ma senza diritto di voto” ha ricordato. “Spiegai che se non hai diritto di voto, in assemblea non hai alcun potere decisionale, pur avendo la maggioranza numerica delle azioni”.

Nell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, in particolare da parte di Fabrizio Tirabassi, si mostrò molta sorpresa. C’era anche preoccupazione sulla scadenza del finanziamento. “Il sostituto monsignor Peña Parra – ha detto ancora Capaldo – aveva timore che questo asset venisse venduto e che a lui rimanesse il debito”. Torzi, infatti, aveva il potere di farlo.

Si è ricordato in aula come Torzi, per cedere alla Segreteria di Stato le mille golden share, chiese dapprima 20 milioni e poi 15 milioni di euro, “valutando in cinque milioni complessivi la gestione e la mancata gestione”. Successivamente, da metà maggio 2019, Capaldo fu nominato nominee director della società di Jersey che aveva la gestione dell’immobile, attraverso la catena di società 60SA.

“Non ho fatturato un centesimo alla Segreteria di Stato dal 16 dicembre a quando sono stato nominato direttore della 60SA”, ha tra l’altro affermato. L’esame di Capaldo, venuto appositamente da Londra, proseguirà da parte delle difese in una data ancora da destinarsi. Oggi nella trentasettesima udienza del processo, comincerà l’esame del testimone-chiave, monsignor Alberto Perlasca, ex capo dell’Ufficio amministrativo.

Al termine dell’udienza di ieri il presidente Giuseppe Pignatone ha letto una lunga ordinanza in cui ha respinto quasi integralmente le eccezioni di nullità dei verbali resi in istruttoria da Perlasca e la sua utilizzabilità come testimone (il testimone era stato dapprima indagato e poi la sua posizione archiviata): inutilizzabile solo in parte il suo interrogatorio del 31 agosto 2020.

Una curiosità: nel motivare le sue decisioni di rigettare le eccezioni di nullità di interrogatori in cui sarebbe stata necessaria la presenza di un legale, Pignatone ha fatto riferimento, in via giurisprudenziale, all’utilizzo che fu dichiarato legittimo di certe dichiarazioni rese durante gli anni di piombo da esponenti delle Brigate Rosse.

Fonte: Ansa

 

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