Kwasniewski / Il mio viaggio dall’ultramontanismo al cattolicesimo. 1

Il mio viaggio dall’ultramontanismo al cattolicesimo. Si intitola così il testo di Peter Kwasniewski apparso originariamente in lingua inglese come una serie in tre parti nell’edizione cartacea di Catholic Family News (numeri di novembre 2020 e gennaio 2021). Il saggio, poi pubblicato integralmente nell’edizione digitale della stessa rivista, è l’estensione di una conferenza tenuta da Kwasniewski il 20 settembre 2020 presso la chiesa cattolica di Santo Stefano d’Ungheria ad Allentown, in Pennsylvania, un apostolato della Fraternità Sacerdotale San Pietro.

Kwasniewski. che ringrazio, mi inviato la traduzione italiana del testo. Duc in altum ve la propone in tre puntate. Ecco la prima.

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di Peter Kwasniewski

Molti cattolici avranno sentito la parola “ultramontanismo”. Ma cosa significa esattamente? Da dove proviene? E perché il fenomeno che descrive potrebbe, almeno oggi, essere dannoso? L’Enciclopedia Britannica ci offre una definizione breve e pratica del termine:

«L’ultramontanisimo, dal latino medievale ultramontanus, “oltre le montagne”, nel cattolicesimo romano indica una forte enfasi sull’autorità papale e sulla centralizzazione della Chiesa. La parola identificava quei membri della chiesa dell’Europa settentrionale che guardavano regolarmente a sud oltre le Alpi (cioè ai papi di Roma) per avere una guida. Durante il periodo di lotta all’interno della Chiesa per l’estensione delle prerogative pontificie – iniziato soprattutto nel XV secolo con il movimento conciliare e proseguito nei secoli successivi con la crescita di un forte nazionalismo e liberalismo teologico – gli ultramontanisti furono osteggiati da quelli, come i Gallicani, che volevano limitare il potere pontificio. Il Partito Ultramontano trionfò nel 1870 al Concilio Vaticano I, quando il dogma dell’infallibilità papale fu definito come materia di fede per il cattolicesimo romano».

La forza crescente del papato

Dobbiamo notare, innanzitutto, che il desiderio iniziale dei nordeuropei di guardare al papato romano per avere sostegno e guida si è manifestato proprio nel periodo in cui si diffondeva una falsa teoria del conciliarismo che tentava di fare di un concilio ecumenico – un sinodo generale di vescovi – l’autorità ultima nella Chiesa, cosa chiaramente contraria all’istituzione divina del primato papale nell’apostolo Pietro e nei suoi successori.

Questa adesione al Papa si rafforza nel periodo della rivolta protestante, per ovvie ragioni: i protestanti rifiutarono con sempre maggiore radicalità l’esistenza stessa di un’unica Chiesa di Cristo con un’unica forma di governo, il che portò inevitabilmente alla frammentazione e contraddizione dottrinale. I papi riformatori della Controriforma emersero come i salvatori della cristianità, o almeno di quelle sue parti che essi potevano salvare in Europa, così come delle immense aggiunte alla Chiesa che furono fatte attraverso l’esplorazione e la conquista europea.

Lo spirito del protestantesimo diede vita, nei secoli XVII e XVIII, al razionalismo e al liberalismo del cosiddetto Illuminismo. Anche in questo periodo il papato fungeva da visibile simbolo di continuità con l’unica fede della Chiesa antica e medievale.

Nello spirito rivoluzionario della fine del XVIII e XIX secolo, con il crescere di un patriottismo disordinato e di un nazionalismo malato, il papato romano, anche se si è progressivamente indebolito in termini politici, è diventato quasi l’unico ufficio al mondo il cui incarico era, e potrebbe ancora essere considerato, transnazionale e universale: un rappresentante di Cristo presso le nazioni e un maestro di tutta l’umanità.

Infine, quando il liberalismo protestante contagiò la Chiesa cattolica nel XIX secolo, divenendo modernismo, ancora una volta il Papa si mostrò un difensore della semplicità, dell’integrità e della totalità della fede cattolica. Questo ruolo unico sulla scena mondiale rendeva inevitabile che il Papa fosse compreso e visto come l’incarnazione stessa della fede cattolica, la misura di ciò che significa essere cattolico.

Il Papa come punto di aggregazione per i cattolici

In termini pratici, provate a pensare a quale fosse la situazione in Inghilterra o in Francia nel XIX secolo. L’Inghilterra era dominata sia dalla Chiesa di Stato, o anglicana, sia da politici moderati che erano comunque fondamentalmente “liberali” nell’interpretazione cattolica del termine. La Francia stava ancora peggio: il suo governo era dominato da massoni anticlericali che cercavano continuamente pretesti per opporsi alla rediviva Chiesa post-rivoluzionaria e che alla fine avrebbero prevalso nella loro campagna contro ogni tipo di unione tra Chiesa e Stato. La Francia era inoltre intrisa di abitudini secolari di giansenismo e gallicanesimo, che diedero origine a una mentalità razionalistica e antiromana.

In Inghilterra e in Francia, i cattolici più devoti e zelanti tendevano quasi inevitabilmente a esaltare l’ufficio del Papa, il “Padre dei cristiani”, visto come contrappeso agli specifici interessi regionali o nazionali, come il comune punto di incontro in materia di dottrina e di disciplina. L’immaginario militare è sempre stato prediletto dai cristiani, sin dalle lettere di San Paolo e dalla Regola di San Benedetto. Il Papa poteva essere visto come il generale dell’esercito del Signore, che radunava truppe ai quattro angoli della terra per impegnarsi in battaglia contro le forze filosofiche e politiche della modernità.

Infatti, uno dei più grandi ultramontanisti del XIX secolo, appassionato scrittore di pamphlet per la causa di Roma e della Romanitas, non fu altro che dom Prosper Guéranger, l’amato autore de L’anno liturgico, il cui libro De la monarchie pontificale (“Sulla monarchia papale”) pubblicato nel 1870 fu uno delle più importanti difese della dottrina dell’infallibilità papale definita nel Concilio Vaticano I, i cui lavori furono sospesi il 20 ottobre di quell’anno (abbiamo appena celebrato il suo 150° anniversario).

Tre segni distintivi del cattolico

Tornerò più avanti nel mio intervento sull’effettivo insegnamento del Concilio Vaticano I. Per ora, vorrei proporre che l’ultramontanismo sia stata la mentalità di base della maggior parte dei cattolici nei tempi moderni (che hanno avuto inizio diversi secoli fa). Agli occhi dell’opinione pubblica, ciò che rende un uomo cattolico è triplice: primo, crede nell’Eucaristia come vero Corpo di Cristo; secondo, venera la Beata Vergine Maria; terzo, accetta il Papa come capo della Chiesa e segue il suo insegnamento. Se pensiamo al privilegio della sua divina Maternità nell’Incarnazione come al fondamento della venerazione di Maria, possiamo vedere il profondo legame tra queste tre verità (a prima vista) disparate. In un’opera pubblicata nel 1958, all’imbrunire del pontificato di Pio XII, il grande teologo cardinale Charles Journet mette magnificamente in evidenza questo collegamento quando afferma, a proposito del conferimento della giurisdizione universale a Pietro e ai suoi successori:

«Che unione di attributi apparentemente contraddittori! Che difficile affermazione è questa, che chiede di essere accolta nei nostri cuori! Quel Pietro, che è un uomo singolo e può abitare in un solo luogo, è stato eletto a capo della Chiesa, che è divina e universale! Tuttavia, nel cristianesimo, questa affermazione non è vista come qualcosa di strano o estraneo alla fede. In un certo senso, potremmo dire che suona alle nostre orecchie come un messaggio familiare e atteso. Formula un grande mistero; ma questo mistero non è affatto nuovo.

In una delle sue applicazioni, è la presenza di un mistero unico, mozzafiato, in cui consiste il cristianesimo: Dio ha voluto che le cose divine fossero avvolte nella debolezza, che le cose infinite fossero tenute ferme nello spazio e nel tempo. In Lc 1,26-27, al momento dell’Incarnazione, vediamo che tutti i dettagli geografici e genealogici sono stati ammassati insieme per annunciarci la discesa dell’Eternità in un momento, l’Immensità in un luogo, la Libertà spirituale nei vincoli della materia. Lo stesso Creatore dell’intero universo nasce come piccolo bambino sul nostro pianeta e poi dichiara che la sua carne è cibo e il suo sangue bevanda: queste parole sono state pronunciate per unire ma, sembrando a molti dure e intollerabili, sono diventate divisive. Infine ci propone un mistero, senza dubbio inferiore ma analogo, scegliendo (non si può dire il suo successore, sarebbe blasfemo) il suo vicario, cioè qualcuno che si faccia portavoce autorizzato del suo insegnamento e depositario di un potere fino ad ora sconosciuto: un uomo debole, la cui miseria Cristo conosceva bene e di cui aveva predetto pubblicamente i rinnegamenti.

L’Incarnazione, l’Eucaristia, il primato di Pietro: sono queste le manifestazioni dirette e le fasi, per così dire, di una ed una sola rivelazione. C’è un giudizio mondano che rifiuta immediatamente questa rivelazione. E c’è un altro giudizio che comincia ad essere cristiano, comincia a credere nell’Incarnazione ma poi, poco più avanti, si sconcerta davanti al mistero dell’Eucaristia o al mistero del primato di Pietro e non fa più progressi. Sembra dimenticare che Dio è Dio, che passa attraverso la materia senza essere sminuito, che, al contrario, si serve della materia e la trasfigura»[1].

Si potrebbe dire così: all’interno della concezione stessa del cristianesimo, nella mente del suo autore, l’Incarnazione era destinata ad essere perpetuata nell’Eucaristia, e l’Eucaristia doveva essere segno e causa dell’unità della Chiesa retta da Pietro. È impossibile essere cattolici, anzi impossibile essere pienamente cristiani, senza credere nell’unica visitazione del mondo da parte del Figlio di Dio fatto uomo, senza onorare la singolare donna che Egli ha scelto come sua Madre, senza accettare la sua presenza permanente in mezzo a noi come nostro Emmanuele, o Dio-con-noi, nel Santissimo Sacramento, e infine, senza rimanere soggetti al suo Vicario o rappresentante sulla terra. C’è una logica stretta negli elementi fondamentali del cattolicesimo: o stanno insieme o insieme cadono. I movimenti di riforma cristiana che iniziarono con il rifiuto del papato finirono, col tempo, per respingere la Presenza Reale, la Nascita Verginale e la stessa Incarnazione. Sono tutte forme diverse di uno stesso “scandalo del particolare”: l’ingresso di Dio nel nostro mondo materiale per cercare e salvare ciò che era perduto.

La tentazione di esagerare la verità

Date queste verità generali, che già di per sé hanno molto da dire, non sorprende che i cattolici sviluppino un ultramontanismo “ipertrofico”, una sorta di eccessiva adesione alla persona e alla politica del Papa per cui, semplicisticamente, si prende tutto ciò che dice come giudizio definitivo e tutto ciò che fa come esempio lodevole, avvolgendo il manto dell’infallibilità attorno a tutto il suo insegnamento e la veste dell’impeccabilità attorno a ogni suo comportamento.

In genere, coloro che operano in questo modo soffrono di un doppio handicap: primo, una grande ignoranza della storia della Chiesa, che spesso mostrano il papato in una luce (si può dire) tutt’altro che favorevole; in secondo luogo, una forte ignoranza della giusta comprensione dell’infallibilità papale insegnata ufficialmente dalla Chiesa[2].

Ho deciso di chiamare questa serie “Il mio viaggio dall’ultramontanismo al cattolicesimo” perché, per quanto sia imbarazzante ammetterlo nel 2020, la mia comprensione del papato durante i miei anni al college è stata papolatrica ad un livello quasi satirico. Ero un “cattolico Giovanni Paolo II” che credeva che il Papa avesse tutte le risposte giuste ad ogni e qualsiasi domanda, e che il solo e unico problema che stavamo affrontando fosse la diffusa disobbedienza a lui.

Come molti scrittori, in certi periodi della mia vita ho tenuto dei diari, e sono felice di possedere quello del mio ultimo anno al Thomas Aquinas College, nel quale mi sono imbattuto in questo passaggio esagerato del 28 aprile 1994:

«Il Papa misura, non è misurato. Non esiste un tribunale superiore, né una corte d’appello: chi si costituirà giudice del Sommo Pastore, del Vicario di Cristo?… Egli sa di più, vede di più, sente di più, guarda al futuro con maggiore utilità e valore: carisma del suo ufficio, grazia necessaria per svolgere le sue funzioni di madre e di docente. Nessuno può essere condotto all’inferno seguendo il suo insegnamento, per necessitatem, mentre si rischia la condanna per avergli disobbedito, se pronuncia le parole di Cristo[3]. …

Una decisione “prudenziale” della Santa Sede può essere giusta o meno: questo è del tutto irrilevante per il cattolico. Obbedienza religiosa: “tacere”, “seppellire la mazza da baseball”, “mungere le mucche”, “lasciar stare gli eretici”, “permettere le chierichette”, qualsiasi cosa, purché non contraddica la fede e la morale, purché riguardi un cambiamento di disciplina e non un cambiamento di dogma. Quando l’ordine viene promulgato, è ipso facto vincolante e obbligatorio, fino a quando la Santa Sede non lo revoca, o fino a quando condizioni storiche sufficientemente evidenti non lo rendono irrilevante… Ma se un uomo non ha sufficiente saggezza e prudenza per decidere, dovrebbe sempre seguire il decreto del Papa alla lettera, sapendo che il Vicario di Cristo non può “né ingannare né essere ingannato” nei suoi proclami e ordini, quando riguardano la cura delle anime.

L’incontro tra Cristo e il centurione. Cosa impariamo? “Io sono un uomo abituato a comandare; dico a un uomo: ‘Va’, ed egli va…”. Cristo, meravigliato, risponde: “Non ho trovato una fede come questa in tutto Israele!”. Perché? Perché il centurione era pronto a sottomettersi a Cristo come i suoi sottoposti e i suoi schiavi si sottomettono a lui, cioè in modo assoluto. Il cattolico non è un credente all’acqua di rose, né un protestante che recita il rosario: lui deve obbedire alla voce di Pietro, altrimenti perde ciò che lo separa dagli amorfi cristiani che affliggono la faccia della terra».

Dopo non più di un anno, il 20 marzo 1995, scrissi una lettera a un caro amico:

«Io sostengo… che il Papa misura, non è misurato. Egli è “primo del genere”, da cui tutte le specie derivano il loro titolo, come il fuoco, essendo il più caldo, è la fonte del calore. Il depositum fidei non esiste come sostanza separata, che aleggia nei secoli della storia della Chiesa. Non c’è magistero all’infuori del Papa, che lo custodisce e lo interpreta, come “un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52). “Un uomo buono da un buon tesoro tira fuori cose buone” (Mt 12,35). Il Papa è l’incarnazione del potere e della sicurezza apostolica, è lui che detiene le chiavi che aprono il cielo e la terra. L’intera eredità del depositum fidei riposa nelle sue mani, ed è resa viva e vincolante solo attraverso la sua mediazione. Il Papa esercita sulla terra un ruolo simile a quello della Vergine Maria in cielo; come lei è mediatrice di ogni grazia, lui è mediatore di ogni dottrina e disciplina. Il “costante insegnamento della Chiesa” non è semplicemente, e nemmeno primariamente, storico; è presente, attivo, animato. Dove risiede sulla terra? Nel Vicarius Christi: è come una seconda natura innestata in lui dall’opera dello Spirito Santo, quando viene consacrato Papa».

Questo, temo, è un esempio puro e perfetto di ciò che lo storico italiano Roberto de Mattei chiama “papolatria”. Come ho detto, tali esibizioni giovanili sono francamente imbarazzanti, ma hanno il pregio di dimostrare l’assurda crescita di un istinto normalmente sano, quando è distaccato dalla realtà della storia e dell’insegnamento magisteriale.

Entra in scena John Henry Newman

Prima ho menzionato la crescita dell’ultramontanismo in Francia e in Inghilterra. Non tutti i cattolici ortodossi di spicco erano ugualmente d’accordo con la tendenza alla centralizzazione e all’esaltazione papale. Quello che probabilmente è stato il più grande teologo del XIX secolo, John Henry Newman, era estremamente sospettoso rispetto al tipo di ultramontanismo sposato dal suo connazionale William George Ward, che affermò in modo famoso e provocatorio: “Vorrei una nuova bolla papale ogni mattina con il mio Times a colazione”, in modo da avere ancora più credenze da accettare come convertito cattolico. Newman, anch’egli ovviamente cattolico e convertito dall’anglicanesimo, era angosciato da questa esagerazione dell’ufficio papale e della sua funzione. Il papato rischiava di essere trasformato in una fabbrica industriale di nuovi pronunciamenti e nuove direttive su ogni argomento sotto il sole.

Sebbene il resoconto di Newman sullo sviluppo dottrinale non sia immune da critiche, egli afferma chiaramente l’immutabilità del deposito apostolico della fede e il requisito della completa coerenza di qualsiasi definizione o spiegazione successiva di una verità con tutto ciò che è già stato sostenuto e insegnato su quella verità. In altre parole, Newman aderì all’assunto di San Vincenzo di Lérins secondo cui se la dottrina deve crescere o progredire – la parola in latino è profectus – può farlo solo “secondo lo stesso significato e lo stesso giudizio”, in eodem sensu eademque sententia – una frase che è stata ripetuta innumerevoli volte nei documenti magisteriali[4]. Qualsiasi altro tipo di cambiamento, dice San Vincenzo, è una corruzione o, nel suo linguaggio, permutatio. Profectus o permutatio: queste sono le opzioni.

Newman era preoccupato per la corruzione che si stava verificando al Concilio Vaticano I in merito alla proposta di definizione dell’infallibilità papale – una convinzione sulla quale pensava che meno si dicesse e meglio fosse, non perché non accettasse il Papa come maestro divino dei cristiani e ultimo tribunale d’appello, ma perché sapeva che c’era un partito di ultramontanisti impegnato a spingere una versione teologicamente scorretta, filosoficamente irragionevole, storicamente insostenibile ed ecclesiasticamente dannosa dell’inerranza papale, che rischiava di confondere l’ufficio del Papa con la rivelazione divina stessa, invece di mostrarlo più modestamente come il custode della tradizione e l’arbitro delle controversie.

“Si è obbligati a sperare…”

Considerando il fatto che è stato nientemeno che Papa Francesco a elevare Newman agli onori degli altari, il seguente estratto da una delle lettere di Newman risulta più che ironico. Il 21 agosto 1870, poco più di un mese dopo la promulgazione della Pastor Aeternus del 18 luglio, Newman scrisse al suo amico Ambrose St. John:

«Ho diverse cose da dire sulla Definizione… considerato che [finora] non era consuetudine promulgare definizioni se non in caso di urgente e precisa necessità, per me la cosa grave è che questa definizione, mentre dà al Papa il potere, crea per lui, nell’atto stesso di farlo, un precedente e un incentivo ad usare il suo potere senza necessità, quando vuole, quando non è chiamato a farlo. Sto dicendo alle persone che mi scrivono di avere fiducia, ma non so cosa dirò loro se il Papa agirà in tal modo. E temo inoltre che la maggioranza tiranna [NB: è così che Newman si riferisce ai vescovi del Vaticano I che votarono per la definizione!] stia puntando ad allargare ancora i confini dell’Infallibilità. Posso solo dire che, se tutto questo avverrà, saremo di fatto di fronte ad una nuova rivelazione. Ma dobbiamo sperare, perché si è obbligati a sperarlo, che il Papa sia cacciato da Roma e non continui il Concilio, o che ci sia un altro Papa. È triste che lui ci costringa a questi desideri».

È sorprendente vedere uno dei teologi più brillanti e santi dei tempi moderni nutrire così profonde perplessità su un Concilio ecumenico legittimamente convocato, su atti conciliari legittimamente promulgati e soprattutto sul Papa in carica, che egli spera venga cacciato da Roma o venga presto sostituito da un Papa migliore. Tuttavia Newman non tentò di nascondere la sua posizione e, sebbene accettasse pienamente la definizione del Vaticano I, la intendeva anche in modo restrittivo e minimalista, come sosteneva che si dovessero accettare tutte le definizioni: secondo i loro precisi limiti e il loro ruolo all’interno dell’intera religione cattolica.

Coloro che oggi nutrono dubbi sulla convocazione del Concilio Vaticano II da parte di Giovanni XXIII, su vari e diversi elementi dei sedici documenti conciliari emanati sotto Paolo VI e sulla condotta di Papa Francesco possono trovare conforto nel sapere che tali difficoltà intellettuali e tali problemi di coscienza non sono incompatibili con la fede cattolica o con le virtù dell’umiltà e dell’obbedienza.

[1] Charles Journet, Teologia della Chiesa.

[2] Esiste il problema di ciò che Thomas Pink chiama “teologia ufficiale” e delle nozioni esagerate di infallibilità che si sono insinuate tramite essa, ma non riuscirò ad affrontarlo nel presente intervento.

[3] Pagina di diario del 28 aprile 1994. Questa pagina continua: “Solo per accidens la sua decisione potrebbe causare danni o angoscia, come fecero le parole di Cristo a Giuda: ‘Vai ora, occupati dei tuoi affari’”.

[4] Giovanni Paolo II vi ha fatto nuovamente riferimento nella Veritatis splendor (6 agosto 1993).

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1.continua

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