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“Sangue in Vaticano”. La battaglia di due donne per arrivare alla verità sulla strage nella Guardia Svizzera

4 maggio 1998: nei sacri palazzi del Vaticano un giovane vice caporale della Guardia Svizzera, Cédric Tornay, il comandante Alois Estermann e sua moglie Gladys Meza Romero vengono trovati senza vita. Dopo poche ore Joaquín Navarro-Valls, portavoce vaticano, comunica alla stampa la ricostruzione dei fatti. Con “certezza morale” afferma che Cédric ha ucciso i coniugi e poi si è suicidato. Il caso è formalmente chiuso, ma non lo è nella sostanza, perché molte domande restano aperte.

Nel 2019 Muguette Baudat, la mamma di Cédric, nell’ennesimo tentativo di avere risposte, chiede l’aiuto dell’avvocato italiano Laura Sgrò, legale della famiglia Orlandi, per conto della quale da anni sta cercando la verità in merito a un altro mistero vaticano, la sparizione nel 1983 della quindicenne Emanuela.

Le domande sono tante. La lettera di addio di Cédric è stata scritta davvero di suo pugno? Perché le analisi del luogo del delitto non sono state più accurate? Come mai è stata conservata solo una manciata di fotografie della scena del crimine? Com’è possibile che un vice caporale abbia potuto accedere tanto facilmente all’appartamento del suo comandante? Perché il fascicolo è stato tenuto nascosto nonostante non fosse coperto dal segreto pontificio?

La perseveranza di Muguette e la tenacia di Laura si scontrano contro il muro di silenzio e di verità sbrigative innalzato dal Vaticano. Ma la richiesta è inequivocabile: il caso va riaperto.

Una vicenda narrata ora nel libro di Laura Sgrò Sangue in Vaticano. Le inquietanti verità sulla strage nella Guardia Svizzera (Rizzoli, 304 pagine, 18 euro).

“Potrebbero esserci legami fra questa vicenda e quella di Emanuela. Estermann conosceva bene mia sorella ed ecco perché sono qui, per portare solidarietà alla mamma di Cedric”, ha detto Pietro Orlandi, intervenuto a Roma alla presentazione del libro di Laura Sgrò. “Non ci sono legami effettivi dimostrati fra le due vicende – ha aggiunto Pietro – ma molti dei personaggi che vi ruotano attorno sono gli stessi”.

“Cedric non aveva motivo di fare una strage. Per cosa, poi? Una medaglia che non gli era stata concessa? La cosa più assurda è che ancora prima che iniziassero i rilievi sul posto, dopo appena un’ora, dalla sala stampa del Vaticano dissero che il colpevole era Cedric”, ha sottolineato Laura Sgrò presentando il libro.

“Io credo che in realtà un colpevole vero non l’abbiano mai cercato” ha detto l’autrice. “Per esempio, si è parlato di un quarto bicchiere in quella stanza, ma una quarta persona non è mai stata cercata. Io penso invece che lì ci fosse una quarta persona che poi è andata via indisturbata. Le indagini andrebbero riaperte prendendo atto che sono state fatte male”.

“Ho mandato il libro al Santo Padre e lui mi ha risposto” ha inoltre spiegato Laura Sgrò. “Il Papa mi ha inviato una lettera personale riservata. Io e la famiglia di Cédric lo abbiamo apprezzato molto: dopo ventiquattro anni, Francesco è il primo pontefice che abbia risposto. Mi auguro che questo sia un primo spiraglio che possa aiutare a fare riaprire la vicenda”.

In margine alla presentazione di Sangue in Vaticano ho intervistato l’autrice.

Avvocato, quando è nato in lei il desiderio di scrivere questo libro e perché?

Il desiderio di raccontare cosa stesse succedendo è nato dopo che è cominciata la mia avventurosa consultazione del fascicolo riguardante la morte del comandante Estermann, di sua moglie Gladys Meza Romero e del giovane vice caporale Cédric Tornay. Le modalità con cui sono stata autorizzata a consultare il fascicolo – dopo diciotto mesi dalla prima richiesta e molteplici solleciti – e la consapevolezza che non avrei fatto nessun ulteriore passo in avanti mi hanno persuasa a raccontare quanto stesse avvenendo.

Ritiene che ci siano collegamenti tra questa vicenda e l’altra che lei da anni segue da vicino, ovvero la scomparsa di Emanuela Orlandi nel 1983?

Questo non posso dirlo con certezza, tuttavia mi ha sorpreso trovare in questo fascicolo alcuni nomi che spesso ho incontrato nella vicenda di Emanuela. Così come mi ha sorpreso l’ostinazione con cui le autorità vaticane hanno dipinto Estermann: un uomo solitario, senza amici, senza relazioni, che non maneggiava informazioni riservate. Come poteva un uomo di tali fattezze difendere il Santo Padre e il Palazzo Apostolico? Giovanni Paolo II, è noto, era osservato speciale di molti paesi stranieri. E sotto il suo pontificato è scomparsa Emanuela Orlandi.

La figura di Alois Estermann, il comandante della Guardia Svizzera morto con la moglie e il vice-caporale Cédric Tornay quel 4 maggio 1998, è al centro di molte domande e molti dubbi. Si è parlato di lui anche come di una spia al servizio dell’allora Germania Est. Lei che idea se n’è fatta?

L’idea che questo era un tasto assai dolente. Infatti, gli inquirenti vaticani, invece di chiedere informazioni alle ambasciate di altri paesi, in particolare a quella della Germania dell’Est, hanno preferito bollare subito la cosa come falsa. Il portavoce della Sala Stampa, Navarro Valls, ha messo subito a tacere la stampa dicendo che si trattava di falsità. Dal canto loro, gli inquirenti vaticani si sono limitati a chiedere ad alcune guardie svizzere, e neppure a tutte, se fossero a conoscenza che il loro comandante fosse una spia. Un argomento così importante trattato in modo così grossolano. C’è da restare basiti.

Come giudica nel complesso il modo in cui il Vaticano ha condotto le indagini?

A voler essere buoni, le indagini sono state condotte male per somma inesperienza. Mancavano i mezzi, non c’era adeguata preparazione, e un fatto di sangue con ben tre morti era un evento straordinario da gestire per gli inquirenti vaticani. A volere essere cattivi, la magistratura vaticana ha cucito un vestitino di colpevolezza su misura per Cédric. Gli inquirenti, infatti, avrebbero potuto delegare le indagini allo Stato italiano, in virtù del Concordato, come avevano fatto nel caso dell’attentato a Giovanni Paolo II e della sparizione di Emanuela Orlandi. Hanno scelto un’altra via. Extra omnes. Un conclave. Stavolta, però, per eleggere un colpevole.

Lei racconta che il suo rapporto con le autorità vaticane è stato, a dir poco, tempestoso. In sostanza non le hanno consentito di svolgere il suo lavoro di avvocato per conto della madre di Cédric, la signora Muguette Baudat. Secondo lei, che cosa nasconde la Santa Sede?

La verità. E sarebbe ora – sono passati ventiquattro anni – di consegnarla finalmente ai familiari.

A fronte di questo atteggiamento da parte del Vaticano, lei ha deciso di ricorrere all’Onu? Può spiegare con quali motivazioni? E qual è la sua speranza?

Sono stata costretta a visionare un fascicolo, archiviato da ventitré anni, senza poterne estrarre copia, senza potere riprodurre la documentazione in alcun modo, alla presenza di due gendarmi che mai mi hanno lasciata sola con i documenti. Un fascicolo archiviato per non luogo a procedere, perché quello che gli inquirenti hanno indicato come colpevole, Cédric Tornay, era morto. Alla fine di ogni seduta di consultazione dovevo inviare una mail con i miei appunti a un gendarme, consegnando così agli inquirenti non solo quanto trascritto, ma anche le mie osservazioni, i miei pensieri, la mia difesa. La motivazione di ciò – secondo la magistratura vaticana – risiedeva nel fatto che il procedimento si era chiuso per “insufficienza di prove” e in casi del genere il codice impediva la pubblicazione degli atti. Delle due l’una: o Cédric Tornay era colpevole e allora non vi era motivo ostativo a che io estraessi copia del fascicolo per potere valutare insieme alla famiglia se chiedere una riapertura delle indagini, oppure non era stato Cédric, e allora bisognava fare quantomeno delle rettifiche rispetto a quanto comunicato dalla Sala Stampa vaticana a qualche ora dai fatti di sangue. Visto che alle mie domande non ho ricevuto risposte e che ritengo di avere subito delle violazioni, ho deciso di ricorrere all’Onu, nel mio interesse e in quello di Muguette Baudat. Sono stati violati i miei diritti fondamentali, la mia dignità, le modalità in cui avrei dovuto esercitare il diritto di difesa di una madre che dopo ventiquattro anni ancora non sa come è morto il figlio. Muguette Baudat non ha mai potuto leggere un foglio di quel fascicolo. Mi aspetto giustizia. Solo questo.

Qual è la lezione che lei apprende da tutta questa vicenda?

Sumus in humanis. Anche nello Stato in cui governa il Santo Padre.

Crede ancora nella possibilità di arrivare alla verità?

La ricerca della Verità è un insegnamento di Nostro Signore. Finché avrò fede in Lui, non smetterò di cercarla.

A.M.V.

Aldo Maria Valli:
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