Il “Codice Ratzinger”? Non esiste

Cari amici di Duc in altum, poiché di tanto in tanto qualche lettore mi chiede che cosa penso del libro Codice Ratzinger di Andrea Cionci, ecco qui qualche considerazione.

Il libro tratta di presunti messaggi in codice che Benedetto XVI, secondo l’autore unico papa legittimo, avrebbe lanciato allo scopo di mostrare che Bergoglio non è papa ma antipapa.

Questa la tesi. Ora, non starò a sottolineare che l’autore non ha competenza in merito (non è teologo né canonista). Osservo solo che la tesi è fondata sul nulla. O meglio, è fondata solo su alcune costruzioni mentali di Cionci indimostrate e indimostrabili.

Sulla rinuncia di Benedetto XVI molti si sono interrogati e la questione, sotto numerosi profili, è ancora aperta. Ma nulla dimostra che si sia trattato, come sostiene Cionci, di un’astuta manovra architettata da Benedetto XVI.

Secondo l’autore del libro, Ratzinger avrebbe messo in atto una comunicazione criptica che solo lui, Cionci, è stato in rado di decifrare. Di qui la domanda: ma perché Ratzinger l’avrebbe fatto? Se solo Cionci ha potuto decifrare il messaggio in codice, l’operazione di Ratzinger che senso ha?

Non ho nulla contro Cionci, ma la teoria che ha messo in piedi mi sembra una follia. Seguendo il metodo Cionci, qualunque cosa detta o scritta da chiunque potrebbe essere vista come “messaggio in codice”.

Ma lascio ora la parola a chi ha preso in esame approfonditamente, e con competenza ben superiore a quella del sottoscritto, il libro Codice Ratzinger. Si tratta di don Silvio Barbaglia, docente di Sacra scrittura, il quale mi ha gentilmente inviato questo suo studio in merito.

A.M.V.

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di don Silvio Barbaglia

Andrea Cionci, l’autore del recente Codice Ratzinger è giornalista, storico dell’arte e scrittore e da circa due anni interviene sul sito liberoquotidiano.it con una serie di articoli relativi al tema trattato nel libro che qui viene discusso. Anzi, il libro, di fatto per buona parte, ripropone quegli stessi articoli già pubblicati e riordinati entro la struttura proposta per il lettore.

Il testo è suddiviso in sette parti, attraversate complessivamente da cinquantun capitoletti molto brevi per un complessivo di 339 pagine.

I tre pilastri dell’«ipotesi di lavoro» di Cionci

Il libro si regge su un’ipotesi che vorrebbe porre le basi per un’interpretazione diversa e nuova del documento con il quale papa Benedetto XVI in quell’11 febbraio 2013 dichiarava la sua rinuncia al Pontificato (Declaratio) e per farlo l’autore ha bisogno, anzitutto, di una strumentazione giuridica, secondo i criteri del Diritto canonico della Chiesa di Roma.

In sintesi, i fondamenti sui quali poggia l’ipotesi sono sostanzialmente tre: 1) papa Benedetto XVI, contro ogni apparenza, quell’11 febbraio non ha annunciato la sua volontà di abdicare al soglio pontificio, rinunciando al munus petrinum (cfr. can. 332 § 2 del Codice di diritto canonico, del 1983), cioè – come dice Cionci – al titolo di «papa»[1], bensì ha dichiarato di rinunciare solo e unicamente all’esercizio pratico del suo ministero presso la sede pontificia della Chiesa di Roma (espresso nel termine ministerium). Pertanto, Benedetto XVI, nonostante la data annunciata del termine ultimo, alle ore 20 del 28 febbraio di quell’anno, ha continuato ad essere il papa in carica pur non potendo più fare il papa, privato della sede per l’esercizio pratico del suo ministero; 2) pertanto questa situazione – ed è il secondo cardine su cui poggia l’ipotesi – non avrebbe prodotto l’istanza di una «Sede vacante» (termine tecnico per dire che la sede di Roma è senza la figura del Romano Pontefice) bensì di una «Sede impedita», secondo il can. 412 del CDC che recita:

La sede episcopale si intende impedita se il Vescovo diocesano è totalmente impedito nell’esercizio dell’ufficio pastorale (a munere pastorali) nella diocesi, non essendo in grado di comunicare nemmeno per lettera con i suoi diocesani a motivo di prigionia, confino, esilio o inabilità (CDC can. 412).

Per questo, essendo ancora vivente il papa in «Sede impedita», Roma non sarebbe stata «Sede vacante» da quel 28 febbraio 2013 e l’elezione del 13 marzo 2013 di Papa Francesco non avrebbe prodotto altro che un’elezione invalida e quindi a governare nell’esercizio pratico (ministerium) ci sarebbe da allora un «antipapa», appunto Francesco. Il corollario che vorrebbe rendere credibile e plausibile tutto ciò 3) è il terzo pilastro dell’ipotesi in cui il Cionci identifica una sorta di codice particolare, semplice e complesso nello stesso tempo, ma fondato sulla ratio, sul logos. Tale codice viene preso a battesimo dal Cionci e definito Codice Ratzinger decriptato dallo stesso autore del libro che porta tale titolo. La riprova che tale codice non palese sia esistente – ma che richieda intelligenza nella comprensione –, è data dagli interventi che alcuni lettori degli articoli pubblicati su liberoquotidiano.it, a loro volta, hanno contribuito a fornire all’autore quali ulteriori stimoli e percorsi risolutivi dell’enigmatico Codice Ratzinger.

In sintesi: papa Benedetto XVI non ha mai abdicato rispetto al munus petrinum, e quindi continua a essere papa mentre ha rinunciato solo al suo esercizio pratico (ministerium) perché impedito a esercitarlo a causa di pressioni esterne, provocando così la situazione giuridica di trovarsi a essere vescovo rispetto ad una «Sede impedita» (la Chiesa di Roma) e quindi impossibilitato a comunicare con il suo popolo; per trasmettere comunque messaggi che dicano la resistenza della Chiesa cattolica contro i tentativi di annientamento della stessa, papa Benedetto XVI si esprimerebbe con un codice tutto suo che nessuno prima dell’autore di Codice Ratzinger aveva mai decriptato. Le pagine del libro sono funzionali a corroborare ed esemplificare con una serie di dati tali elementi portanti dell’intero castello teorico, sia in direzione favorevole del «papa emerito» Benedetto XVI – unico e vero papa – sia in direzione contrastante a svantaggio dell’operato dell’«antipapa» Francesco: infatti non possono esistere due papi contemporaneamente, il papa è sempre uno solo! Fin qui l’esposizione in sintesi del lavoro di Cionci.

Divido, pertanto, l’esposizione sottoponendo ad analisi critica questi tre pilastri dell’ipotesi di lavoro di Cionci. Chiamo questa di Cionci «ipotesi di lavoro» nella speranza di non urtare la sensibilità dell’autore il quale ha già collocato l’esito del suo scritto a un livello «inequivocabile», quindi non di un’ipotesi bensì di una tesi certa, assolutamente fondata e inattaccabile! Cercherò, per come sono capace, di mostrare che ciò che è detto «inequivocabile» è regolarmente equivocato a vantaggio dell’ideologia dell’interprete: operazione tipica di ogni ermeneutica accomodante e funzionale alla conferma di una tesi preconcetta. Poiché questa ci pare essere la posizione teorica del Cionci, ben comprendo che le righe che seguiranno divideranno i lettori in tifosi e in stizziti o contrari, poiché anche chi scrive non può chiamarsi fuori dall’evento interpretativo che paga necessariamente un dazio alla soggettività e all’appartenenza a una visione piuttosto che a un’altra. Lascio quindi al «lettore fazioso», pro o contro, e al lettore semplicemente curioso e desideroso di capire di più, il giudizio relativo alle riflessioni e inferenze che qui sono esposte e di porre sui due piatti della bilancia le argomentazioni offerte dal libro e dalla sua critica qui elaborata rispetto agli esiti contrapposti delle due visioni, a cui corrispondono conclusioni opposte.

Il primo pilastro: la distinzione canonica tra munus petrinum e ministerium petrinum

In più punti del libro Cionci dichiara che tale distinzione netta tra munus e ministerium fu voluta da papa Giovanni Paolo II unitamente all’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Joseph Ratzinger, nel 1983; concretamente si tratta della pubblicazione del rinnovato Codice di diritto canonico. Così documenta Cionci:

Dobbiamo innanzitutto ricordare che, nel 1983, Giovanni Paolo II – il quale, già allora, aveva per “braccio destro” il card. Ratzinger – scompose l’incarico papale in due enti giuridici: il munus petrino, il titolo di papa, concesso direttamente da Dio e il ministerium, ovvero l’esercizio pratico del potere[2].

Il card. Ratzinger, d’accordo con papa Giovanni Paolo II, nel 1983 importò nel diritto canonico della Chiesa la fondamentale dicotomia munus/ministerium traendola – come spiega Borella – dal Diritto dinastico dei Principi tedeschi (il cosiddetto Fürstenrecht). Un eccellente sistema antiusurpazione che Joseph Ratzinger, soprattutto come bavarese, non poteva non conoscere[3].

Purtroppo, tale affermazione ripetuta più volte nello stesso libro non trova riscontro neppure una volta in rimandi testuali; cioè: dove e in quale documento ufficiale ciò è detto nero su bianco? Forse il Codice di diritto canonico, pubblicato nel 1983, assumerebbe tale criterio per distinguere nettamente l’incarico papale in questi due enti?[4] Eppure, in nessuno dei canoni dedicati al Romano Pontefice nel CDC (can. 330-335) c’è la pur minima indicazione di tale scissione nei due enti (munus/ministerium)[5] senza poi dire che il termine ministerium neppure vi compare ma viene utilizzato sempre e solo munus, da intendersi come «ufficio, incarico, mansione, compito, missione…», ricevuta per legittima elezione, accolta dall’eletto e, se già consacrato vescovo, per diritto divino subito attiva nel successore di Pietro, capo del Collegio dei Vescovi (i successori degli Apostoli), Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale. Dal munus accolto dall’eletto, scaturisce la potestas «ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente» (can. 331). Ribadisco: al munus validamente trasmesso per elezione corrisponde la potestas sulla Chiesa universale. In breve, l’unico collegamento che esplicitamente emerge dal dettato del CDC è tra munus e potestas: si tratta di un munus (ufficio, incarico eccetera) che comporta la massima potestà/potere in terra della stessa potestà di Cristo, trasmessa a Pietro e, attraverso la successione apostolica, al Romano Pontefice validamente eletto. Ribadisco che non c’è alcuna traccia della distinzione tra munus e ministerium rispetto all’incarico papale, come invece in modo inequivocabile sostiene Cionci! Ora, occorre chiederselo: da dove fa derivare tale ipotesi di distinzione giuridica dei due enti l’autore di Codice Ratzinger? Occorrerebbe anzitutto chiederlo a lui. Da quel che riesco a dedurre non certo dall’ipotetico prestito proveniente dal Diritto dinastico dei Principi tedeschi – il fatidico Fürstenrecht – come vorrebbe Andrea Borella con Cionci perché, anche fosse, di ciò non c’è traccia in tutto il CDC e men che meno nei canoni dedicati al Romano Pontefice, come ciascuno può constatare, passandoli in rassegna. E allora da dove proviene questa tanto conclamata distinzione giuridica relativa all’elezione papale? Ritengo che la risposta provenga dal tentativo di Cionci d’interpretare i due termini utilizzati proprio nella Declaratio da papa Benedetto XVI, quell’11 febbraio 2013 nell’annunciare la sua rinuncia al ministero di Romano Pontefice. Lì effettivamente i due termini compaiono ma per nulla connotati dal senso che l’autore del Codice Ratzinger vorrebbe. Vediamo allora di affrontare una semplice e veloce esegesi della Declaratio traendola (corretta dai due refusi linguistici nella lingua latina) dal sito ufficiale del Vaticano:

Fratres carissimi

Non solum propter tres canonizationes ad hoc Consistorium vos convocavi, sed etiam ut vobis decisionem magni momenti pro Ecclesiae vita communicem. Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum.

Bene conscius sum hoc munus secundum suam essentiam spiritualem non solum agendo et loquendo exsequi debere, sed non minus patiendo et orando. Attamen in mundo nostri temporis rapidis mutationibus subiecto et quaestionibus magni ponderis pro vita fidei perturbato ad navem Sancti Petri gubernandam et ad annuntiandum Evangelium etiam vigor quidam corporis et animae necessarius est, qui ultimis mensibus in me modo tali minuitur, ut incapacitatem meam ad ministerium mihi commissum bene administrandum agnoscere debeam. Quapropter bene conscius ponderis huius actus plena libertate declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, mihi per manus Cardinalium die 19 aprilis MMV commisso renuntiare ita ut a die 28 februarii MMXIII, hora 20, sedes Romae, sedes Sancti Petri vacet et Conclave ad eligendum novum Summum Pontificem ab his quibus competit convocandum esse.

 

Fratres carissimi, ex toto corde gratias ago vobis pro omni amore et labore, quo mecum pondus ministerii mei portastis et veniam peto pro omnibus defectibus meis. Nunc autem Sanctam Dei Ecclesiam curae Summi eius Pastoris, Domini nostri Iesu Christi confidimus sanctamque eius Matrem Mariam imploramus, ut patribus Cardinalibus in eligendo novo Summo Pontifice materna sua bonitate assistat. Quod ad me attinet etiam in futuro vita orationi dedicata Sanctae Ecclesiae Dei toto ex corde servire velim.

Ex Aedibus Vaticanis, die 10 mensis februarii MMXIII

BENEDICTUS PP. XVI[6]

Carissimi Fratelli,

vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino.

Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice.

Carissimi Fratelli, vi ringrazio di vero cuore per tutto l’amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per tutti i miei difetti. Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell’eleggere il nuovo Sommo Pontefice. Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio.

Dal Vaticano, 10 febbraio 2013

BENEDICTUS PP XVI

Come è facile notare, il termine munus ricorre nel testo latino due volte mentre il vocabolo ministerium ricorre tre volte; la traduzione italiana, come in quasi tutte le altre sette lingue moderne disponibili al sito del Vaticano, traduce con un unico termine i due vocaboli latini, e precisamente dando valore al secondo, perché transitato completamente nell’attuale lingua – «ministero» – come fossero dei sinonimi. Cionci ritiene che le traduzioni siano la causa o l’accomodamento voluto dai responsabili del Vaticano per occultare la vera questione: cioè che munus e ministerium siano due enti scindibili e quindi non trattabili in senso sinonimico. Non si tratterebbe di una leggerezza e imprecisione del traduttore bensì di una volontà esplicita a occultarne la differenza, in quanto l’ammissione di ciò avrebbe comportato nientemeno che il riconoscimento diretto della nullità dell’atto di rinuncia al Pontificato.

Ora, come abbiamo visto, in nessun documento (né in tutto il CDC e neppure nei Canoni relativi al Romano Pontefice e in nessun altro documento ufficiale della Chiesa), salvo smentita, è contenuto il valore semantico di munus e di ministerium riferito al Romano Pontefice. Quando una cosa non c’è, l’unico modo per farla esistere è continuare a dire che c’è… e dopo un po’ comincia a esistere davvero nell’opinione di molti…[7] Sarei interessato a sapere se l’autore di Codice Ratzinger e con lui tutti i supporter abbiano trovato tale dato nei documenti ufficiali della Chiesa oppure debbano ricorrere a un eventuale altro Codice Wojtyla per sostenere che anche se San Giovanni Paolo II col suo «braccio destro», il cardinale Ratzinger non l’abbia mai né detto né scritto esplicitamente, questo era esattamente quello che voleva che fosse! È facile capire che il dato «inequivocabile» è solo nella mente di chi vuole che la realtà giri in quel modo.

Torniamo al punto: e allora la differenza oggettiva d’utilizzo da parte di Papa Benedetto XVI dei due termini munus e ministerium all’interno della sua Declaratio da dove ha origine se non la si trova nel CDC? E ancora: qualora dovessimo ritrovare l’origine probabile dell’uso dei due termini, i loro significati sono quelli attribuiti da Cionci oppure funzionano diversamente?

Avanzo, dal mio punto di vista, essendomi confrontato con canonisti esperti della materia, una via diversa di derivazione che aiuti ad interpretare il testo della Declaratio[8]. Non il CDC del 1983 perché, come ho più volte ribadito, lì non c’è nulla di tutto ciò, bensì quell’unico documento che regola la disciplina dell’elezione del Romano Pontefice: la Constitutio Apostolica Universi Dominici Gregis. De Sede Apostolica Vacante deque Romani Pontificis Electione (Roma, San Pietro, 12 febbraio 1996)[9].

La questione, allora, va posta nell’articolazione di non due ma quattro termini presenti nella Universi Dominici Gregis e funzionali a qualificare l’identità del successore di Pietro. I termini sono: munus, officium, potestas e ministerium. Le occorrenze di tali termini posti in relazione diretta con il Romano Pontefice già indicano una pista di comprensione della problematica:

  • su 22 volte in cui ricorre munus, solo 5 di queste sono riferite al Romano Pontefice (UDG, ni: 1, 7, 53, 86[2x]);
  • su 27 volte in cui ricorre il termine officium, 8 di queste sono riferite al Romano Pontefice (5x nell’introduzione; ni: 1[2x]; 15);
  • su 18 volte in cui ricorre il termine potestas, 6 di queste sono riferite al Romano Pontefice (2x nell’introduzione; ni: 1; 2; 23; 88);
  • su 1 volta in cui ricorre il termine ministerium, questa sola è riferita esattamente al Romano Pontefice (nella titolazione del Capitolo VII: De Acceptatione, Proclamatio et Iinitio Ministerii Novi Pontificis).

L’intreccio dei primi tre termini riferiti al Romano Pontefice impedisce una separazione tra di loro, in quanto la potestas specifica del Romano Pontefice è fondata sul munus che, a sua volta, si rende attivo nell’officium; come non si può separare la relazione tra potestas e munus così non lo si può fare con l’officium[10]. In nota è possibile ritrovare l’intreccio tra questi tre termini proprio nel primo paragrafo della Costituzione Universi Dominici Gregis e l’intersezione di questi vocaboli mostra da subito l’impossibilità di scinderli anche solo in linea teorica[11]. Ciò che appare interessante e istruttivo è il fatto che solo al termine dell’intera Costituzione, dedicata a normare la situazione di «Sede vacante» e la relativa elezione del Romano Pontefice, emerga il termine più difficile da comprendere e cioè: ministerium. Esso assume un valore altissimo e viene semantizzato sistemicamente dal dettato della Costituzione stessa. Ministerium non indica genericamente l’idea di un servizio, come è nel significato stesso della parola, ma va a designare la categoria fondamentale posta in essere nell’incipit dell’esito di elezione valida del successore di Pietro, ovvero il suo inizio nell’assunzione del munus, nell’esercizio della sua potestas e nell’esplicitazione del suo officium: tutto ciò è contenuto nell’espressione «initio ministerii novi Pontificis». Pertanto, la semantica del termine ministerium qui, contestualmente, riassume in sé il munus, la potestas e l’officium, appare come un termine inclusivo dei tre tra loro inscindibili. Se vale quest’esegesi canonistica si apre una nuova possibilità nell’intendere la genesi della scelta delle due parole nella Declaratio di Papa Benedetto XVI, riferita esattamente all’uso che ne fa la Costituzione Universi Dominici Gregis, atta a presentare l’immissione in ruolo, l’inizio del ministero di un Romano Pontefice. Papa Benedetto XVI avrebbe assunto da lì la semantica dei termini munus e ministerium indicando nel primo – munus petrinum – l’assunzione della responsabilità della successione petrina e nel secondo lo status d’inizio di tale responsabilità chiamata dalla Costituzione Universi Dominici Gregis appunto ministerium. In questa chiave di lettura inviterei a rileggere il passo della Declaratio che richiama questi aspetti: «Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero (ministerium) di vescovo di Roma, successore di san Pietro, a me affidato per mano dei cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20, la sede di Roma, la sede di san Pietro, sarà vacante…». Come in quella data, il 19 aprile del 2005 Benedetto XVI diede inizio al suo ministero di nuovo Pontefice (= «initio ministerii novi Pontificis») così quell’11 febbraio del 2013 annunciava la fine di quello stesso ministerium, dalle ore 20 del 28 febbraio di quell’anno.

In sintesi, invece di andare a scomodare l’araldista Andrea Borella e il Diritto dinastico dei Principi tedeschi sarebbe stato molto più semplice cercare “in casa” la soluzione, cioè nell’unico documento che norma in modo ampio l’elezione del nuovo Pontefice e specularmente ne stabilisce i criteri per l’eventuale rinuncia, non essendoci per quest’ultima, invece, una normativa ad hoc, allo stato attuale. Spero di avere offerto qualche stimolo alla comprensione della Declaratio a partire da documenti ecclesiastici senza la necessità di inventarsi codici nascosti – il Codice Ratzinger, appunto – e arrampicarsi sui vetri, al fine di cercare una conferma alla propria tesi preconcetta.

Il secondo pilastro: non «sede vacante» ma «sede impedita»

Ascoltiamo direttamente dall’autore con le sue parole l’esposizione di questo secondo pilastro della sua ipotesi di lavoro:

La svolta è avvenuta il 20 agosto 2021 quando lo scrivente ha proposto un radicale cambiamento di prospettiva sulla Declaratio: ciò che tutti noi siamo stati abituati, da nove anni, a percepire come un atto giuridico di rinuncia al papato, era in realtà un annuncio – si badi, di carattere non giuridico – di auto-esilio in “Sede impedita”, situazione canonica definita dal canone 412 quando il “Vescovo (N.d.R., in questo caso, di Roma) è totalmente impedito di esercitare l’ufficio pastorale nella diocesi a motivo di prigionia, conflitto, esilio o inabilità, non essendo in grado di comunicare nemmeno per lettera con i suoi diocesani”[12].

E a commento è aggiunto quanto segue:

Quando Benedetto parla di “dimissioni”, infatti, intende solamente dimissioni dall’esercizio pratico del potere, non dall’essere papa: quindi, non abdicazione. Ecco perché da nove anni ribadisce che il papa è uno solo, senza spiegare quale.

Come abbiamo già avuto modo di fare emergere, non c’è alcuna sinonimia e/o transitività tra munus e ministerium: se il papa rinuncia al munus, in modo simultaneo e ratificato, decade automaticamente anche dal ministerium e si può parlare di abdicazione.

Ma se il papa rinuncia, di fatto, e per giunta in modo differito, al ministerium, non decade affatto dal munus e abbiamo, così, la sede impedita. È per questo che il canone 332 § 2, per un’abdicazione del papa si richiede la rinuncia, guarda caso, al munus petrino, al titolo, e non al ministerium[13].

A prescindere dal fatto che la trattazione appena conclusa va ad invalidare il primo pilastro di Cionci della distinzione netta tra munus e ministerium qui ribadita nuovamente per innalzare il secondo pilastro della «Sede impedita», provo anche solo per “gioco” ad accettare l’ipotesi di Cionci e vedere se il secondo pilastro si regge da sé.

Se, dunque, ciò che viene impedito a Benedetto XVI è l’esercizio del suo minsterium e da questo avrebbe dato le dimissioni, il can. 412 del CDC avrebbe dovuto esprimersi con tale terminologia, mantenendo il munus, sebbene impedito rispetto al ministerium. Quindi, nell’ipotesi di Cionci il can. 412 («il Vescovo è totalmente impedito di esercitare l’ufficio pastorale nella diocesi a motivo di… ») deve necessariamente prevedere il termine latino ministerium accanto all’aggettivo “pastorale” che indica logicamente la dimensione pratica. Invece il testo originale latino recita: «a munere pastorali» in luogo dell’atteso «a ministerio pastorali»!!! Quindi è il munus che non può essere “praticato” in una sede impedita! E questo rovesciamento di significati manda in tilt tutta la costruzione teorica del libro. La comprensione del testo diventa chiara, invece, se si assume che il termine munus non significa ciò che Cionci vorrebbe ma sintetizza l’attività pastorale di un Vescovo in capo al Sacramento dell’ordine, nei classici tria munera (docendi, sanctificandi, regendi), esplicitati dal Sacramento a livello ontologico e non meramente funzionale, cioè quello di insegnare, di governare e di celebrare. Ma ciò è tutt’altro rispetto al munus petrinum, per nulla qualificato entro una dimensione ontologica, bensì innestato sull’altro munus dell’ordinazione episcopale che imprime il carattere in senso ontologico. Il caso di un papa impedito nell’esercizio del suo ufficio pastorale e confinato distante dalla sua Sede episcopale impedita si colloca in un contesto di costrizione, lontano mille miglia dalla libertà di azione e di decisione esplicitamente espresse da papa Benedetto XVI nella Declaratio e ribadite con forza nell’intervista con Peter Seewald. Ci troviamo, anche in questo secondo aspetto, a vedere crollare la pretesa solidità di questo pilastro che non ritrova alcun riscontro nei documenti, nelle azioni e neppure nelle intenzioni, laddove esplicitamente il papa emerito ha avuto occasione di segnalarle anche dopo la sua Declaratio.

Il terzo pilastro: l’invenzione del Codice Ratzinger [14]

Ogni decodifica di un sistema di segni, a partire dai segni di una scrittura che traducono dei suoni linguistici fino ai codici palesi o nascosti, richiede una coerenza sostanziale di tipo sistemico, non fondata sul singolo interprete ma potenzialmente universalizzabile. La pretesa che Benedetto XVI abbia creato un suo modo di comunicare cifrato tutto fondato sul logos non sarebbe una novità se intendessimo con questo il suo stile espositivo, il suo procedere per inferenze logiche e dimostrative, la sua capacità di sintesi e di analisi. Si tratta di uno stile che appartiene alla persona, in questo senso allo studioso. Per pensare invece che il papa emerito abbia accanto a questo suo stile espositivo e riflessivo un proprio codice nascosto, svelato solo a menti libere e affamate di verità ma occultato a quelle bramose di potere ecclesiastico, occorre applicare su di sé una forte dose d’inventiva che sfiora la creatio ex nihilo!

La sua situazione di vescovo di una «Sede impedita» – cosa che abbiamo visto essere assurda e pura invenzione – avrebbe necessitato di una scappatoia per superare il silenzio assoluto: un nuovo codice del logos! Ma il primo codice del logos è anche un po’ di buon senso che quando si perde può divenire anticamera dell’inverosimile fino ad arrivare a dichiarare che il Codice Ratzinger a ben vedere corrisponde al «Codice Gesù» (sic! si veda il cap. 28, da pag. 179), ingenuamente preso come applicativo del modo di esprimersi di Gesù in alcuni testi evangelici. Qui il «minestrone immaginifico» supera ogni controllo. Trascuro di prendere in considerazione e di esprimere un giudizio sui pronunciamenti riportati dall’autore di varie personalità che scrivono di accogliere, senza tema, l’esistenza di detto Codice Ratzinger.

Ma andiamo a testare la tenuta o meno di tale Codice Ratzinger con esempi tratti dai vari capitoletti del libro, in quanto prove a suffragio della sua tesi. Bisognerebbe passare in rassegna ogni pagina e ogni esempio e ve ne sarebbe da dire per ogni punto, ma andiamo a selezionarne qualcuno, quelli sui quali maggiormente si fonderebbe, secondo l’autore, l’esistenza di tale Codice Ratzinger. Vediamo…

  1. a) «Il Saluto da Castel Gandolfo» (pp. 105-109)

Ecco un primo esempio del Codice Ratzinger, esattamente nella sera dell’ultimo giorno del suo pontificato, erano le ore 17,30 del 28 febbraio 2013[15]; ecco cosa disse papa Ratzinger sottoposto alla rilettura esoterica del Codice Ratzinger:

Così alle ore 17,30, Benedetto XVI si affaccia dal balcone e saluta la folla con queste testuali parole:

Voi sapete che questo mio giorno è diverso da quelli precedenti; non sono più pontefice sommo della Chiesa cattolica… fino alle otto di sera sono ancora, poi non più» […]

Ma riascoltiamo attentamente la frase.

Egli dice che non sarà più “pontefice sommo”, ma il titolo papale è “Sommo Pontefice” (Summus Pontifex): non ci sono discussioni. “Pontefice sommo” non esiste.

Tale inversione può essere apparentemente insignificante per noi laici che non siamo addentro alle cose ecclesiastiche, ma cosa pensereste se il Gran Maestro dell’Ordine di Malta dichiarasse, dimettendosi dalla carica «Da stasera non sarò più maestro grande dell’Ordine di Malta?» […]

L’inversione tra i due termini ha quindi evitato a papa Benedetto – pur impedito già da 17 giorni – di mentire dicendo che dalle 20.00 avrebbe rinunciato al suo titolo canonico di papa, cosa che, invece lui non ha mai fatto […]

Così, papa Benedetto fa capire che non sarà più un pontefice sommo, ovvero non sarà più un pontefice collocato nel posto più alto e grande, ma rimarrà un pontefice nascosto, eremita, quello legittimo, ma celato sotto l’inesistente istituto giuridico del papato emerito. Ci sarà qualcun altro che occuperà il posto più alto e grande. Per la precisione, un antipapa[16].

Stando alle affermazioni di Cionci il Codice Ratzinger avrebbe coniato l’espressione “anfibologica” di «pontefice sommo» in luogo di «Sommo Pontefice». Occorre anzitutto sottolineare che il significato dell’aggettivo «sommo» dipende dall’uso nella lingua italiana che muta parzialmente il senso se in posizione attributiva o predicativa: ad es., «nuovo giorno» o «giorno nuovo». Ci sono sintagmi che permettono questo gioco e altri no. Infatti, nella stessa frase se papa Benedetto avesse detto: «non sono più pontefice sommo della cattolica Chiesa» la reazione sarebbe stata diversa e inaccettabile. Ma l’espressione “pontefice sommo” esiste e non l’ha inventata papa Ratzinger; anzitutto è usata per Gesù Cristo nella lettera agli Ebrei nel tradurre dalla Vulgata l’espressione «Pontificem magnum» che interpreta il greco «ἀρχιερέα μέγαν» (Ebr 4,14); Lumen Gentium 21 ha, in riferimento a Gesù Cristo, esattamente l’espressione «Pontifex Summus»; e da qui l’uso comune di non confondere il titolo del papa con quello di Gesù Cristo, quale «Pontefice grande/sommo»; lo stesso dicasi per l’altro titolo: Santo Padre e Padre Santo; il primo è per il papa, il secondo per Dio Padre. Ma sia per il primo caso come per il secondo è invalso l’uso di riferire al papa anche il titolo che normalmente la Scrittura utilizza per il figlio Gesù o per Dio Padre.

Infatti, soprattutto nei due secoli precedenti le pubblicazioni relative al Santo Padre il papa potevano utilizzare indistintamente il titolo di «Sommo Pontefice» oppure di «Pontefice Sommo». Si veda ad esempio le riflessioni del Vescovo di Tanes, mons. Tommaso Michele Salzano del 1870 con il suo testo che già nel titolo riporta l’espressione, più volte ripresa nel corpo del libro: «Modo di risolvere e sull’opportunità di definire l’infallibilità del pontefice sommo»[17]. Oppure questo altro esempio di un testo del 1860 intitolato: «La Seconda Regola di S. Chiara prescritta da Urbano IV Pontefice sommo» sempre del Vescovo di Tanes mons. Salzano[18]. Nel secolo scorso, in occasione del III Centenario della Sacra Congregazione de Propaganda Fide del 1922 nella stessa pagina del documento si usa indistintamente «Sommo Pontefice» e «Pontefice Sommo»[19]; oppure recentemente il 19 aprile del 2005, proprio in occasione dell’elezione di papa Benedetto XVI, il procuratore generale degli Oratoriani si rivolse al papa come «Vescovo di Roma e Pontefice Sommo della Chiesa Cattolica»[20]. In sintesi, pur rara, l’espressione è stata usata in contesti anche accademici oltre che ecclesiali e ufficiali. Quindi, con buona pace di Cianci, non si tratta di un’invenzione di papa Ratzinger, nella sezione dei sintagmi speciali del Codice Ratzinger; non esiste alcun elemento che possa far pensare ad una volontà di «dire altro» quella sera, al popolo di Dio che lo salutava con affetto per l’ultima volta, come papa di Roma. Basta riguardarsi il video[21] per comprendere quanto occorra essere in avanzata cattiva fede per immaginare l’inganno sortito secondo l’ipotesi di lavoro di Cionci.

Va aggiunto, inoltre, che poche ore prima di portarsi a Castel Gandolfo, nella Sala Clementina in Vaticano, papa Ratzinger incontrò per l’ultimo saluto il Collegio dei Cardinali e, chiudendo l’intervento, disse le seguenti parole:

Prima di salutarvi personalmente, desidero dirvi che continuerò ad esservi vicino con la preghiera, specialmente nei prossimi giorni, affinché siate pienamente docili all’azione dello Spirito Santo nell’elezione del nuovo Papa. Che il Signore vi mostri quello che è voluto da Lui. E tra voi, tra il Collegio Cardinalizio, c’è anche il futuro Papa al quale già oggi prometto la mia incondizionata reverenza ed obbedienza. Per questo, con affetto e riconoscenza, vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica[22].

Dopo queste parole lette e preparate per iscritto, diventa impresa disperata cercare di immaginare che l’aggettivo rivolto al contrario nel discorso “a braccio” ai fedeli di Castel Gandolfo – Pontefice sommo – possa essere indizio di presenza velata del Codice Ratzinger!

  1. b) «Il “rompicapo della mozzetta rossa» (pp. 133-136)

L’inizio dell’esposizione è trionfale:

Avendo chiarito il Codice che si cela dietro i messaggi di papa Ratzinger da nove anni a questa parte, ne esporremo uno tra i più geniali e brillanti. Attenzione: può sembrare un rompicapo, e lo è (lo scrivente ha impiegato alcuni mesi per decifrarlo completamente), ma la soluzione è chiara e inequivocabile[23].

Si tratta della risposta alla domanda che l’intervistatore Peter Seewald riporta nel suo Ultime conversazioni[24]:

Cosa ha pensato quando il suo successore si è affacciato sulla loggia della basilica di San Pietro? E per di più vestito di bianco?

A questa domanda dell’intervistatore Cionci riporta solo l’inizio della risposta, solo l’aspetto che a lui interessa, tacendo appositamente il resto, e così scrive:

Risposta di papa Ratzinger: «È stata una sua scelta, anche noi che l’abbiamo preceduto eravamo in bianco. Non ha voluto la mozzetta rossa».

Se la frase fosse stata semplicemente: “È stata una sua scelta, non ha voluto la mozzetta rossa” non vi sarebbe stato nulla di anomalo.

Ma papa Benedetto aggiunge un dettaglio fondamentale ed estremamente significativo: «anche noi che l’abbiamo preceduto eravamo in bianco».

Eppure, per la loro elezione, sia Ratzinger che tutti i papi a lui precedenti indossavano la mozzetta rossa. […]

L’unico significato sottile, ma perfettamente coerente con l’aspetto canonico che abbiamo già indagato – e con tutti gli altri messaggi in Codice Ratzinger – può essere solo questo: Bergoglio ha scelto di indossare la veste bianca ordinaria da papa come la indossano tutti i veri papi che l’hanno preceduto, ma lui non ne aveva diritto perché Bergoglio non voleva restare cardinale, voleva diventare papa a tutti costi, ecco perché non ha voluto accontentarsi della mozzetta rossa da cardinale che gli spettava.

Infatti, se volessimo seguire la narrativa ufficiale, immaginando un legittimo papa Francesco che rompe esteriormente con la tradizione presentandosi in bianco e un Benedetto XVI papa regolarmente abdicatario, questi avrebbe dovuto rispondere per forza così: «È stata una sua scelta presentarsi vestito interamente di bianco. Noi che l’abbiamo preceduto avevamo la mozzetta rossa. Lui però non ha voluto indossarla»[25].

Ancora una volta il senso più ovvio non trova cittadinanza nell’esposizione del libro in oggetto perché il Cionci appare regolarmente preoccupato a far quadrare ogni passaggio a conferma del suo teorema.

Proviamo a spiegare la frase incriminata contestualizzandola nella prassi del cerimoniale (normata dall’Ordo rituum conclavis) collocato tra l’elezione del papa e la benedizione Urbi et Orbi. Il nuovo Romano Pontefice viene preparato con i nuovi abiti papali per il rito di lettura del Vangelo del primato petrino e il canto del Te Deum con i cardinali e poi per la benedizione Urbi et Orbi per il popolo; così indossa un abito bianco, lo zucchetto anch’esso bianco e una mozzetta rossa più scura della porpora dei cardinali e una stola pontifica per la benedizione. Pertanto, prima di mettere la mozzetta ogni papa è effettivamente vestito «in bianco» e poi indossa la mozzetta rosso scuro. Così in risposta alla domanda di P. Seewald Benedetto XVI afferma, in coerenza con la ritualità della vestizione del nuovo papa: «È stata una sua scelta, anche noi che l’abbiamo preceduto eravamo in bianco. Non ha voluto la mozzetta», detto diversamente: il fatto di uscire vestito completamente solo in bianco, con la talare bianca del pontefice è stata una sua scelta; anche noi che l’abbiamo preceduto (Benedetto XVI con Giovanni Paolo II, Giovanni Paolo I; Paolo VI…) abbiamo prima dismesso l’abito cardinalizio e poi indossato l’abito bianco; papa Francesco, vestito di bianco, non ha voluto indossare la mozzetta (rossa) portando già quella bianca della veste papale. Mi pare la spiegazione più economica senza dovere andare a scomodare intenzioni antievangeliche e ambiziose già in animo al neo-pseudo-eletto antipapa Bergoglio! Cionci, in effetti si guarda bene dallo svelare al lettore come procede la risposta di Ratzinger all’intervistatore che fa comprendere quanto poco peso avesse dato a quest’aspetto, diversamente dall’ideatore del Codice Ratzinger che chiama quest’accenno di risposta un “rompicapo” la cui soluzione lo ha impegnato alcuni mesi! Personalmente credo di avere investito per la comprensione non più di cinque minuti, esagerando… al lettore la valutazione della coerenza dell’interpretazione. Ma veniamo al prosieguo della risposta che è la parte più interessante; il papa emerito comincia affermando che rispetto alla questione dell’abito bianco: «La cosa non mi ha minimamente toccato» e prosegue:

Quello che mi ha toccato, invece, è che già prima di uscire sulla loggia abbia voluto telefonarmi, ma non mi ha trovato perché eravamo appunto davanti al televisore. Il modo in cui ha pregato per me, il momento di raccoglimento, poi la cordialità con cui ha salutato le persone tanto che la scintilla è, per così dire, scoccata immediatamente.

Nessuno si aspettava lui. Io lo conoscevo, naturalmente, ma non ho pensato a lui. In questo senso è stata una grossa sorpresa. Ma poi il modo in cui ha pregato e ha parlato al cuore della gente ha subito acceso l’entusiasmo[1].

Il fantoccio Ratzinger, esito della fantasia di Cionci, e lo speculare fantoccio Bergoglio si ritirano dietro il sipario appena si dà voce diretta ai protagonisti e si cerca di silenziare la voce fuori campo che suggerisce codici reconditi che neppure gli interessati in quanto protagonisti hanno mai conosciuto!

Qui si svela il passaggio dal Codice Ratzinger al Codice Cionci che nella fantasia è, in effetti, molto bizzarro ma inciampa regolarmente proprio sul logos e sul rigore del metodo d’indagine.

Conclusione aperta

Consapevole che i punti da trattare sarebbero ancora moltissimi, decido di chiudere quest’analisi critica dell’ipotesi di lavoro di Andrea Cionci perché ritengo di avere offerto approfondimenti e spunti su cui riflettere, nel tentativo di onorare lo sforzo realizzato dell’autore. Ritrovo che l’utilizzo abbondante dell’aggettivo «inequivocabile», più volte richiamato, abbia prodotto una sorta di “effetto boomerang”: ciò che più viene sbandierato con caratteristiche di certezza assoluta, tristemente frana sui suoi stessi basamenti tutt’altro che solidi, ma simili ai piedi d’argilla della statua nel profeta Daniele.

Devo anche dire che mi ha spinto a scrivere questa generosa recensione nella sua ampiezza soprattutto l’affetto che provo per il papa emerito Benedetto XVI, che si sta preparando ad incontrare il Signore, lui che lo ha rappresentato come suo Vicario qui in terra, per quasi otto anni della sua vita. E ho immaginato la sua ulteriore sofferenza nel venire a sapere quale trama, oserei dire “diabolica”, venga a lui attribuita, quale reazione oppositiva all’esercizio del pontificato di papa Francesco!

Al papa emerito Benedetto XVI dedico questa mia recensione nella speranza di avere contribuito ad un buon esercizio di ragione al servizio della fede, tanto caro al “papa teologo”.

______________

[1] Il munus petrinum non corrisponde affatto al titolo di «papa», titolo peraltro utilizzato anche in altri contesti confessionali, come per il Patriarca di Alessandria dei Copti o il Patriarca greco-ortodosso di Alessandria. Il CDC utilizza le denominazioni di Romano Pontefice o Sommo Pontefice.

[2] A. Cionci, Codice Ratzinger, Byoblu Edizioni, Milano 2022, 31.

[3] Cionci, Codice Ratzinger…, 69.

[4] In particolar modo Estefanía Acosta nel suo Benedict XVI: Pope “Emeritus”? (2020) alle pp. 48ss., pur passando in rassegna i vari usi del CDC dei termini munus e ministerium, non riesce a mostrare dove venga elaborata tale distinzione giuridica relativa al Romano Pontefice.

[5] Mons. Giuseppe Sciacca, Segretario del Supremo tribunale della Segnatura apostolica. ha ben spiegato in un’intervista alla Stampa del 16 agosto del 2016 l’impossibilità di scindere munus da ministerium nel primato petrino: https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2016/08/16/news/sciacca-non-puo-esistere-un-papato-condiviso-1.34821300/

[6] Per il testo ufficiale in lingua latina: https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/la/speeches/2013/february/documents/hf_ben-xvi_spe_20130211_declaratio.html

Per la versione italiana: https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2013/february/documents/hf_ben-xvi_spe_20130211_declaratio.html

[7] È curioso il fatto che un’indagine sui motori di ricerca in Internet conduca praticamente sempre alla figura di Cionci, sia agli articoli su liberoquotidiano.it sia ai dibattitti nati da quelli e, da ultimo, all’ipotesi documentata nel libro oggetto di dibattito, Codice Ratzinger.

[8] Su questi aspetti segnalo qualche contributo di addetti ai lavori che prende in considerazione esattamente la questione qui trattata: Rosario Vitale, La rinuncia al Pontificato di Benedetto XVI, per dirimere ogni dubbio, del 6 dicembre 2021 (https://www.voxcanonica.com/2021/12/06/la-rinuncia-al-pontificato-di-benedetto-xvi-per-dirimere-ogni-dubbio/); Paolo Gherri, Profili giuridici e teologici della rinuncia al papato, del 2021 (chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/http://gherripaolo.eu/orali/2021_Profili_rinuncia_papato_LITE.pdf); Vincenzo Tedesco, Il Romano Pontefice: poteri primaziali e rinuncia all’ufficio, Università La Sapienza, 2016-2017 (chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://iris.uniroma1.it/retrieve/e383531b-500a-15e8-e053-a505fe0a3de9/Tesi%20dottorato%20Tedesco)

[9] Per il testo ufficiale in lingua latina: https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/la/apost_constitutions/documents/hf_jp-ii_apc_22021996_universi-dominici-gregis.html

Per la versione italiana: https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_constitutions/documents/hf_jp-ii_apc_22021996_universi-dominici-gregis.html

[10] Così afferma il prof. Paolo Gherri: «La prima precisazione riguarda la – del tutto presuntissima – contrapposizione tra munus (=essere Papa) e ministerium (=fare il Papa), ignorando completamente che, in realtà, l’orizzonte al quale occorre riferirsi non è binario ma ternario poiché in Diritto canonico tale dinamica non può funzionare in assenza di un terzo elemento – quello ad ogni effetto fondamentale – da doversi individuare nell’Officium: è all’Officium, infatti, che è concesso il munus, mentre il ministerium, in realtà, oltre a derivare generalmente dal munus, si muove spesso anche secondo dinamiche di altro tipo, vista la genericità del concetto. Ma è proprio all’Officium che s’interessa il Diritto canonico ed è all’Officium che Benedetto XVI ha rinunciato», art. cit. 2021 online.

[11] Nel n. 1 della Costituzione ricorre la compresenza dei tre termini discussi: munus, potestas e officium: «1. Sede Apostolica vacante, Cardinalium Collegium nullam potestatem aut iurisdictionem habet in ea quae pertinebant ad Summum Pontificem dum vivebat vel muneribus officii sui fungebatur; ea omnia exclusive uni Pontifici futuro debent reservari. Quapropter invalidum et irritum esse decernimus quidquid potestatis aut iurisdictionis – ad Romanum Pontificem dum vivit pertinentes, vel ad perfunctionem officii ipsius – coetus ipse Cardinalium duxerit exercendum nisi quatenus in hac Nostra Constitutione expresse permittatur (1. Durante la vacanza della Sede Apostolica, il Collegio dei Cardinali non ha nessuna potestà o giurisdizione sulle questioni spettanti al Sommo Pontefice, mentre era in vita o nell’esercizio delle funzioni del suo ufficio; tali questioni dovranno essere tutte ed esclusivamente riservate al futuro Pontefice. Dichiaro, pertanto, invalido e nullo qualsiasi atto di potestà o di giurisdizione spettante al Romano Pontefice mentre è in vita od è nell’esercizio delle funzioni del suo ufficio, che il Collegio stesso dei Cardinali giudicasse di esercitare, se non entro i limiti espressamente consentiti in questa Costituzione)»

[12] Cionci, Codice Ratzinger, p. 49

[13] Cionci, Codice Ratzinger, pagg. 48-49

[14] Si veda la parte più corposa del libro di Cionci, la Terza parte, alle pagg. 87-187

[15] Si è trattato di un discorso libero, non scritto e poi trascritto e sistemato: https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2013/february/documents/hf_ben-xvi_spe_20130228_fedeli-albano.html

[16] Cionci, Codice Ratzinger, pagg. 105-107

[17] https://cdm17265.contentdm.oclc.org/digital/collection/italianPamp/id/33077

[18] https://books.google.it/books?id=FrPZXI3mcekC&pg=PA1&lpg=PA1&dq=La_seconda_regola_di_S_Chiara_prescritta&source=bl&ots=o8h4DUZVsZ&sig=ACfU3U2yy-GDe45jcBQ4D2_dHg_vTDUdvw&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwjVkZXQwv77AhVGi_0HHSxBD6cQ6AF6BAgGEAM#v=onepage&q=La_seconda_regola_di_S_Chiara_prescritta&f=false

[19] https://www.lacabalesta.it/biblioteca/Propaganda/Propaganda1922/Propaganda1922_JPEG/Propaganda1922_42.jpg

[20] https://www.oratoriosanfilippo.org/elezione-di-sua-santita-benedetto-xvi%EF%BB%BF/

[21] Alcune istantanee di quel pomeriggio del 28 febbraio 2013: https://www.youtube.com/watch?v=0aHlaSq3_wU

[22] https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2013/february/documents/hf_ben-xvi_spe_20130228_congedo-cardinali.html

Per il video: https://www.youtube.com/watch?v=9n9438_rPlA

[23] Cionci, Codice Ratzinger, p. 133

[24] Cfr. P. Seewald (a cura di), Benedetto XVI. Ultime conversazioni, Garzanti, Milano 2016.

[25] Cionci, Codice Ratzinger,  pagg. 133-135

[26] Seewald (a cura di), Benedetto XVI. Ultime conversazioni, p. 42

Foto: dw.com

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