Le cause e gli effetti

di Fabio Battiston

Da quasi dieci anni la voce di noi “cattolicamente scorretti” si fa sentire ogni giorno più forte per contrastare – ma sarebbe più giusto dire combattere – gli atti, le parole, gli insegnamenti e le posizioni che stanno connotando il papato di Jorge Mario Bergoglio. Chi scrive è tutt’ora in prima linea tra coloro che si trovano in costante conflitto con l’inquilino di Santa Marta; forse una riflessione è però necessaria. Mi domando infatti se le problematiche che hanno il loro centro di gravità su questo triste personaggio non siano ormai da considerare marginali di fronte al ben più gigantesco scenario che vede la Chiesa temporale, nella sua totalità, ormai avviata a un processo di trasformazione/dissoluzione che pare irreversibile. Certo, molti di noi ritengono che il ruolo, la funzione e la risonanza del vescovo di Roma nel mondo cattolico (e non solo) abbiano una valenza in qualche modo assolutizzante nell’analisi della crisi che stiamo vivendo; questo poteva essere vero nei primi anni del ministerium argentino, ma oggi? Abbiamo finora concentrato la nostra attenzione sulla causa ma – è un’opinione personale che pongo all’attenzione come elemento di un possibile dibattito –  trascurandone gli effetti pratici sulla quotidianità del mondo cattolico: sui credenti, il clero, le vocazioni, i catechisti, l’associazionismo, le parrocchie, l’insegnamento dottrinale, il ruolo e le istanze dei cattolici nella politica, le scuole cattoliche, i seminari, la comunicazione e così via. Non cito l’aspetto liturgico poiché esso è forse quello che maggiormente ha focalizzato l’attenzione e le critiche dei tradizionali. Insomma, mentre noi (io per primo) ci affanniamo quotidianamente a “sparare sul pianista”, un intero mondo sta ormai cantando e ballando sulle note della sua melodia. Assumendo questa tesi come vera, è di tutta evidenza come debba drasticamente cambiare il livello della contrapposizione e dello scontro. Non c’è più un uomo solo al comando che vuole cambiare e stravolgere la Chiesa cattolica. Abbiamo oggi di fronte – in tutto il mondo – intere divisioni di fanteria, moltitudini di truppe cammellate che per seguire il loro capo e la sua nuova dottrina farebbero pazzie e per le quali noi, espressione di una fede decadente e deleteria, siamo solo briciole di popolo da convertire oppure, in caso di resistenza, spazzatura da eliminare. Privati delle liturgie tradizionali, dimissionati come catechisti, commissariati come monaci contemplativi, insultati come divisivi e farisei, licenziati come giornalisti non allineati, disprezzati come rimasugli di un passato da dimenticare. Questo è il nuovo fronte di guerra, questo è il nemico: numeroso, potente, pervasivo e saldamente alleato col secolo. Non è una minaccia esterna ma un mostro in seno alla Chiesa temporale. Ma, attenzione, Bergoglio è solo l’ultimo dei suoi condottieri. Come ben sappiamo, l’attacco parte da lontano.

Non è questa la sede ed il momento per ripercorrere una storia che nasce ben prima del Concilio Vaticano II. Voglio solo invitare a una rilettura dell’omelia pronunciata il 7 dicembre 1965 da Paolo VI, a conclusione dei lavori del Concilio. Tra le diverse fonti, potrete trovarne il testo integrale in un ottimo libro scritto qualche anno fa da don Francesco Saverio Venuto: Il Concilio Vaticano II. Storia e recezione a cinquant’anni dall’apertura (Effatà, 2013). L’omelia appare come una sorta di grande captatio benevolentiae lanciata al mondo moderno, ansioso di conoscere quale Chiesa avrebbe affrontato gli anni ed i decenni a venire. Si tratta a mio avviso di un documento che, per la prima volta, sancisce una sorta di “resa ufficiale” della Chiesa cattolica di fronte al secolarismo imperante. I suoi contenuti generali danno l’esatta dimensione di come si sia voluta connotare l’assise conciliare nei confronti non tanto e non solo del mondo cattolico ma di tutto il mondo. Si volle spiegare il tentativo o, sarebbe meglio dire, il desiderio della Chiesa di farsi accettare dal mondo laico, secolarista e relativista come uno dei suoi possibili interlocutori. Operazione a mio avviso assai temeraria, molto triste e, per certi versi, penosa. È una richiesta che la Chiesa fa al mondo, sempre più lontano da Dio, di poter avere un posto, sia pur piccolo, da dove poter dire la sua. Un approccio debole, perdente in partenza; un atteggiamento che sembra dire al secolo: “Sì, talvolta abbiamo sbagliato con l’uomo e con l’umanità. Ma con questo grande Concilio, come vedete, la nostra istituzione ha però iniziato un cammino nuovo, facendo anche ammenda dei propri comportamenti sbagliati. Vogliamo essere una Chiesa che può dire qualcosa al mondo di oggi”.

Ho voluto estrapolare dall’omelia queste poche righe; sono ad un tempo emblematiche, terribili e tristi. Rappresentano il riconoscimento di una sconfitta, eccole: “Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, più di tutti, siamo i cultori dell’uomo”.

Quel nuovo umanesimo, quell’essere cultori dell’uomo ha finalmente trovato, dopo un processo di oltre sessant’anni, la sua più nefasta rappresentazione in una Chiesa che non è più solo di Bergoglio ma anche di una moltitudine di popolo (cattolico e non) che vi si riconosce pienamente.

Concludo questo contributo con un piccolo dono natalizio. Una modestissima poesiola con la quale vorrei rappresentare quegli effetti di cui parlavo all’inizio, prodotti certo da quell’uomo solo a comando – che oggi ci opprime – ma anche da tutto ciò che lo ha preceduto.

Strofe in libertà, rime più o meno baciate. Ma non è questo che importa. Conta per me l’aver dato voce (blasfema, volgare e sgangherata, diranno i cattolicamente corretti e i benpensanti) a un sentimento e ad una volontà che non vogliono morire. Il componimento si intitola E lui…

Le chiese son vuote, deserti gli altari

la fede ridotta agli annunci mortuari

all’uomo, di Dio non importa più niente.

E lui… pensa all’ambiente.

L’aborto a milioni ne uccide nel grembo

che conta la vita se è quella d’un bimbo

e ormai al non mese, la legge ha già in mente,

li vuole ammazzare il Biden credente.

E lui… pensa all’ambiente.

Maestri del nulla i teologi d’oggi

la Vergin Maria, le guardie nell’orto?

Ma sarà proprio vero che Cristo è risorto?

Son vaghe storielle, che oscuran la mente.

E lui… pensa all’ambiente.

La Messa annunciava la bruna campana

l’han ora ridotta a kermesse neopagana.

Son canti sguaiati e preghiere arruffate,

il prete si sbraccia, applaude la gente.

E lui… pensa all’ambiente.

Le pie vocazioni son sempre più rare

e nei seminari nessun vuole entrare.

Il mondo si svuota di preti e di suore,

la loro presenza non conta più niente.

E lui… pensa all’ambiente.

In principio era il Verbo, ed il Verbo era Dio

e il Verbo una notte s’è pure incarnato,

Giovanni l’ha scritto e ce l’hanno insegnato.

Da allora il demonio null’altro c’ha in mente:

tentare, ogni giorno, al male il credente.

Ci prova anche lui… pensando all’ambiente.

Buona Natività di Nostro Signore.

 

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