L’amore per la Messa antica e il pericolo dell’estetismo

di The Wanderer

Noi che conosciamo e difendiamo la liturgia tradizionale siamo esposti a tutti i pericoli che minacciano ogni figlio di Adamo, oltre ad averne di nostri. E vorrei qui richiamare l’attenzione su due di essi: l’estetismo e il fariseismo, in cui possiamo quasi inavvertitamente cadere.

La bellezza della liturgia tradizionale occupa un posto molto importante tra le ragioni che ci spingono a preferirla. Chi viene dal mondo pagano e dalle solite orribili esperienze delle messe del novus ordo rimane colpito dalla bellezza inaspettata della messa tradizionale; una bellezza che non è di questo mondo e talvolta, con l’aiuto dello Spirito, è capace di trasportare l’uomo – in corpo e anima – fino alla soglia stessa della gloria che ci è stata promessa. Papa Benedetto XVI scrive nel suo libro postumo: “Quando andavo alle messe nei giorni di festa, quelle accompagnate dal coro e dall’orchestra erano parte integrante della nostra esperienza di fede nella celebrazione della liturgia. Rimane indelebilmente impresso nella mia memoria come, ad esempio, non appena cominciavano a risuonare le note della Messa dell’Incoronazione di Mozart, era come se il cielo si aprisse e la presenza del Signore fosse vissuta molto più profondamente (Che cos’è il cristianesimo, p. 96). La bellezza, quindi, è una caratteristica intrinseca della liturgia tradizionale. E lo è sempre stata.

Tuttavia questa caratteristica, che è molto buona e di cui abbiamo il privilegio di poter beneficiare, può essere anche motivo di tentazione e di caduta. Può darsi infatti che per alcuni la liturgia non sia altro che un luogo in cui trovare la bellezza. Ma la liturgia è molto più di questo. In altre parole, potrebbe darsi – mi si permetta il riferimento a Kierkegaard – che gli uomini estetici, pur appassionati e cultori del tradizionale liturgia, restino fermi a quella dimensione e non conoscano o aspirino alla fase religiosa. Il che potrebbe essere il caso sia di laici sia di sacerdoti. Essi, godendo indubbiamente della bellezza della liturgia tradizionale ed essendo strenui difensori dei propri diritti, possono fermarsi alla mera bellezza senza intravedere ciò che essa nasconde e ciò che è veramente importante. E non lo fanno in malafede o per dolosa negligenza. Situandosi nella dimensione estetica, sono incapaci di sollevare il velo. La loro mente, abbagliata dalla bellezza e completamente oscurata, è incapace di attingere il soprannaturale, di pregustare le delizie della presenza del Dio vivente che contempleremo pienamente nel giorno della sua manifestazione.

Da un punto di vista strettamente sociologico, la liturgia può essere considerata una sorta di arte performativa, intesa in senso molto ampio. È tale perché condivide le quattro caratteristiche che la definiscono: il tempo, lo spazio, il corpo o la presenza dell’artista e il rapporto con il pubblico. Negli ultimi anni sono stati condotti studi sulla liturgia sotto questo punto di vista e i risultati sono molto interessanti. Ma né al ricercatore né a noi che partecipiamo alla liturgia viene in mente di considerare la messa una mera espressione artistica; nessuno va a messa per assistere a una performance artistica o al flash mob settimanale.

Potremmo anche paragonare la liturgia alla rappresentazione di un’opera, in cui sono presenti le prime tre caratteristiche appena citate ma non la quarta. Ponendo così la questione, potremmo trovarci di fronte al caso di una persona che si comporta rispetto alla celebrazione della messa come un fa melomane con un’opera, ad esempio con Aída o Tannhäuser: la conosce alla perfezione, è capace di goderne i momenti più sublimi e anche di trovare piccoli difetti nella sua esecuzione, spende tutti i suoi risparmi per assistere alle rappresentazioni più famose, quando può va al festival di Bayreuth, ha un impressionante raccolta di CD con diverse versioni delle stesse opere ed è in grado di rispondere a qualsiasi domanda, anche quando gli viene chiesto il più piccolo dettaglio.

Il nostro uomo estetico, parallelamente, potrebbe trovare nella celebrazione della liturgia un surrogato delle sue passioni artistiche e della sua legittima passione per il bello. Se fosse un sacerdote, raccoglierebbe in sé due ruoli centrali nella rappresentazione di un’opera: sarebbe il regisseur – certamente limitato dalle rubriche – e il divo, il protagonista principale, che dispiega i suoi movimenti solenni e fa risuonare per tutto il tempio la sua voce armoniosa e intonata, cercando anche di trovare possibili variazioni ai toni gregoriani per rendere la cerimonia più bella possibile e fedele a quanto ricevuto dalla tradizione. Eppure, quell’uomo – sacerdote o laico – potrebbe essere del tutto privo di vita spirituale, pregare a malapena e avere una fede molto flebile e debole. E insisto: non farebbe tutto questo perché è una cattiva persona o un falso; lo farebbe perché incapace di trascendere l’estetica, la pura bellezza sensibile.

Paradossalmente, dietro di essa potrebbe nascondersi un razionalismo radicale e inconsapevole. Accetterebbe con gioia ed entusiasmo di partecipare o celebrare la liturgia, ma aderendo solo alla bellezza del suo involucro sensibile. Navigando su quella superficie si sentirebbe al sicuro: “Ne vale la pena – direbbe – perché possiede una bellezza che difficilmente può essere trovata in un altro scenario”. Ma rifiuterebbe categoricamente di cogliere il significato spirituale di quei segni che contempla o celebra, o di sentirne il peso soprannaturale nell’anima, perché riterrebbe che una tale possibilità andrebbe contro la ragione. Concluderebbe che si tratta solo di una questione artistica, sublimemente artistica, ma niente di più, poiché la ragione non può verificare che ci sia qualcos’altro. Sarebbe solo un’eccellente esperienza sensoriale.

Sicuramente non sono molti i tradizionalisti che cadono in questa tentazione, o che si accostano alla liturgia tradizionale per questo solo motivo. È una tentazione per una élite capace di raggiungere certe vette estetiche, che comunque non è poco. Tuttavia qualche esteta c’è. Ed è meglio stare attenti, perché chi non ha fede, pur avendo una sensibilità estetica elevata, è un cieco che guida altri ciechi.

Fonte: caminante-wanderer.blogspot.com

Titolo originale: Nuestros peligros: esteticismo

Traduzione di Valentina Lazzari

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