di padre Mario Begio
Caro Aldo Maria,
oggi parliamo delle traduzioni del Messale, perché dopo un anno e mezzo ci sono ancora fedeli perplessi a riguardo.
Il Nuovo Messale lasciò perplessi insigni cardinali, quando venne pubblicato ormai un cinquantennio fa. Quindi, senza voler alimentare ulteriori polemiche, direi che è inevitabile che sollevi perplessità la traduzione di un testo che lascia perplessi anche nella lingua originale.
“Padre, ma non è blasfemo pregare la ‘rugiada’?” Purtroppo la fantomatica rugiada non è una invenzione dei traduttori, perché il testo originale in latino del Nuovo Messale conteneva fin da subito la parola ros , che si traduce con rugiada. Quindi no, non è blasfemo, soprattutto in quanto evoca un episodio del Vecchio Testamento. Oppure, se è blasfemo (ma non lo è), lo è il Nuovo Messale Romano e non la sola traduzione fatta due anni fa.
Che senso abbia cambiare traduzioni ogni vent’anni; che intelligenza ci sia nel cambiare le traduzioni del Messale proprio mentre ai fedeli si proibisce di andare a Messa, le chiese sono chiuse, l’Eucarestia è vilipesa: queste sono domande a cui non so dare risposta.
A volte la stupidità è la miglior risposta a tante domande complesse e tortuose. Sì, forse è stato fatto per mera stupidità.
Poi c’è la questione del Kyrie. Da adesso bisogna dirlo sempre in greco. Non sappiamo cosa significhi, ma va detto sempre in greco. Però non bisogna preoccuparsi per il Kyrie. Perché, come in ogni rinnovamento, ci sono novità che è vietato ignorare e altre che non interessano a nessuno. Un sacco di chiese dunque continuano a recitare “Signore pietà”. Addio al greco e addio alla serissima riforma della traduzione del Messale. Ho detto tutto.
Subito prima c’è la cosa dei “fratelli e sorelle”. Fa un po’ sorridere, per due motivi. Il primo è perché la gente deve guardarsi in giro – soprattutto le comunità di frati – per capire se ci sono o no le sorelle, altrimenti le si invoca quando si è tutti e solo maschi. E questo fa proprio un effetto grottesco. Il secondo è che bisognerebbe decidersi: o siamo tutti a favore degli LGBT, e allora “fratelli e sorelle” discrimina gli altri ottocento generi, oppure non lo siamo e allora piantiamola con la manfrina omosessuale sugli omosessuali.
Il Gloria è la parte che mi lascia più perplesso. Ho letto e riletto l’originale in greco e non riesco a capire da quale cruna d’ago abbiano tirato fuori la nuova traduzione. Cioè, riesco a capirlo, ma ci vuole una fantasia assoluta. Ciò detto, fingiamo che la versione antica in greco permetta con tranquillità due diverse traduzioni: l’originale in latino ha scelto la versione A (di buona volontà), che quindi vince sulla versione B (amati dal Signore). Questo significa che ci siamo allontanati dalla versione liturgicamente normativa e canonica. E credo che restiamo così lontani anche da molteplici traduzioni in lingua nelle varie nazioni del mondo. Addio unitarietà dei cattolici.
Poi ci sono un paio di errori fatti e finiti nel Canone. Esempio, la confusione tra Cristo e Spirito Santo nella terza preghiera eucaristica. Ma tanto di Trinità capisce niente nessuno, per cui…
Infine citerei il Padre nostro. Vorrei dirla in modo provocatorio: se pensano che manipolando la frasetta (non ci indurre, non ci abbandonare, non ci quel che vi pare) convinceranno l’umanità del fatto che il Padre è buono – tenuto conto di pandemie, guerre e terremoti e non so che altro arriverà nei prossimi mesi – beh, siam messi male.
Soluzione: torniamo a recitare in latino le parti fisse della Santa Messa. Sono facili da imparare. Sono sicure. Ricostruiscono l’unità nella Chiesa. Non fanno ridere. Non gettano vergogna sulla Gerarchia (il re è nudo non perché lo dice il bambino, ma perché ha dimenticato le vesti!). È sempre lecito in fase di spiegazione dare delle curvature di significato più specifiche (tanto poi vengono sepolte dalla recita rituale collettiva).
Nel frattempo dite pure quel che vi fanno dire, l’importante è che nella vostra mente sappiate cosa va davvero detto.
E mi fermo qui. Per oggi.
15.continua
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