La vera obbedienza nella Chiesa. E ovunque

di Rita Bettaglio

Obbedienza è ormai una parola desueta, che fa storcere il naso ai più. Nessuno vuole più obbedire perché si è convinti che nuoccia alla libertà individuale, sacro feticcio del tempo presente. Si è altresì convinti che abbia a che fare con la sopraffazione e l’abuso di potere. Questo, purtroppo, è accaduto e accade tuttora.

Ma cos’è realmente l’obbedienza e quale deve esserne l’uso nella Chiesa e ovunque?

A queste e molte altre domande risponde, con uno stile chiaro, affascinante e inconfondibilmente tomista, Peter Kwasniewski, nel suo La vera obbedienza nella Chiesa, fresco di stampa in traduzione italiana per i tipi di Fede & Cultura [Duc in altum se n’è già occupato qui].

Quali sono i fondamenti dell’obbedienza? È essa un fine o un mezzo? È l’oppio dei popoli o la via per il bene?

San Tommaso insegna che prima dell’obbedienza esistono la verità e la carità. Io vengo a conoscere la verità, la amo perché essa è il bene. Come conseguenza la mia volontà risponde con un atto di obbedienza. Essa, afferma Kwasniewski sulla scia del doctor angelicus, è “l’unica risposta appropriata della volontà alla verità che deve essere amata per sé stessa”. E, come in un edificio di mattoni, se tolgo la verità, che sta nelle fondamenta, verrà meno la carità, radice dell’obbedienza.

Infatti se obbediamo al bene, cioè a Dio, ci facciamo santi, ma se obbediamo al male ci danniamo. I sostenitori dell’obbedienza cieca potrebbero dire: a obbedire non si sbaglia mai. Tuttavia Dio ci ha dato la ragione per discernere e la volontà per scegliere il bene.

L’obbedienza quindi che fondamento ha? E, ancora, l’autorità che mi chiede obbedienza da chi e per che scopo è costituita?

Parola dopo parola, riga dopo riga, il professor Kwasniewski va alle origini di tutti questi interrogativi, al fondamento della filosofia e della teologia cattolica, su cui è unanime il consenso dei teologi di ogni tempo. Se lo seguiamo, egli ci fa percorrere questo sentiero, così chiaro e intellegibile da farci stupire che qualcuno, forse anche noi stessi, ne abbia potuto dubitare.

Allora comprendiamo cosa sia l’autorità e quanto sia indissolubilmente legata al bene comune.

“E qui arriviamo al cuore della questione. Il potere di un’autorità di obbligare moralmente a quanto comanda risiede nel bene comune, cosicché se l’autorità usa del suo ufficio in modo apertamente contrario al bene comune, allora tale comando è intrinsecamente carente di un carattere moralmente vincolante”: con quest’affermazione l’autore centra il cuore della questione dell’obbedienza.

L’autorità è costituita da Dio per il bene comune che è, per la Chiesa, la salus animarum. Questa è la ratio di ogni legge della Chiesa, il sale della missione affidatale da Cristo stesso, come troviamo scritto chiaramente nel Codice di diritto canonico.

Ma se il sale perdesse sapore, con che cosa lo renderemo salato? Se l’autorità si pervertisse e non ricercasse più il bene comune?

Disse Gesù a san Pietro: “Vade retro, Satana, perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (Mc 8,33).

“Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5,29). È perciò lecito e doveroso resistere all’autorità, qualunque essa sia, che comandi qualcosa di contrario a Dio. Non significa disconoscere l’autorità in sé, ma semplicemente resisterle quando essa sbagli o esca dall’ambito suo proprio.

Le applicazioni sono innumerevoli. Kwasniewski applica tutte queste premesse sostanziali alla liturgia tradizionale e all’attacco che sta subendo da parte dell’autorità ecclesiastica, anche la suprema. La sua trattazione non fa una piega.

Quanto egli dice riguardo alla Messa tradizionale, si applica anche ad altre incresciose e recenti perfomances dei soggetti ecclesiastici titolati a governare ambiti vitali per il Corpo mistico di Cristo, come la vita religiosa. Ci riferiamo a incresciose soppressioni di comunità religiose, portate avanti non secondo la venerabile prassi della Chiesa che guarda anzitutto al bene delle anime e a non spezzare la canna incrinata, ma secondo logiche da avidi curatori fallimentari.

Chi è costituito in autorità, nella Chiesa soprattutto, è bene ricordi ogni giorno ciò che è scolpito nella Regola di san Benedetto: “Perciò l’abate non deve insegnare, né stabilire o ordinare nulla di contrario alle leggi del Signore, anzi il suo comando e il suo insegnamento devono infondere nelle anime dei discepoli il fermento della santità.

Si ricordi sempre che nel tremendo giudizio di Dio dovrà rendere conto tanto del suo insegnamento, quanto dell’obbedienza dei discepoli e sappia che il pastore sarà considerato responsabile di tutte le manchevolezze che il padre di famiglia avrà potuto riscontrare nel gregge(RB cap. II, 4-7).

Ringraziamo il Signore di questa pregevolissima “guida al discernimento in tempi difficili”, efficace sottotitolo dell’opera di Kwasniewski, leggiamola e meditiamola. Servirà anche alla nostra vita e nei rapporti con qualunque tipo di autorità.

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