Non si rinnova la casa distruggendola / L’eredità di Stanisław Grygiel

Un mese fa, il 20 febbraio, moriva a Roma, all’età di ottantotto anni, Stanisław Grygiel, il filosofo grande amico e stretto collaboratore di san Giovanni Paolo II, che lo chiamò a Roma dove fu tra i fondatori dell’Istituto per gli studi su matrimonio e famiglia. Nell’estate del 2019 il professor Grygiel mi concesse un’intervista che qui ripubblico.

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Cari amici di Duc in altum, oggi sono particolarmente lieto di proporvi un’intervista esclusiva al professor Stanisław Grygiel, filosofo polacco, grande amico di san Giovanni Paolo II e fino a poco tempo fa, prima del suo allontanamento, docente al Pontificio istituto teologico fondato proprio da papa Wojtyła. Un’intervista a tutto campo, nella quale il professor Griygiel accenna alla vicenda che lo ha visto coinvolto ma soprattutto spiega qual è, a suo avviso, la natura dell’attuale crisi della Chiesa e pronuncia parole assai nette: “La Chiesa d’oggi ha bisogno di un Mosè che, portato dall’ira del Dio misericordioso, con cui egli parla sul monte, metterà a ferro e fuoco tutti i vitelli d’oro nella cui adorazione il popolo, con il permesso di tanti pastori, sta cercando la felicità”.

Professor Gygiel, lei, a proposito della teologia oggi dominante, ha parlato di “pragmatismo teologico”. Che cosa intende con questa espressione e quali sono gli obiettivi di tale pragmatismo?

Il principio marxista di pensare è: la praxis precede e decide del logos, cioè della verità. Così ha capovolto non solo la vita intellettuale del mondo occidentale, ma anche la vita della Chiesa cattolica. Ricordo gli anni 1966-67 vissuti all’Università Cattolica di Leuven in Belgio e tante lezioni di teologia e di filosofia fatte secondo questo principio. Ne risultò la teologia pragmatica e un pastorale altrettanto pragmatica, che parte non dalla Persona di Cristo, ma dalla descrizione sociologica dei diversi comportamenti degli uomini. Se la maggioranza divorzia, allora…  Molti teologi e, purtroppo, anche molti pastori nella Chiesa cattolica dimenticano di parlare con il Figlio del Dio vivente. A loro manca la fede nel senso dell’affidamento alla Persona di Cristo e, di conseguenza, la fede nell’uomo.

L’Unione Sovietica, non essendo in grado di conquistare l’Europa occidentale con i mezzi militari, cercò di penetrare la mentalità degli intellettuali, per poterla sottomettere agli ordini dei signori di questo mondo. Vi riuscì perfettamente, come vediamo oggi, mentre viviamo le conseguenze disastrose di questa astuta azione degli agenti comunisti e dei loro “utili idioti” occidentali.

Sappiamo che lei è stato allontanato, insieme ad altri docenti, dall’Istituto Giovanni Paolo II su matrimonio e famiglia. Al di là del suo caso particolare, che cosa insegna questa vicenda? Perché questa rivoluzione?

Non posso nascondere il mio dolore, provocato dal fatto che l’Istituto fondato da san Giovanni Paolo II è stato abolito due anni fa. Il licenziamento dei professori rappresenta un atto coerente con questa decisione. Perciò esso non mi sorprende. Mi dispiace solo per la confusione nella quale sono caduti gli studenti e in cui si sentono smarriti. Qualcuno ne renderà conto un giorno. San Giovanni Paolo II preparò con fervore e passione i primi professori per questa grande missione. Qualche mese prima della fondazione dell’Istituto ci invitò nel suo appartamento per meditare insieme con noi sulla situazione in cui versava non solo la Chiesa ma anche il mondo. Egli volle creare un Istituto in cui la teologia sorgesse dall’esperienza morale della persona umana e dalla Parola Divina in cui la verità dell’uomo è stata pienamente rivelata. Non c’è allora da meravigliarsi che in quel tempo noi meditavamo pregando e pregavamo meditando. Davanti a Dio e davanti all’uomo che arde di Lui, come ne ardeva il roveto sul monte nel paese di Moria, bisogna inginocchiarsi. Altrimenti non si comprenderà “l’universo e la storia” (cfr Redemptor hominis, 1)

Confesso che non riesco a comprendere per quale ragione gli esecutori della decisione papale di abolire l’Istituto fondato da san Giovanni Paolo II parlano di approfondimento, espansione e ingrandimento dell’insegnamento di Giovanni Paolo II. Non si rinnova la casa distruggendola, inclusi i suoi fondamenti. Sarebbe meglio parlare in modo chiaro e tondo secondo il comandamento del Vangelo: “Ma sia il vostro parlare: Sì, sì: no, no; poiché il di più vien dal maligno” (Mt 5, 37).

Lei mi chiede: perché questa rivoluzione? Le ragioni e i motivi forse li sveleranno gli storici. Dio invece li giudicherà. Ogni rivoluzione parte da zero e arriva al punto da cui parte. Sempre e dappertutto il rivoluzionario finisce come inizia: tale il principio, tale la fine. Io vedo la situazione che si è oggi creata come un momento del conflitto in atto tra le due visioni dell’uomo. Karol Wojtyła parte dalla Parola di Dio e dall’esperienza morale della persona umana. Per lui, quindi, fondamentali “categorie” sono la verità che zampilla dall’atto della creazione e la menzogna che l’uomo commette quando “crea” le proprie verità. Proprio per questo l’esperienza della persona umana ha il carattere morale, cioè consiste nel vivere le azioni come buone oppure cattive. Il “pragmatismo” è una negazione totale del “centro dell’universo e della storia”, cioè del Figlio del Dio vivente.

La Chiesa cattolica sta vivendo una stagione confusa, segnata da profonde divisioni. Lei come giudica la situazione?

La Chiesa cattolica, aprendosi al mondo, si è trovata nella situazione in cui versa il mondo postmoderno segnato dal “pragmatismo”. La teologia e la filosofia postmoderne si riducono al gioco di opinioni (predicati) e non guardano più l’uomo come magna quaestio di sant’Agostino. La domanda sul senso della vita sparisce e il suo posto è preso dalla domanda sulla felicità orizzontalmente intesa.

I teologi e i filosofi per i quali la teologia e la filosofia non sono che giochi di opinioni s’inginocchiano non davanti a Dio, ma davanti ai propri prodotti. Giocando le loro carte, adorano se stessi. Però in questo modo rischiano di restare vittime dei bari.

La Chiesa d’oggi ha bisogno di un Mosè che, portato dall’ira del Dio misericordioso, con cui egli parla sul monte, metterà a ferro e fuoco tutti “i vitelli d’oro” nella cui adorazione il popolo, con il permesso di tanti pastori, sta cercando la felicità. Il nuovo Mosè incuterà nelle menti e nei cuori la verità dell’amore incisa sulle Tavole e da molti dimenticata. L’economia della salvezza solo fino a un certo punto può vivere nel caos. La misericordiosa ira di Dio prenderà la parola.

Anche alla luce di ciò che sta succedendo all’Istituto Giovanni Paolo II, molti hanno l’impressione che il magistero di papa Wojtyła, specie per quanto riguarda le questioni di morale familiare, sia finito in soffitta, dove si mettono le cose che non servono di più. Condivide questo giudizio?

Non lo condivido, anche se umanamente sembra essere così. La Chiesa vive della fede del popolo, della quale ogni Pietro è custode. I teologi possono aiutarlo o meno a comprendere meglio questa fede, ma è lui a essere garante della fedeltà della Chiesa alla Parola del Figlio del Dio vivente. I teologi possono interrompere la Tradizione e cercare di fare tutto da capo. Lontani dal Principio su cui il Vangelo è imperniato, possono inventare nuove interpretazioni del Vangelo stesso per renderlo accettabile al mondo postmoderno. Però prima o poi il cuore dell’uomo orientato all’Amore che è Dio si sveglierà, gridando di non poter più vivere lontano dalla casa del Padre.

La saggezza che proviene da Dio rimane per sempre. La stupidità che proviene dall’uomo passa, lasciando che l’uomo dipenda non dalla verità ma dai venti. Una sera il santo Papa Giovanni Paolo II mi mise nelle mani la lettera che gli scrisse un teologo moralista molto conosciuto nel mondo. Il teologo chiese al Papa di cambiare l’etica della vita matrimoniale, altrimenti, secondo questo teologo, la Chiesa avrebbe perso i fedeli. “Che cosa ne pensi?”, mi chiese il Papa. Risposi forse troppo bruscamente: “Ha scritto una stupidaggine”. Il Papa mi guardò e dopo qualche secondo disse: “È vero, ma chi glielo dirà?”

È opinione assai diffusa che Amoris laetitia rappresenti un vero e proprio strappo rispetto all’insegnamento precedente. Il professor Seifert ha parlato addirittura di una “bomba atomica” che rischia di distruggere l’intero edificio morale cattolico. Che cosa ne pensa?

Non essendo teologo, non mi sento di dare giudizio. Sono un semplice credente e come tale posso e devo confessare che non mi ritrovo in questo testo se non parzialmente. La mia esperienza dell’amore è più evangelica che sociologica e psicologica. Colui che vuole conoscere la natura della persona umana, cioè il suo essere orientato a Dio, deve contemplare i santi e soprattutto il Figlio del Dio vivente, diventato uomo nel grembo della Vergine Madre, Maria. Descrivere le malattie matrimoniali e sessuali non è realizzazione del comandamento che dice “Andate nel mondo e predicate il Vangelo!”.

In questi giorni mi vengono spesso in mente le parole di Cristo, secondo le quali “chiunque” abbandona la propria moglie e prende un’altra donna commette adulterio (cfr Gv 2, 25). Egli lo dice di ogni uomo, senza eccezione. Lo dice perché sa che cosa c’è dentro l’uomo. Se è vero che oggi in alcuni casi non è adulterio, come alcuni dotti in teologia dicono, significa che Cristo non sa cosa c’è dentro l’uomo. Non è quindi Dio. “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18, 8).

Questo documento, se fosse più corto, sarebbe più espressivo e forse più chiaro e adeguato alle parole del Vangelo: “Sì, sì – no, no”. Invece una nota a piè di pagina offusca tutto il suo contenuto.

Se dovesse parlare di Giovanni Paolo II a un giovane d’oggi, come presenterebbe, in poche paole, il papa santo?

Giovanni Paolo II direbbe a un giovane d’oggi le stesse parole che disse al popolo in piazza San Pietro il giorno della sua intronizzazione: “Non abbiate paura!” Lo condurebbe all’atto della creazione e all’atto dell’Ultimo Giudizio, perché solo alla luce del Principio e della Fine l’uomo intravvede la verità, alla quale è orientato. Contemplerebbe insieme con un giovane d’oggi la bellezza dell’Amore che è Dio e cercherebbe di risvegliare in lui l’amore affinché quel giovane si possa affidare a Dio. Penso che l’esperienza della bellezza della persona umana, della bellezza del suo amore, indichi la via che può condurre un giovane d’oggi a Dio. Forse è per questo che il maligno cerca di colpire micidialmente l’amore umano e tutti quelli che, affascinati da esso, coraggiosamente, senza paura, svelano la sua verità. Il maligno spera (è l’unica sua speranza) che colpendo l’amore divino-umano distruggerà il fondamento del matrimonio e della famiglia e, in fin dei conti, anche quello della Chiesa. La lettera di suor Lucia al cardinale Carlo Caffarra ne parla in modo chiaro e tondo.

Professore, la famiglia cristiana, fondata sul matrimonio, ha un futuro?

Ogni uomo, ogni matrimonio, ogni famiglia ha davanti a sé un futuro a condizione che siano affidati alla verità. “La verità vi renderà liberi”, disse Cristo. La libertà che è frutto dell’affidarsi alla verità rappresenta il futuro, verso cui anela il cuore umano. Non bisogna difendere la verità. Essa si difenderà da sola. Coloro che si affidano ai giochi e ai calcoli umani perderanno tutto, anche se prima apparentemente hanno guadagnato tutto. Quelli di questo mondo non sono i successi cui mirano gli uomini affidati alla verità. Loro mirano alla vittoria eterna. Perciò già oggi loro partecipano ad essa. La persona umana può essere uccisa, la comunione in cui essa vive può essere talvolta distrutta, ma la verità non sarà mai vinta, poiché essa è invincibile.

A cura di Aldo Maria Valli

 

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